L’importanza dei beni e delle attività culturali per l’economia di una nazione sembra essere un dato ormai acquisito ed assimilato da una pluralità di soggetti. Ciò che stenta ad essere compreso ed accettato è, invece, il ruolo che il mondo imprenditoriale svolge, o dovrebbe svolgere, nel campo del management culturale. Il libro bianco sulla valorizzazione della cultura tra stato e mercato, focalizzando la propria attenzione sulle dinamiche gestionali riscontrabili all’interno del nostro sistema paese nel particolare comparto produttivo dell’economia della cultura, restituisce un’istantanea del ruolo svolto dall’impresa di mercato e dei limiti che essa incontra, sovente imputati alla necessità di dover garantire la tutela e il diritto alla fruizione del patrimonio culturale. Fatti salvi questi rilevanti aspetti, che rendono ineluttabile l’intervento dello Stato, ciò che emerge dall’analisi condotta da Confindustria, è l’urgenza di un reale coinvolgimento del privato per una gestione più efficace ed efficiente dei beni e delle attività culturali.
L’apertura al mondo delle imprese e l’adozione dei loro modelli organizzativi e strategici, non deve avvenire esclusivamente ad un livello formale, ma deve tradursi in pratiche d’azione reali, capaci di incidere sul miglioramento delle performance di mercato di tutti i settori legati alla cultura.
Suddiviso in due sezioni principali, il libro bianco si sofferma nella prima parte sugli aspetti economici del settore dei beni e delle attività culturali, per poi affrontare nella seconda gli aspetti inerenti gli assetti giuridici e la regolazione dei rapporti tra gli attori pubblici e privati. Dal libro traspare come, nonostante vi siano ancora notevoli ostacoli da superare – dovuti e alla necessità di reperire ingenti risorse finanziare, e al bisogno di garantire non solo la tutela e la conservazione, ma anche la fruizione del patrimonio storico, artistico, culturale e paesaggistico – il settore culturale in Italia ha fatto registrare dei progressivi miglioramenti a partire dagli anni ’90 in poi. Tali miglioramenti sono ascrivibili, principalmente, ad un rinnovamento degli assetti organizzativi e regolatori, e ad un conseguente coinvolgimento delle realtà private, con la creazione di nuove imprese specializzate nel settore.
Da un punto di vista strettamente finanziario emerge come, accanto al fondamentale sostegno economico erogato dallo Stato, diventino sempre più rilevanti gli apporti ottenuti grazie all’evoluzione e all’incremento delle erogazioni liberali, stimolate dalle opportunità offerte dal sistema fiscale, e al ruolo sempre più determinante svolto dalle fondazioni bancarie e non, e da tutti gli altri enti non profit, impegnati in attività di intermediazione tra la produzione ed il consumo di cultura. Il raggiungimento di una maggiore efficienza gestionale diviene un obiettivo perseguibile, anche, attraverso l’adozione di nuove forme di collaborazione tra i settori pubblico e privato, quali il Facility Management, il Global Service, il Project Financing e la concessione di valorizzazione.
Ne deriva che per innescare processi gestionali virtuosi, non è più possibile continuare a parcellizzare e frammentare la gestione dei beni e delle attività culturali tra soggetti pubblici e privati. Ciò che si rende necessario è, al contrario, una gestione unitaria del bene culturale da parte del mondo imprenditoriale, in grado di alleggerire gli oneri a carico dello Stato e di ideare soluzioni innovative per il management culturale.

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