Per il terzo anno, il centro di Torino si è trasformato, dal 19 al 23 settembre, in un agorà  sui temi della convivenza multiculturale, della filosofia, della religione: è Torino Spiritualità .
Quest’anno il festival, inventato da Gabriele Vacis a partire dall’esperienza di Domande a Dio, ha affrontato il tema del “corpo”: crocevia di riflessioni e tensioni che da Occidente ad Oriente attraversano la vita sociale, politica ed economica del nostro tempo. Dal velo, misteriosa membrana per occultare o proteggere, elevare o annientare, all’eutanasia, dalle sperimentazioni sulle cellule ai cambi di sesso, Torino Spiritualità  ha interrogato laici e religiosi, scienziati e filosofi per tracciare le direzioni verso le quali si muove la civiltà  del terzo millennio. Tuttavia, tra i molti punti vista messi in campo, quello meno discusso ma più “vissuto” riguarda quello della città .
Caratteristica dei festival è la loro permeabilità  con il territorio sul quale vanno ad operare e di questo Torino Spiritualità  ha fatto il proprio punto di forza. La capitale subalpina, che negli ultimi trent’anni anni ha visto assorbire cambianti tanto intensi quanto rapidi, si trova in questo momento a metà  tra un post – in particolare post industriale e post olimpico – e un pre – pre rilancio FIAT, pre Centocinquantenario dell’Unità  d’Italia – che genera delle sacche di indeterminatezza culturale, economica e architettonica.
Il festival si muove dal centro ”“ da Palazzo Carignano al Circolo dei lettori, alla Cavallerizza Reale ”“ per scendere verso Porta Palazzo ”“ sede di uno dei mercati all’aperto più grandi d’Europa ”“ fino a Borgo Dora. In questo percorso, il festival entra negli alberghi a cinque stelle con i loro hammam, occupa il Sermig ”“ luogo simbolo dell’integrazione e della solidarietà , in continuità  con la tradizione di Don Bosco -, allestisce cortili storici, teatri e piazze. Detto altrimenti, molto più di quel “look of the city” che la città  ha imparato a conoscere attraverso le Olimpiadi, tra colori, loghi, forme precisamente definite da protocolli internazionali, Torino Spiritualità  ha messo in connessione aree diverse se pure contigue dalla città . Quel corpo fatto di italiani (del sud e del nord), arabi, romeni, cinesi, sud americani, pizze, kebab, cucina tradizionale piemontese, baracchini per il mercato, chiese ottocentesche, mura romane, eccentrici mercati vetro e acciaio, si trasforma in un agente attivo della cultura.
L’eterogeneità  metropolitana assurge in una unità  dialogica: il flusso di pubblico da un evento all’altro sposta target diversi in zone univocamente connotate, realizzando quel meltin’pot che auspichiamo, oltre il terrorismo internazionale o la diffidenza data dall’ignoranza. Il via a questo moto è, per l’appunto, la condivisione di problemi “comuni”, condivisi. Il velo, l’eutanasia, l’impiego di cellule staminali, l’identità  sessuale, sono frontiere di discussione che pur originari di un determinato ambiente culturale, si sono diffusi attraverso le migrazioni e la comunicazione.
I festival rappresentano, in questa prospettiva, un laboratorio di integrazione sociale, al di là  del tema affrontato: letteratura, scienza, economia, cinema.
Resta da definire come tali laboratori “a tempo” possono stabilizzare il loro apporto democratico, superando l’etichetta vagamente demagogica di “grande evento”.

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