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Quando è nato il Museo Italiano della Ghisa e quali sono state le tappe salienti della sua storia?
Già collezione privata di un certo prestigio alla fine degli anni Ottanta, il Museo Italiano della Ghisa si è costituito legalmente in Associazione nel 1991, per trasformarsi poi in Fondazione Neri – Museo Italiano della Ghisa nel gennaio 2005. Una prima occasione per mostrarsi al pubblico si è presentata con la mostra dal suggestivo titolo Casting an eye on Italy, organizzata dall’Accademia Italiana delle Arti e delle Arti Applicate (Londra, agosto-settembre 1991).
Nel 1998 è stata stipulata una convenzione con il Comune di Longiano (FC) che ha offerto in comodato d’uso un edificio settecentesco destinato al culto e ormai sconsacrato per allestirvi un’esposizione permanente da aprire al pubblico nell’orario degli altri musei cittadini. L’inaugurazione è avvenuta in giugno e nell’autunno dello stesso anno la Neri spa, che ha voluto il Museo e ne sostiene le attività , ha vinto una segnalazione di merito al “Premio Guggenheim ”“ Impresa e Cultura”.
A cinque anni di distanza, nel giugno 2003, l’allestimento è stato completamente rinnovato, da un lato per il piacere di offrire al visitatore nuovi scenari, dall’altro per l’urgenza di esporre altri oggetti, data l’ampiezza della collezione che negli anni si è sempre più arricchita. Per la prima volta sono stati esposti pezzi provenienti dall’estero, come gli stupendi pali di fattura francese, un tempo collocati sull’ O’Connel Bridge a Dublino.
Dalla primavera 2008 il Museo si arricchisce di una nuova sede espositiva, questa volta en plein air, nella singolare cornice dell’ottocentesco Giardino Pubblico di Cesena, appena restaurato.
Che tipo di iniziative promuove il Museo Italiano della Ghisa?
Le attività del Museo Italiano della Ghisa ruotano intorno alla ricerca e all’editoria. La rivista Arredo & Città , che si occupa della storia dei manufatti in ghisa e del loro rapporto con la città , ma anche di progettazione urbana in un’ottica di contemporaneità , viene pubblicata semestralmente in edizione bilingue, italiano/ inglese, ed è ampiamente diffusa sia in Italia che all’estero (22mila copie). In vent’anni di pubblicazioni, prevalentemente a carattere monografico, sono state presentate ricerche, originali e completamente inedite, scaturite dal materiale che negli anni è andato a costituire l’archivio del Museo. Si tratta di studi che concernono le origini, la forma e la funzionalità dei manufatti in ghisa , una infinita varietà di prodotti che nei decenni a cavallo tra XIX e XX secolo ha caratterizzato il volto delle città europee (e non solo), divenendo anche una delle espressioni più significative della nascente industrializzazione. Si pensi al ruolo che questo tipo di produzione, seriale ma con i forti caratteri dell’artigianato artistico, ha occupato nelle Esposizioni Universali fin dal 1851. Il patrimonio della Fondazione consiste in una raccolta di 600 manufatti e nel materiale di archivio che comprende: 360 cataloghi di fonderia; 599 testi (di cui 429 in lingua italiana e 170 in lingua straniera); 3600 cartoline storiche e più di 10mila fotografie.
Qual è la percezione del Museo sul territorio?
A livello locale la percezione del Museo è molto legata all’azienda che lo ha creato e che continua a sostenerlo. Probabilmente perché, trattandosi di un piccolo comune, l’immagine di un’impresa che commercializza in tutt’Italia e anche all’estero un prodotto dotato di notevole visibilità , suscita interesse. Ad un occhio non sufficientemente attento i manufatti che compongono la collezione e presenti nel Museo possono essere scambiati con la produzione aziendale. E’ un punto questo su cui insistiamo molto, soprattutto in occasione della visite guidate: nel Museo ci troviamo di fronte alla grande tradizione ottocentesca che ha fatto della ghisa il materiale per eccellenza e che ha dato luogo ad esemplari oggi difficilmente riproducibili. A questa tradizione la Neri spa si è ampiamente ispirata, specialmente nella prima fase della propria attività, ma ben più ricca e articolata è la gamma di prodotti di stampo squisitamente ottocentesco usciti dalle numerose fonderie di Scozia, Inghilterra, Francia, Italia, e poi diffusi in tutto il mondo.
Il Museo Italiano della Ghisa è pienamente inserito nella rete dei musei del territorio e gode di notevole riconoscimento a livello sia comunale, che provinciale e regionale. La peculiarità della sua collezione tuttavia, lo rende pressoché unico in Italia, e ne estende la vocazione ben oltre i confini del territorio nazionale.
