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Crisi dei ceti medi e rivoluzione lunga
In un libro recente Piero Bevilacqua, ordinario di storia contemporanea presso l’Università di Roma La Sapienza, ha scritto che “l’insieme dei processi economici e sociali che nell’ultimo mezzo secolo ha moltiplicato i redditi individuali dei cittadini dell’Occidente, accresciuto il loro benessere materiale, innalzato il loro orizzonte culturale, esteso gli spazi di libertà e rafforzato la loro partecipazione democratica, si è concluso”. A sostenere la tesi che il capitalismo – il modello economico che attualmente regola le maggiori democrazie occidentali, e a cui aspirano molti dei paesi in via di sviluppo -, sia destinato ad essere sostituito da un nuovo paradigma produttivo risultano essere in tanti.
In particolare il dibattito sul capitalismo e sulla sua capacità di adattamento ai contesti di vita contemporanei lascia intravedere l’incapacità di questa forma di organizzazione della vita economica e sociale di gestire situazioni dominate da quella che è stata definita “economia della conoscenza”. A discapito dei suoi principali punti di forza, sintetizzabili in una ineguagliabile capacità produttiva e in una spiccata tendenza all’innovazione, il capitalismo sembra essere inadeguato a regolare le dinamiche che sono alla base di società in cui la produzione di beni immateriali, quali le informazioni e le conoscenze, ha ormai superato quella dei beni tangibili, modificando profondamente i comportamenti e le motivazioni di chi opera all’interno del mercato. Se è vero che l’economia della conoscenza trova nel capitalismo una base imprescindibile per la sua esistenza, è anche vero che ne rappresenta un superamento, riportando in auge il principio di cooperazione.
La diffusione di internet, lo sviluppo dei software open source, la rapida circolazione delle informazioni hanno messo in evidenza come nell’epoca della knowledge economy si stia gradualmente imponendo un nuovo modo di produrre, basato sulla collaborazione, sulla trasparenza e sulla immediata disponibilità delle informazioni e delle conoscenze.
Il capitalismo risulta essere, pertanto, impreparato a gestire un bene come la conoscenza, che presenta caratteristiche profondamente diverse rispetto alla proprietà privata, con cui per decenni è stato abituato ad interfacciarsi.
Enrico Grazzini, analista dell’economia della comunicazione e delle innovazioni, parte da queste considerazioni per porre al centro del suo ultimo libro – “L’economia della conoscenza oltre il capitalismo” – una riflessione sulle modalità attraverso cui “l’economia della conoscenza abbia inciso sulla struttura della società e sui rapporti di classe”, in quanto “anche se non ha prodotto rivoluzioni radicali dei rapporti di potere, ha comunque modificato profondamente le relazioni tra le classi, tra gli strati sociali e tra i diversi paesi”.
Il tutto per dimostrare che con la prevalenza della sfera del simbolico e dell’immateriale, non solo la cultura diviene il nuovo perno attorno cui far ruotare l’intera economia, ma che la produzione di tipo cooperativo propria delle conoscenze può essere molto più efficace di quella capitalista.
Leggi l’anteprima del libro
L’economia della conoscenza oltre il capitalismo
Crisi dei ceti medi e rivoluzione lunga
Enrico Grazzini
Codice Edizioni 2008 euro 15
ISBN 978-88-7578-111-8
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