cultura-enogastronomica_okGli Istituti culturali e di ricerca riconoscono i beni enogastronomici e i saperi ad essi connessi quali beni culturali a tutti gli effetti e componente costitutiva della storia nazionale; Regioni, Province e Comuni, enti pubblici e privati partecipano con grande interesse sia a progetti che a manifestazioni legati al cibo e alle sue diverse declinazioni; nella produzione editoriale trovano sempre più spazio intere collane dedicate alla storia dell’alimentazione, alla civiltà della tavola, alla ricetta last minute; nascono riviste e programmi televisivi: non c’è ora del giorno in cui non si svolgano programmi sul cibo, sul vino e sulle loro diverse combinazioni; infine la grande rete, ormai, è un enorme contenitore d’informazione gastronomica, diffusa in un numero incredibile di siti. Insomma, un tema forte di grande e trasversale interesse, ma soprattutto una di quelle filiere che, se sapientemente utilizzate, se realmente ancorate alla conoscenza, ai saperi, ai luoghi della memoria, possono diventare una leva potente dello sviluppo di un territorio.
Nei Castelli romani parlare di cultura enogastronomica significa zoomare su un nodo strategico della rete distrettuale, di quel distretto culturale per il quale politica e società civile si sono già in parte attivati, scegliendo un percorso di sviluppo legato alla sostenibilità , dentro il quale le risorse immateriali, la memoria, le competenze, le conoscenze e le tecnologie legate alla loro diffusione giochino un ruolo primario.
Significa far conoscere, riportare alla luce, se si fossero oscurati, quei beni squisitamente immateriali che sono i saperi connessi alla cultura gastronomica e la cui riscoperta attribuirà ai prodotti della filiera quel valore aggiunto di carattere simbolico e identitario capace di renderli competitivi sul mercato globale.
Significa dialogare e far dialogare, mettere in rete, come si dice con parola abusata ma ancora efficace, i protagonisti della civiltà della tavola, siano essi produttori locali, gestori di servizi di ristorazione o di agriturismo, strade del vino e del gusto o esperti nella storia del cibo, singole professionalità (cuochi, sommellier, maestri di cucina) o scuole di formazione dedicate alla crescita delle competenze individuali. E significa farli dialogare anche con chi dentro questi territori timidamente cerca di innestare piccoli semi di culture diverse e magari scoprire che quello che ci sembra tutto nostro poi tutto nostro non è e che con dei piccoli innesti di diversità possiamo creare il nuovo e declinarlo al futuro.

Dall’ipotesi progettuale per un’Agenda Strategica dei Castelli Romani
Asse n. 4: Promuovere un turismo attento all’anima dei luoghi e sostenibile rispetto all’uso delle risorse.

Linee strategiche:
1. Sviluppare e promuovere la tradizione enogastronomica e i prodotti tipici sul versante della qualità .
2. Qualificare la tradizione del cibo, della cucina e dei prodotti tipici (uva, pane, fragole, fiori, castagne, porchetta) legandola a offerte di qualità integrata con gli asset dell’identità locale.
3. Promuovere la costituzione di centri benessere legati anche l’utilizzo dei prodotti locali (ad es. uva-vino).
4. Promuovere forme di incentivazione e riqualificazione della ristorazione.

Nota: Articolo pubblicato in Vivavoce – Rivista d’area dei Castelli Romani