Quando si parla di “affari” il luogo comune imperante nell’immaginario collettivo è legato ad attività finalizzate unicamente agli interessi dell’azienda che dell’affare è protagonista. Ma l’evoluzione del nuovo capitalismo comporta uno spostamento del baricentro dal business come logica del profitto al favorevole sinonimo di crescita con “valore”.
Nelle aziende del XXI secolo la sfida consiste nel fare divenire la corporate citizenship la parola d’ordine. Ma cosa significa? Letteralmente cittadinanza d’impresa, ma anche sviluppo sostenibile, sostenibilità sociale, business etico o, meglio ancora, responsabilità sociale d’impresa (CSR).
Tutti termini intercambiabili che ineriscono allo stesso fenomeno: l’assunzione di un ruolo di responsabilità delle aziende circa l’impatto prodotto dalle proprie business activities sull’ambiente circostante, inteso nel senso più ampio del termine.
Si tratta di una parziale rivoluzione copernicana nel sistema economico, spiegabile attraverso una serie di valutazioni su diversi fattori rilevabili a livello globale: le trasformazioni in corso nei sistemi economici e sociali; la crescente influenza dei criteri sociali ed ambientali sulle scelte di consumatori e investitori e le frequenti e approfondite informazioni a disposizione dei pubblici di riferimento sull’attività delle imprese; l’attenzione crescente alla qualità della vita, della sicurezza e della salute degli individui e l’interesse verso la salvaguardia del patrimonio ambientale.
La maggiore sensibilizzazione a questi temi induce l’impresa, a partire dal core business, ad articolare una propria visione del possibile contributo al miglioramento della società .
In pratica si tratta di un’impresa che considera, nella definizione della propria strategia, nella declinazione delle politiche e nei comportamenti di gestione quotidiani, gli interessi di tutti i suoi stakeholder, sia interni che esterni (dipendenti, fornitori, clienti, azionisti e soggetti portatori d’interesse quali ecosistema, comunità , ecc).
L’obiettivo è massimizzarne i benefici usufruibili, contribuendo al benessere sociale ed economico con l’investimento di risorse per la risoluzione di problemi sociali (educazione, salute, sviluppo della forza lavoro e formazione giovanile) o assicurando una stabilità lavorativa e una equa retribuzione. Il progetto “Outplacement collettivo” ha rappresentato, per esempio, la risoluzione al problema dei lavoratori in esubero dell’industria dell’acciaio Falk garantendo allo stesso tempo piena fiducia e rispetto ai dipendenti.
La Coca Cola Foundation attrae consensi incrementando opportunità di formazione e educazione alle giovani generazioni con borse di studio, così come Shell Italia è impegnata nel settore education operando in separate partnership con le università. Un’azienda socialmente responsabile lavora per minimizzare le conseguenze negative delle proprie business activities e decisioni sugli stakeholder, per esempio attraverso il rispetto dei diritti umani, assicurando la sicurezza sul lavoro, agendo correttamente e prevenendo l’impatto ambientale.
L’impegno di COOP per l’ambiente con il controllo della filiera di fornitura e la cleaner production ne è una dimostrazione. I valori di trasparenza, responsabilità sociale e coinvolgimento dei soggetti interessati sono intessuti nella gestione aziendale: la creazione di social report (bilancio di sostenibilità o ambientale, ecc) o l’utilizzo di codici di condotta sono prova di impegno per l’azienda responsabile come per Enel, che esprime gli impegni e le responsabilità etiche nella conduzione degli affari e delle attività aziendali proprio con un Codice Etico.

Attraverso l’attività di ricerca di Unioncamere è possibile individuare, nello scenario economico italiano, una miriade di casi esemplari che confermano una crescente sensibilità alla responsabilità sociale d’impresa, sia per grandi che per piccole e media imprese. Inoltre, in base ai dati forniti da un recente studio dell’Istud-Dnv, condotto su 80 imprese italiane e multinazionali, si riesce a segmentare le aziende in base al settore di attività rilevando la tendenza preponderante all’adesione al CSR in comparti industriali specifici: 25% nel comparto farmaceutico, energia e chimica; 18% in quello finanziario, 16% nelle tlc e altrettante imprese nel food e grande distribuzione, il restante 25% appartiene ad altri comparti. Resta il fatto che qualsiasi sia il tipo di azienda e il settore di attività, il carattere distintivo dell’impresa competitiva sarà rappresentato dal sistema di “valori” che sarà in grado di “incorporare” e di trasmettere efficacemente.

Riferimenti:
www.csr.unioncamere.it

www.istud.it