In qualche modo Roma sembra avviata, attraverso una trasformazione in luogo prevalentemente di turismo e spettacolo urbano, al destino prefigurato, per la Parigi del 2040, da Augé:

(…) una triplice sostituzione: dei luoghi di lavoro ai luoghi di abitazione, delle vie di circolazione agli spazi di deambulazione, e della scena ai luoghi di vita. (1997)

E’ evidente, in ogni caso, la prevalenza di una visione neo-barocca lucidamente analizzata in un recente articolo di Curzio Maltese, che ha proposto un parallelo fra la Roma contemporanea e la Roma del 1630, l’anno più felice e fastoso del barocco romano:

La ridondanza spettacolare che maschera il vuoto ma anche il pensiero complesso, il dubbio, l’assenza di fanatismo. La fine dell’etica, della politica, dell’economia per un eccesso di complessità , travolte allora come oggi dalla rivoluzione scientifica e tecnologica, il trionfo della finzione. Roma ne è il palcoscenico ideale.

La sovrabbondanza dell’offerta di eventi provoca un senso di spaesamento, più acutamente avvertito proprio da quella classe creativa che dovrebbe possedere la bussola per navigare nel mare dell’offerta e che si esprime in termini simili a questi: “Senti l’energia di un terremoto culturale in divenire, ma fatichi a collocartici dentro, trasportato dai mille eventi che come un’interminabile Notte Bianca (…) ti confondono. (…) Essere spettatore e non protagonista fiacca la megalomania individualista ma mortifica anche l’energia creativa” (post del 12 maggio 2007 su un blog).
Il dibattito internazionale sulle attività creative urbane ha definito le condizioni che ne favoriscono lo sviluppo. Tra queste, il grado di partecipazione dei cittadini alla fruizione culturale; la propensione di chi gestisce il patrimonio culturale a impegnare risorse in operazioni di innovazione; l’integrazione orizzontale delle filiere legate alla creatività (dove aspetti creativi rilevanti rischiano spesso di rimanere separati); il dialogo costante tra operatori culturali, artisti e creativi, imprenditori, attori del sistema formativo, dell’università e della società civile; la capacità delle istituzioni, dei soggetti economici e finanziari, della società civile organizzata di fornire servizi alle attività creative; la capacità di dare spazio a nuove idee e pratiche di individui o gruppi, offrendo opportunità a costo di qualche rischio.
La Gallup ha svolto recentemente un’interessante indagine sulla percezione di Roma a confronto con altre città europee sul terreno della cultura, dell’innovazione e dello sviluppo economico e sociale (per un’analisi più approfondita dei dati si rimanda al sito dell’associazione Sasso nell’Acqua).
I dati evidenziano una situazione con luci e ombre. L’89% degli intervistati (in particolare i giovani) percepisce Roma come ben integrata col resto del mondo e si dichiara soddisfatto di abitarci. Solo il 17%, però, ha fiducia nella capacità di miglioramento della città per il futuro e sempre il 17% indica una relativa sfiducia nel futuro della città .
E la Capitale, comunque, rispetto alle altre capitali europee, non rappresenta una meta particolarmente ambita dove risiedere e lavorare. Il dibattito è aperto su come sia possibile assicurare alla città di Roma uno sviluppo futuro che trasferisca al campo della produzione di conoscenza il successo conseguito nel settore turistico, a partire dalla necessità di un chiarimento e di una condivisione della percezione del sé cittadino e dalla necessità di un raffinamento degli strumenti di programmazione economica di cui dispone l’amministrazione pubblica.
Lo strumento adottato da diverse realtà urbane per un coinvolgimento della società locale, rispetto al quale concepire e finalizzare politiche ed interventi, è rappresentato dal Piano Strategico (PS), che rende esplicita la visione della città e del suo territorio ponendo obiettivi di sviluppo, di ricerca e di competitività, di posizionamento e valorizzazione della città e del suo milieu socio-economico.
Il PS si distingue dal Piano Regolatore Generale per il suo contenuto “politico” e basa il suo successo sulla forza del sistema di relazioni, alleanze e partenariati politici e socio-economici che sostengono lo sviluppo delle linee di azione strategica: è, in sostanza, uno strumento di indirizzo. Il PS serve anche da accompagnamento delle iniziative dei progetti di una società creativa, caratterizzata dalla presenza di soggetti fecondi, ma spesso deboli.
Un esempio è il 2° Piano Strategico di Torino (del 2006). Vengono ridefiniti compiti reciproci e terreni di collaborazione tra pubblico e privato, in una logica che restituisce al mercato e all’iniziativa individuale responsabilità e gusto per il rischio. Si assegna alle politiche pubbliche una missione più chiara, per garantire la sopravvivenza delle espressioni originali della cultura nazionale, ma anche per fornire le infrastrutture della sua rinnovata produzione.
Con esso, si intende favorire l’esperienzialità e la sperimentazione, promuovere il complesso delle industrie creative e legate all’innovazione tecnologica, consolidare professionalità gestionali dedicate al mondo della creatività, della cultura e dell’innovazione.
Perché non pensare che attraverso un PS si possa disegnare una strategia multiforme, leggera e condivisa per il modello Roma?