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Intervista con Massimo Premuda
In occasione del progetto di comunicazione transfrontaliera “microstorie affollano il confine”, organizzato dal Corecom FVG, è stato chiamato, insieme a Roberta Cianciola, ad interpretare il tema del confine e a rendere “relazionale” la vostra interpretazione. Che progetto artistico avete intrapreso allo scopo?
In occasione dei primi 6 mesi senza più i controlli ai valichi di confine, siamo stati incaricati dal Corecom FVG di andare a sondare le “microricadute” (reali o emotive) che tale avvenimento storico ha provocato sulla popolazione che vive lungo la linea di confine fra l’Italia e la Slovenia, e, in collaborazione con la Tv Transfrontaliera, un network costituito da RAI 3 Regionale del Friuli Venezia Giulia e da TV Koper-Capodistria, e con la SWG, società di sondaggi di Trieste, abbiamo cercato di monitorare le impressioni, desideri, abitudini e aspettative dei cittadini di Trieste, Koper, Gorizia e Nova Gorica. Il tutto si è concretizzato in un evento di arte pubblica sull’ex-valico di confine di Rabuiese (che separa Trieste da Koper), nel tentativo di “ripopolare” tale area ormai dismessa con le “microinterviste” ai cittadini per riflettere sulla loro diversa percezione, fruizione ed appartenenza alla “realtà transfrontaliera”.
Quali erano le aspettative che nutriva nei confronti del progetto, e quali effetti ha sortito nella popolazione locale e nelle amministrazioni nella pratica secondo lei?
“microstorie affollano il confine” ha fatto parlare la popolazione transfrontaliera riguardo le tematiche a lei care e ne ha investigato l’immaginario con domande del genere “di che colore era il confine?” o “cosa c’è oggi al confine?” Le risposte sono state sorprendenti e penso che il progetto promosso dal Corecom FVG sia stato un piccolo successo, un piccolo tassello teso alla reciproca conoscenza, collaborazione e frequentazione fra le pubbliche amministrazioni, tv locali e altri enti, e anche un piccolo contributo per appianare la diffidenza fra la popolazione italiana e slovena “al di qua e al di là del confine”. I risultati che abbiamo ottenuto dalle interviste e dalle testimonianze raccolte evidenziano quanto queste genti siano simili e desiderose di guardare al futuro, un futuro condiviso frutto della comune adesione alla Comunità Europea.
Le domande di un’artista vanno a indagare un immaginario differente rispetto a quelle di un giornalista o di uno studioso. Ci piacerebbe sapere se le modalità di intervistare sono state convenzionali e quale è stato il vostro personale approccio alla gente…
Il Corecom FVG ci ha lasciati liberi di interpretare il tema del confine da un punto di vista molto personale ed emotivo intervistando le persone incontrate casualmente in strada. Le storie personali sono diventate dunque universali in quanto chiunque si può riconoscere in qualcosa che è stato detto dagli intervistati. Per quanto riguarda il metodo, l’arte relazionale ha infinite declinazioni e dunque abbiamo potuto entrare in relazione e far partecipare le persone al progetto nella misura in cui se la sentivano. Partendo così dal questionario, utilizzato come semplice canovaccio, le persone si spingevano automaticamente oltre, incominciando a raccontarci piccole ma significative storie intime, come ad esempio l’intervista a un passeur, e tutto questo materiale è stato raccolto e montato con la consapevolezza ed il rispetto dovuti al fatto che ci sentiamo i depositari di memorie e testimonianze veramente importanti. Il video è stato in seguito trasmesso sul confine per un mese intero e adesso sta girando sui circuiti televisivi della Tv Transfrontaliera.
Pensa che l’arte pubblica sia uno strumento di sensibilizzazione sociale ai temi che l’agenda politica propone?
Penso che l’arte pubblica e anche l’arte relazionale siano due strumenti che sempre più verranno utilizzati, e spero non strumentalizzati, dalla classe dirigente. Si tratta di forme di comunicazione ibride che gli enti pubblici, come ad esempio il Corecom FVG, ritengono valide per discutere da insoliti punti di vista di tematiche sociali. Penso che il risultato positivo raggiunto da me e da Roberta Cianciola consista proprio nel fatto che non siamo né giornalisti né amministratori pubblici, e dunque la freschezza di “microstorie affollano il confine” risiede proprio nell’interdisciplinarietà e nella libertà con la quale due artisti sono riusciti a coinvolgere sia in Italia che in Slovenia le amministrazioni pubbliche, le tv locali, le società di sondaggi e logicamente la popolazione che ha partecipato attivamente al progetto diventandone il protagonista.