Qual è la risposta della popolazione locale alle sue iniziative?
Le iniziative promosse dal Museo Italiano della Ghisa sono per lo più rivolte ad un pubblico che supera la dimensione locale, data la valenza nazionale e internazionale del progetto.
Tuttavia, in occasione di eventi organizzati dal Comune di Longiano, o comunque di scadenze cui l’ente locale vuole dare un certo rilievo, il Museo partecipa, soprattutto organizzando aperture straordinarie e visite guidate.
Oppure, come nel caso della manifestazione “Longiano dei Presepi” che si protrae per tutta la durata del periodo natalizio, aderisce all’iniziativa mettendo a punto all’interno del museo un allestimento, ogni anno diverso, che accolga la natività, ma soprattutto sia coerente con il contesto in cui si colloca.. Sono queste le occasioni in cui la popolazione locale risponde aderendo in massa.
Quali chiavi di lettura il Museo vuole fornire al visitatore?
“Ci fu un tempo in cui la funzionalità si sposava perfettamente con la bellezza, in cui gli elementi che arredavano le vie e le piazze, o corredavano gli edifici che su di esse si affacciavano, erano ideati con fantasia, senso delle proporzioni e dell’armonia, realizzati poi con perizia e attenzione ai dettagli, così da generare ammirazione, quasi meraviglia”.
Potrebbe essere l’incipit di una bella fiaba, che prende l’avvio proprio dalla descrizione dell’ambiente che fa da sfondo al dipanarsi di una storia: l’ambiente urbano tra Otto e Novecento.
Profondi stravolgimenti nella configurazione delle città caratterizzarono il XIX secolo in tutta Europa. Basti pensare alla radicale trasformazione di Parigi realizzata da Haussmann, che predispose lunghi e intensi lavori di abbellimento e di risanamento della capitale: dalla creazione di giardini, al tracciato dei grandi boulevard rettilinei, alla costruzione di imponenti edifici.
L’arredo urbano si impose come necessaria conseguenza di tali cambiamenti; i nuovi oggetti andarono ad abbellire la rete viaria ampliata, i marciapiedi e gli spazi pubblici prima inesistenti. Lampioni per illuminare, fontane per fornire acqua, panchine e chioschi per favorire il relax diventarono il simbolo di una vita sociale trasformata e arricchita, di cui la borghesia, nuova classe emergente frutto della rivoluzione industriale, era la protagonista indiscussa.
Il materiale impiegato, la ghisa – una lega di ferro e carbonio che viene lavorata tramite fusione – consentiva di realizzare in serie e a costi relativamente contenuti, elementi e oggetti delle più svariate forme e dimensioni. Utilizzata nel Settecento quasi esclusivamente in ambito bellico o domestico, la ghisa conquistò la scena quando, con l’espansione delle città, si trasformò in importante complemento anche per l’architettura: colonne in ghisa, balaustre, ballatoi oltre a costituire parte integrante di un edificio ne arricchivano l’estetica in maniera originale. La fusione di ghisa permetteva di realizzare decori anche molto elaborati: bastava che il fonditore disponesse di artisti che fornivano i disegni, e poi di un bravo intagliatore in grado di tradurli in modelli in legno tridimensionali, da cui successivamente si ricavavano gli stampi per la colata del metallo fuso. Il gusto per il decoro non poneva limiti alla creatività, stimolata anche dalle richieste di un mercato in espansione e sempre più esigente.
Trattandosi di elementi seriali, si volle garantire una certa preziosità e gradevolezza estetica inserendo molti elementi decorativi, che si caratterizzavano per il fatto di trarre ispirazione da stilemi già affermati in epoche precedenti: dal rinascimento italiano, al gotico inglese, al barocco, al rocaille. Un eclettismo, una contaminazione quasi, che è riuscita tuttavia a garantire a questi prodotti l’inserimento nella categoria dell’ “arte industriale”.
E’ quanto è possibile osservare ancora oggi percorrendo il centro storico di una città che abbia la fortuna di conservare qualche testimonianza del passato. E’ stata adottata la definizione di “museo diffuso” per indicare un’altra attività che è andata a costituire la sezione quantitativamente più rilevante dell’archivio fotografico: il censimento dei manufatti ancora esistenti sul territorio nazionale. E’ grazie a questo lavoro, svolto con continuità nell’arco di diversi anni, che siamo riusciti a raccogliere una documentazione ricchissima riguardante tutti gli elementi di arredo urbano, compresi quelli meno conosciuti e di solito non considerati. Un quadro che va ulteriormente a confermare come l’attenzione del Museo sia da sempre puntata sul territorio urbano, sulla città di ieri, per guardare quella di oggi.