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L’attenzione al mondo dell’arte contemporanea si accresce sia dal punto di vista del pubblico, ovvero dei consumatori culturali, che da parte del mondo delle istituzioni e del sistema economico. Le logiche che sottendono l’evoluzione di questo settore, pur non facilmente intellegibili dall’esterno, si basano su un sistema di interazioni reciproche con la società, le politiche culturali ed i valori più propriamente economici che possono spiegarne, almeno in parte, la complessità.
Se consideriamo questo settore come ecosistema, scopriamo una galassia composta da vari attori – artisti, rappresentanti di case d’asta, galleristi, curatori, direttori di musei, critici, banche e consulenti di investimento- i quali, interagendo tra di loro in modi non del tutto prevedibili, possono impostare e modificare le regole, influenzando attivamente l’intero comparto ed i suoi rapporti con il mondo dell’economia e della politica.
Per dirla con Samuel Keller, ex direttore di Art Basel, il mondo dell’arte contemporanea è un “ecosistema in cui gli squali non mangiano i pesci poiché rimarrebbero ben presto a bocca asciutta”; in altri termini, si tratta di un ambiente all’interno del quale i grandi player, le case d’asta, non possono fare a meno di un rapporto di interdipendenza costante con le gallerie, i luoghi deputati a scoprire artisti di talento e ad accrescere la loro reputazione e, per converso, il loro valore sul mercato. Quanto sembra scompaginare gli equilibri è la recente tendenza alla labilità dei confini tra i ruoli di ciascuno: nonostante i direttori delle maggiori esposizioni d’arte sanciscano regole piuttosto ferree ed osteggino la presenza dei rappresentanti delle case d’asta, succede sempre più di frequente che questi ultimi frequentino gli appuntamenti fieristici per cogliere le tendenze del settore; a ciò si aggiunga che in alcuni comitati di selezione delle biennali d’arte si scorgono nomi appartenenti al mondo del commercio dell’arte; le stesse Christie’s e Sotheby’s aprono le loro gallerie, infilandosi direttamente nel rapporto mediato dagli storici galleristi. Certo anche gli artisti, soprattutto le super star regine delle quotazioni, quando possono, si infilano nel gioco proponendo le proprie regole. I più bravi riescono a giocarle a proprio vantaggio. Basti solo pensare all’ultima performance della star Damien Hirst che ha venduto all’asta da Sotheby’s gran parte della sua produzione artistica degli ultimi due anni, aggirando qualunque tipo di rapporto con i commercianti d’arte ed i galleristi e rifiutando qualunque tipo di intermediazione tradizionale. Caso agli antipodi di un Rammelzee, star dei grafitisti americani, il quale vendette le sue opere ai galleristi non mantenendo alcun diritto sui successivi passaggi di proprietà.
Questo lo sfondo su cui si muove un mondo che, volenti o nolenti, è fortemente legato a regole commerciali, e ad al quale è legato un mercato di proporzioni enormi che si è allargato nel giro di un solo decennio. Esso ha, infatti, celebrato il suo primo vero successo solo pochi anni fa, quando con la storica asta di Sotheby’s, datata 6 maggio 1997, sono stati realizzati 15.2 milioni di dollari in vendite a partire dalla collezione del dr. Nadal-Ginard (primo presidente del Boston Children’s Heart Foundation) che contava, tra gli altri, artisti del calibro di Jeff Koons, Bruce Nauman, Matthew Barney, Rachel Whiteread, Robert Gober e Kiki Smith. Da quel momento in poi, l’arte contemporanea è divenuta la star delle vendite di arte anche a livello mondiale, grazie ad acquirenti provenienti da tutti i continenti. Un fenomeno che è strettamente connesso con la cosiddetta “biennalizzazione” dell’arte, intesa quale fenomeno legato al proliferare di fiere ed esposizioni, di vario livello qualitativo, in tutto il mondo. Se la prima biennale d’arte è la Biennale di Venezia, datata 1895, e se per quasi un secolo accanto a questa si sono alternate solo altre sedici biennali, nel giro di meno di un ventennio si arriva a contare almeno sessanta eventi di arte contemporanea a livello globale. All’inizio degli anni Novanta la gran parte dei paesi dell’Eurasia, molti dell’America Latina, dell’Oceania e dell’Africa hanno cominciato ad organizzare manifestazioni di arte contemporanea: dalla Turchia, passando per Senegal, Taiwan e Shangai, fino a Osaka e al Brasile, non esiste paese che non ospiti la sua biennale e che, dunque, non offra una visibilità e a volte, accresca sensibilità e gusto verso il settore.
