Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Il primo nome ad essersi affermato è quello in inglese di “Farmer Markets” ma negli ultimi tempi, con la loro diffusione in tutta Italia, stanno lentamente diventando i “mercati del contadino”. Cosa sono? Inizialmente sembrava che rappresentassero il frutto della spinta naturale di agricoltori e consumatori a tutelare i loro interessi, i primi guadagnando di più grazie ad una vendita diretta, i secondi risparmiando attraverso la cosiddetta “filiera corta” ovvero la riduzione della distanza tra produttore e consumatore in modo da far diminuire il più possibile il numero dei passaggi intermedi e la stessa distanza fisica tra le due figure. È il caso di punti di vendita diretta aperti in azienda dove produttore e consumatore si incontrano senza necessità che il bene di consumo percorra grandi distanze ed evitando ulteriori costi di intermediazione e trasporto. Perseguendo un obiettivo di filiera corta, in pochi mesi, il modello di commercio dei “farmer markets”, già esistente e consolidato da tempo in paesi come Francia e Gran Bretagna, si è lentamente trasformato in una pratica territoriale diffusa oltre ad uno strumento di sviluppo dell’economia locale e di parallela tutela dell’ambiente tanto da guadagnare un ruolo accanto alle più consolidate realtà produttive ed occupazionali di tipo agrituristico o dei più recenti centri di produzione di energie eco-compatibili.
A dare il via ai “mercati del contadino” in Italia è stato un decreto entrato in vigore lo scorso 1 gennaio, il quale ha provveduto ad eliminare gli ostacoli che ne avevano impedito precedentemente la nascita. Gli stessi produttori a livello locale hanno così individuato un luogo ed un giorno per riunirsi e proporre ai consumatori i beni prodotti nelle proprie aziende a prezzi più alti rispetto alle offerte dei vari distributori ma generalmente inferiori se paragonati ai prezzi finali praticati dai rivenditori. E in pochi mesi almeno un centinaio di mercati del contadino sono sorti in tutta Italia con concentrazioni maggiori soprattutto in Lombardia, Emilia Romagna e Toscana. Sulla scia dei mercati veri e propri, si sono fatte strada nella promozione anche altre forme di commercio diretto analoghe come i mercati del biologico, gli spacci locali, le aziende con vendita diretta, i ristoranti con uso di prodotti locali e i distributori automatici di latte crudo. Ma in cosa i mercati del contadino e i suoi simili possono costituire un nuovo modello di sviluppo economico sostenibile? Innanzitutto con i “farmer markets” si valorizzano i produttori minori (certamente non inferiori qualitativamente) con un impulso commerciale alla piccola imprenditoria locale e con un incentivo alle attività di conoscenza del mondo agricolo e di visita delle aziende sulla scia dell’agriturismo e delle fattorie didattiche. In alcuni punti sono inoltre già nati anche i primi locali in cui è possibile consumare pasti esclusivamente a base di prodotti “del contadino”, una probabile “tendenza” trainante come quella del “biologico” che quasi sempre accompagna i prodotti dei farmer markets. E se l’incontro fisico tra produttore e consumatore di una medesima zona non è sempre possibile, si può utilizzare il ricorso a internet per ordinare le merci locali del contadino. Una pratica, questa, già sperimentata ed avviata ad esempio nel mantovano, una delle zone con la maggior diffusione dei mercati del contadino. E l’ambiente? Non può che guadagnarci dato che i prodotti, non essendo trasportati fuori dal contesto locale, restano a “km zero” con un risparmio energetico che non crea debiti verso l’ambiente e che rispetta la stagionalità dei prodotti (oltre a non aumentare i costi finali della merce). Quindi meno inquinamento, più informazione ma anche più cultura dell’alimentazione. E magari anche più opportunità di sviluppo territoriale e di nuovo slancio alla piccola imprenditoria agricola spesso demoralizzata da ricavi troppo bassi per prodotti che rispettano ed anzi si basano proprio sui requisiti dell’artigianalità.