La reale commistione tra due mondi che sembravano condannati a una incomunicabilità cronica, difficile da arginare e superare, a causa della presenza di codici di linguaggio all’apparenza contrapposti e poco permeabili l’uno alle contaminazioni dell’altro, viene oggi esperita attraverso molteplici modalità di interazione.
L’assegnazione del premio “Impresa e Cultura”, giunto alla sua decima edizione, avvenuta venerdì 18 maggio 2007 a Venezia, rappresenta una tangibile dimostrazione del fatto che arte può fare rima con business, a patto di rispettare determinate condizioni.
Il premio, che si articola in tredici categorie (dal miglior curriculum al progetto con la più alta valenza sociale, dalla campagna di comunicazione più efficace alla più brillante sponsorizzazione tecnica, per citarne solo alcune), intende conferire un giusto riconoscimento a quelle imprese che hanno dimostrato di saper fare dell’investimento in cultura non un evento spot, da compiere un’unica volta nell’arco dell’intero ciclo di vita, ma una sorta di filosofia aziendale, che si protrae nel tempo e che accompagna l’azienda nel corso della sua evoluzione.
Vincitrice del primo premio è stata l’azienda lombarda Bracco, impegnata nello sviluppo di tecnologie che permettono di osservare il corpo umano dall’interno, con un progetto dal titolo “Art from Inside”, a cui si affiancano alcuni grandi nomi come Vodafone, Barilla, ed Eni, premiate rispettivamente per il miglior investimento in cultura in Italia, per la creatività e per il valore della leadership per la crescita della cultura d’impresa.
Con il passaggio dal fordismo al post-fordismo, con l’avvento di quello che è stato definito capitalismo “cognitivo”, con la progressiva de-materializzazione delle merci, con il prevalere della funzione del simbolico, i beni relazionali – e, primo tra questi, la conoscenza – hanno assunto un’importanza crescente nella generazione del valore e della qualità , rivendicando per se stessi un innovativo modus operandi, traducibile in uno speculare modus vivendi.
Accanto ai beni, hanno acquisito nuove declinazioni anche i bisogni, che nelle società avanzate non guardano più al soddisfacimento delle necessità di tipo primario, come nutrirsi e vestirsi, ma si presentano orientati verso una possibile definizione della propria identità e verso l’individuazione di una eventuale risposta alla domanda di senso inerente il proprio stare al mondo. In uno scenario così costituito, le imprese non possono limitarsi a vedere nel raggiungimento di elevati profitti la loro unica ed esclusiva finalità istituzionale, ma devono diventare consapevoli del fatto che espressioni come “Responsabilità Sociale d’Impresa” rappresentano la nuova frontiera della competitività .
Devono interrogarsi su quali siano i soggetti per cui l’istituzione produce lavoro, su quanta parte della comunità sia effettivamente coinvolta e interessata al proprio core-business. Il coinvolgimento di tutti i portatori di interesse nell’attuazione dei processi aziendali e nella definizione dell’interesse sociale dell’impresa, diviene un elemento determinante per accedere a strategie di successo, le quali generando differenti scenari e opportunità di intervento, ampliano lo spazio delle possibilità , e di conseguenza contribuiscono allo sviluppo di un’economia civile, capace di consentire una vera libertà di scelta, la quale, come afferma Stefano Zamagni, “non è semplicemente la scelta all’interno di un menù preconfezionato, ma è, in primo luogo, la scelta dello stesso menù”.

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