Seconda parte

La mostra Vapore Acqueo e il blog nascono da una indisposizione verso le politiche culturali e socio-economiche della vostra città , Brescia. Vapore Acqueo deriva infatti da un maxi cartello posizionato sulle torri dell’acciaieria posta alle porte della città da cui escono, 24 ore su 24, fumi di vapore derivanti dal raffreddamento del ferro. Ma, in un’ottica di qualità della vita, coesione sociale e crescita economica, vorrei chiedervi quali sono i vostri desideri, come immaginate la città di Brescia, cosa manca o cosa bisognerebbe sostenere?
Non abbiamo soluzioni immediate da proporre, stiamo cercando di creare una connessione diversa in quello che noi consideriamo arte in rapporto alla realtà . Abbiamo vissuto un po’ come migranti a Milano, Trieste e altre città e ci sembra ora interessante occuparci della nostra città tessendo un tessuto critico dove la cultura diventi una possibilità estesa a tutti. Chiediamo un’attenzione in più al contemporaneo, poiché la spettacolarizzazione del passato attraverso le Grandi Mostre serve solo da vetrina alla città , poiché essa è ansiosa di voler diventare una grande metropoli. Brescia vive in un continuo avanti e indietro non vedendo quello che realmente è ossia una città , a metà tra la città di provincia e la piccola metropoli, in difficoltà a gestire le sfide della globalizzazione in rapporto al territorio e alla tradizione. L’associazione crescita economica e qualità della vita sembra l’applicazione forzata di modelli che non vogliono cambiare. Sentiamo, invece, che bisogna uscire da strutture abitudinarie coatte, che coinvolgono tutti i settori del nostro vivere, e stabilire luoghi di relazione per uscire dall’isolamento e dalla cultura del sospetto e rivedere i nostri modelli di vita. I desideri quindi non devono venire per forza da noi, il blog vuole raccogliere le idee delle persone, ognuno di noi ha in mente una pianificazione della propria città , come la vorrebbe… Pianificare è una sorta di utopia, c’è il desiderio di creare questo percorso che sappiamo essere infinito come è giusto che sia, perché non è possibile arrivare ad una soluzione ottimale, soprattutto con regole imposte dall’alto.

Come vi confrontate con le nuove pratiche culturali che vedono le città , o meglio le amministrazioni pubbliche, fare propri, con curiosità , i valori e le strategie dei distretti culturali e dell’economia della cultura?
L’esperienza di Brescia si identifica nell’esempio Goldin e non investe la città perché usa delle strutture pubbliche e in qualche modo le privatizza, facendole rientrare in un circuito chiuso qual è quello delle Grandi Mostre. L’intervento di Goldin ha impoverito la città delle sue energie e le ha assorbite. Noi abbiamo trovato una chiusura amministrativa, una difficoltà di relazione, un estremo linguaggio burocratico, un’incapacità di cogliere anche gli aspetti più dozzinali di una relazione. Bisogna quindi stare attenti alla monopolizzazione di queste iniziative e alle ricadute appunto dall’alto, a pioggia, sull’economia della città . La cultura è innanzitutto un bene comune che deve mantenere la sua complessità e varietà .

Vorrei, per concludere, riferirmi ad un caso noto. Che differenza c’è, secondo voi, tra il mantenimento della Stecca degli Artigiani a Milano e la creazione del nuovo Centro Culturale che sarà progettato, per di più, da uno dei primissimi fautori del progetto Isola?
La principale caratteristica che la Stecca degli Artigiani porta con sé è l’esperienza di relazione costruita con le persone e con il quartiere, che è diventata la struttura portante per l’istituzione di un Centro per l’Arte. In questo modo, dall’interno del progetto, ci siamo spesi per una programmazione e una amministrazione di tipo orizzontale. Il nuovo progetto invece si appoggia sulla tradizione delle pratiche di lotta riconvertite ad uso e consumo della speculazione privata. Temiamo infatti che questo centro culturale non sarà altro che un’altra vetrina per giustificare un intervento che cambierà la faccia del quartiere e sarà il risultato di una massiccia cementificazione.
Ristrutturare e sostenere l’Isola Art Center avrebbe invece rappresentato un salto di qualità per la città di Milano e avrebbe permesso agli architetti di applicare, concretamente, il concetto, da loro stessi elaborato, di architettura partecipata. Tutto ciò avrebbe rappresentato un modello di civiltà a cui raramente assistiamo in Italia.

Per leggere la prima parte dell’intervista a OsservatorioinOpera clicca qui