Volendo quantificare in termini economici il valore di questo mercato, il calcolo è presto fatto: il mercato globale dell’arte contemporanea, si aggira su una cifra tra i 20 e i 30 miliardi di dollari – e potrebbe trattarsi di cifre assolutamente sottostimate, riferite quasi esclusivamente al giro di affari delle due grandi case d’asta – Christie’s e Sotheby’s – , che la fanno da padrone, e che hanno acquisito con un controllo del mercato pari ad almeno il 70%. Solo in Italia, stando al rapporto su ”L’arte moderna e contemporanea e il suo mercato in Italia”, a cura del Laboratorio Nomisma sul Commercio dei Beni Artistici, nel 2007 questo mercato ha superato la cifra di 1,8 miliardi di euro, facendo registrare prezzi mediamente più elevati, scambi più frequenti e l’ingresso tra gli acquirenti di giovani tra i 30 ed i 45 anni, sempre più propensi a preferire gli investimenti nel settore dell’arte contemporanea a quelli immobiliare ed azionario. E come dar loro torto, se è vero che nel corso dell’ultimo decennio gli investimenti in arte hanno generato un valore di dieci volte l’investimento iniziale.
La vera questione è probabilmente un’altra: non si tratta più, o comunque non soltanto, del mero rapporto tra arte e mercato, che è sempre, in qualche modo esistito, ma di quanto il marketing stesso influenzi la produzione degli artisti contemporanei. O piuttosto, per dirla con Hirst, quanto debbano essere “sempre i soldi ad inseguire l’arte, e non il contrario”. Non si può, infatti, tacere dell’appeal che l’arte contemporanea eserciti sulle élite economiche, soprattutto sui ricchi di nuova generazione prodotti dall’apertura al mercato di paesi quali Russia e Cina. Un esempio su tutti è il caso del multimilionario, Roman Abramovic, che ha acquistato un intero spazio da dedicare all’arte contemporanea, il CCC Moscow Garage Centre for Contemporary Culture, un ex rimessa di autobus di 85.000 metri quadri risalente al 1927 ad opera dell’architetto costruttivista Konstantin Melnikov il cui coordinatore è Mollie Dent-Brocklehurst, curatore con un passato alla Gagosian Gallery, una delle gallerie più potenti a livello mondiale.
Se l’andamento del mercato è questo, imprevedibile e sorprendente, altra questione è il rapporto con i consumatori culturali e le pubbliche istituzioni, impegnate negli ultimi anni ad effettuare ingente utilizzo di risorse per la costruzione di musei e sedi espositive destinati ad ospitare opere di arte moderna e contemporanea. Il consistente utilizzo di capitali destinati ad inaugurare politiche culturali e di valorizzazione urbana legati alla costruzioni di “cattedrali della modernità” si è rivelato un modo per modificare sostanzialmente paesaggi ed identità urbane, contribuire a formare il gusto degli abitanti, educare un pubblico neofita, ed attirare un sempre maggior numero di visitatori. Si pensi solo al caso del Museo Guggenheim di Bilbao, inaugurato nel 1997: a fronte di un investimento pari a 85 milioni di euro, ha generato nel giro di pochi anni un aumento del Pil della regione basca pari a 140 milioni di Euro e 4 mila posti di lavoro in più, divenendo in questo modo protagonista del rilancio economico di una città e di un’intera regione.
Cifre record anche dal punto di vista dei consumatori culturali che si mostrano sempre più interessati a visitare eventi di arte contemporanea: nel 2007 la Biennale di Venezia ha raggiunto un numero di visitatori pari a 319 mila, mentre la Tate Modern, nel corso dello stesso anno, ha registrato un pubblico pari a 5.2 milioni di visitatori. Si tratta di cifre di tutto rispetto, anche se l’arte contemporanea, quale consumo culturale, rimane sicuramente di nicchia e non è pensabile che raggiunga le cifre dei blockbuster, tanto più che spesso essa necessita una forma di comprensione del linguaggio piuttosto complessa, laddove non una vera e propria “iniziazione”. E’ certo, però, che la produzione artistica contemporanea, che si nutre dei vari linguaggi in grado di modificare profondamente i canoni sia della narrazione che della percezione estetica, racchiude in sè potenzialità di educare ad un gusto provocatorio e critico, permettendo di rafforzare la consapevolezza soggettiva, ed imprimere opportunità di fertilizzazione incrociata con il mondo della creatività, dei media e delle imprese, a tutto vantaggio dell’accrescersi delle componenti culturali del vivere quotidiano.
Riferimenti
Is the art market heading for a fall?, The Sunday Times, 30 Marzo, 2008.
Dal Pozzolo, L., (2008), “Il consumatore culturale, ritratto in seppia”, in L’arte dello spettatore, Franco Angeli, Milano.
Nomisma, Laboratorio sul commercio dei Beni Artistici, (2007), L’arte moderna e contemporanea e il suo mercato in Italia, Bologna.
Poli, F., (2008), Il sistema dell’arte contemporanea, Produzione artistica, mercato, musei, Laterza, Roma.
www.ecoledumagasin.com
http://nymag.com/arts/art/features/16542