L’essere triestino l’ha aiutata nell’interpretazione del tema del confine e nella messa in pratica dell’azione artistica?
Nascere e vivere in un territorio che è stato segnato drammaticamente da due guerre mondiali e dalla “cortina di ferro”, significa vivere con il “confine dentro”. Io e Roberta Cianciola, entrambi triestini, abbiamo cercato di interpretare e preservare dall’oblio proprio la cosiddetta “vita di confine”, fatta di piccole e grandi storie, divertenti e dolorose, di cui può conservarne memoria solo la popolazione italiana e slovena che per più di mezzo secolo ha vissuto a cavallo di questo confine. Altri progetti sulla “memoria del confine”, oltre a questo del Corecom FVG, stanno venendo realizzati anche a Gorizia e Nova Gorica, non nell’ottica di costruire una memoria condivisa, impresa impossibile, ma per documentare e solo in seguito superare insieme le incomprensioni del passato.
Esistono, secondo lei, dei luoghi dell’arte e un peculiare pubblico dell’arte?
L’arte contemporanea rappresenta un “micromondo” che usa un suo linguaggio specifico e di conseguenza il suo seguito è esiguo, un po’ come la musica classica o campi simili, ma penso che eventi di arte pubblica e relazionale servano proprio a far sentire il pubblico partecipe del fare artistico interagendo con l’opera. Un’operazione come “microstorie affollano il confine”, ad esempio, è riuscita a coinvolgere una gran parte della popolazione che di solito non si avvicina all’arte, come i pendolari transfrontalieri e addirittura i camionisti che transitano nell’area dell’ex-valico di confine, rendendoli protagonisti di un’esperienza artistica a cui altrimenti non avrebbero mai partecipato.
Lei non si occupa esclusivamente di arte pubblica. Al momento sta esponendo all’interno della 4° edizione del festival internazionale “triestèfotografia” con una sua personale “Popcorning”. In quale direzione va la sua ricerca artistica?
La mia ricerca artistica si è sempre rivolta al tema del gioco e del giocattolo, e negli ultimi anni hanno fatto la loro comparsa dei piccoli roditori domestici, dei pets, che sono diventati i nuovi protagonisti delle mie ultime opere. Così anche in “Popcorning”, la mia personale in corso visitabile fino all’8 novembre presso lo Studio Tommaseo di Trieste, dei candidi porcellini d’India sono messi in relazione al popcorn, mondo vegetale e animale a confronto, investigati e interpretati come un’esplosione di vitalità e sessualità. La mostra parte da suggestioni e giochi di parole fra il “popcorning”, il particolare scoppiettare delle caviette dovuto all’eccitazione sessuale, e il popolare cibo di massa. Ogni chicco di granturco infatti, se riscaldato, genera una pressione interna che cresce fino a creare un’improvvisa e piccola esplosione, rivoltando l’endosperma del seme verso l’esterno in una leggera schiuma bianca che dà al popcorn il suo classico aspetto, interpretato come una sorta di cristallizzazione di una eiaculazione; al contrario curiosamente i chicchi di mais inesplosi vengono chiamati le “vecchie zitelle”.
Ci può illustrare la sua “ipotesi bizzarra e futuribile di edilizia popolare in forma di ‘architettura animale’ per porcellini d’India”?
Il mio campo di interesse adesso si sta spostando verso gli animali architetti e verso una sorta di design per i piccoli animali domestici. La mia ricerca nasce da un’esigenza molto pratica, e cioè dal fatto che questi roditori domestici si riproducono molto velocemente, essendo la loro unica arma di difesa. La mia idea di “edilizia popolare” per porcellini d’India mira dunque al creare dei veri e propri moduli abitativi componibili a seconda del numero, che è molto variabile, di nuovi e vecchi ospiti. Penso che questi pets meritino di vivere in degli spazi belli e funzionali, ma penso che anche noi che viviamo con loro ci meritiamo di vivere circondati di oggetti dal design interessante.
Leggi l’intervista fatta al Presidente del Corecom FVG