Dal racconto del suo direttore, il prof. Giovanni Sedioli, seguiamo le tappe dello sviluppo di una struttura culturale ricca e apprezzata non solo dal territorio circostante.
Didattica e divulgazione, conservazione del patrimonio, comunicazione: tutte attività  indispensabili per contribuire al riconoscimento e all’affermazione della centralità  della cultura industriale nel patrimonio culturale  italiano…

Quando è nato il Museo del Patrimonio Industriale e quali sono state le tappe salienti della sua storia?
La storia del Museo del Patrimonio Industriale nasce alla fine degli anni Settanta, in occasione del centenario della fondazione della Scuola per arti e mestieri Aldini-Valeriani: la scuola, nata nel 1878, dedicata alla formazione industriale dei ragazzi, e che si innesta sulla storia delle precedenti scuole tecniche bolognesi, che esistevano dal 1844, dedicate agli adulti.
In quell’occasione, un gruppo di docenti dell’Istituto e un gruppo di docenti universitari hanno ricostruito la storia della Scuola, utilizzando anche strumenti didattici della scuola stessa e inserendola nella storia economica della città . Quindi si è andati indietro, fino alla grande tradizione della produzione serica a Bologna (siamo attorno al 1400-1500), per vivere poi tutta la fase di splendore di questa produzione, studiarne la fase di declino e successivamente la ripresa industriale, che avviene a partire dalla fine del 1800: nel secondo dopoguerra si verifica, infatti, uno sviluppo esplosivo.
I diversi periodi vengono affrontati in relazione alla formazione tecnica prodotta dalla Scuola. Con quelle ricerche della fine degli anni Settanta si dà  luogo alla Mostra “Macchine Scuola Industria”, che raccoglie questi materiali della Scuola, risalenti alla metà  – fine ”˜800 e che ricostruisce la storia della Scuola in connessione alla storia della città . Successivamente la Mostra viene spostata dentro la Scuola e continua a sviluppare approfondimenti storici, ma soprattutto collegamenti con l’industrializzazione attualmente presente a Bologna.
Quindi si forma una rete di rapporto con le imprese; si studia l’evoluzione presente della formazione tecnica e dell’industria bolognese; si raccolgono nuovi materiali, finché si decide di costruire il Museo Aldini-Valeriani, che viene collocato in una vecchia fornace per l’argilla, l’ex Fornace Galotti, vicino al canale Navile, nella zona nord della città . Il Museo dunque assume una propria autonomia. Il suo sviluppo cresce soprattutto in relazione alle imprese: si costituisce una Associazione Amici del Museo del Patrimonio Industriale. Gli Amici del Museo collaborano attivamente e lo finanziano in parte. Si tratta di un gruppo molto attivo, anche nelle attività  di promozione.
In occasione della nomina di Bologna “Capitale europea della cultura”, nel 2000 il Museo viene quasi completamente riallestito: il piano terra viene dedicato alla storia della Scuola e alla testimonianza delle produzioni di macchine automatiche. Il secondo piano è la ricostruzione storica dell’economia della città , dalla seta fino all’attualità . Al piano intermedio c’è una sala Auditorium, “Dall’Eccellenza al Futuro”. E’ una zona che viene riallestita ogni due-tre anni, nella quale raccogliamo gli esempi delle punte produttive di eccellenza della città .

Quali sono le altre iniziative che il Museo promuove? Quali occasioni di incontro offre al suo pubblico?
Bisogna tenere presente che l’anno scorso abbiamo avuto circa 20.000 visitatori: di queste, la grande maggioranza sono studenti (soprattutto di scuole elementari e medie inferiori). Forniamo un buon servizio didattico, organizzato anche per percorsi. Solitamente si discute con il docente qual è il taglio che si desidera dare alla visita. Inoltre, proponiamo fasi laboratoriali il sabato e domenica, su prenotazione: qui organizziamo laboratori di tipi tecnico-scientifico.
Poi ci sono le mostre temporanee: abbiamo chiuso recentemente una mostra sulle moto bolognesi degli anni ‘30-’40; adesso c’è una mostra concordata con la Fondazione Golinelli dal titolo “Geni al lavoro”, sui temi della genetica. Il nostro Auditorium è poi a disposizione delle aziende, soprattutto di quelle associate all’Associazione, per iniziative rivolte ai loro pubblici o per celebrazioni.

Può affermare che il Museo susciti, dunque, una risposta forte da parte del pubblico locale?
Questo, senz’altro. Tuttavia, la consideriamo ancora insufficiente rispetto alla qualità della proposta che offriamo: siamo un po’ ambiziosi! Credo che possiamo fare di meglio.
Abbiamo anche un periodico, che si chiama “Scuolaofficina” ed esce due volte l’anno: è una rivista di taglio storico-tecnico, che viene inviata a tutte le principali associazioni culturali del mondo che operano nel nostro ambito. La nostra è una realtà nota a livello internazionale: siamo considerati una buona iniziativa nel settore.

Ritiene che si possa parlare di un interesse che cresce verso la cultura industriale?
Ci sono due fenomeni in controtendenza. Il primo è sicuramente che nel mondo industriale c’è un aumento della consapevolezza del valore culturale del proprio esistere: ci si rende sempre più conto che ciò che si fa non è solo soldi e ferro ma anche cultura in senso lato. Peraltro mi sembra che la consapevolezza in generale dell’importanza della cultura tecnica sia in una fase calante: e lo si vede dalla poca considerazione di cui sono tenute le scuole tecniche.

Museo del Patrimonio Industriale