Intervista a Clara Rech – Presidente dell’ANISA – Associazione Nazionale Insegnanti Storia dell’Arte

liceo_artistico_studentiDa quasi due mesi l’ANISA ha promosso la campagna di sottoscrizione all’“APPELLO PER LA STORIA DELL’ARTE NELLA SCUOLA”. L’allarme è seguito alla presa visione dei nuovi curricula dei Licei, sia artistico che classico, in cui si prevede una drastica riduzione delle ore dedicate alla storia dell’arte. Ci può spiegare in poche battute la questione e qual è l’aspetto critico?
Il nodo della questione è che in un Paese dall’inestimabile patrimonio culturale come il nostro si sta tentando di eliminare la storia dell’arte nei curricula scolastici –  per esempio in istituti professionali per il turismo -, o di ridurne le ore di insegnamento in maniera consistente (nel liceo classico e nell’artistico stesso); nel caso del classico si tratterebbe di una sola ora a settimana per cinque anni, almeno secondo bozze ministeriali che circolano in maniera non ufficiale ma verosimile. È evidentemente un intervento in netta controtendenza a  altri Paesi europei dove, invece, la storia dell’arte viene introdotta come obbligatoria (vedi la Francia). Il provvedimento italiano provoca inevitabilmente una serie di conseguenze negative: da una parte  una riduzione indiscutibile dell’efficacia della materia, dall’altra una indubbia difficoltà per i singoli docenti che  si troverebbero ad avere 18 classi, con  un carico di lavoro  enorme, ben diverso dagli insegnanti di religione, che non hanno una valutazione numerica ma solo di giudizio e classi con un numero di studenti ridotto, essendo materia opzionale. Come Anisa, siamo molto allarmati non soltanto perché l’educazione all’arte svolge un ruolo insostituibile nella formazione dei giovani grazie al suo essere disciplina trasversale a tutte le altre che sollecita tanto la sfera cognitiva analitica quanto quella intuitiva. L’esperienza artistica deve essere un patrimonio condiviso da tutti, secondo un elementare principio di democrazia: in ogni individuo esiste un potenziale espressivo innato da valorizzare pienamente. Ma anche perché non esiste conoscenza se non si è capaci di scegliere, cioè di essere liberi e l’esperienza estetica ne è il veicolo privilegiato. Libertà e fantasia sono complementari nell’attività creativa ma sono anche necessarie nei processi di apprendimento; non si può imparare davvero se non si riesce a inventare qualcosa e l’invenzione ha bisogno di curiosità, della volontà di scoprire e, soprattutto, dell’emozione che fa “vibrare l’anima”, per usare un’espressione di un pittore-musicista come Kandinskij (“…l’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima”).
Ecco perché, fin dai primi anni di scuola, l’educazione all’arte e ai suoi molteplici linguaggi espressivi (visivo, musicale….) può essere l’asse privilegiato attorno a cui far muovere l’intero processo di apprendimento. Non si tratta solo di trasmettere informazioni sulla musica o sull’arte, ma di stimolare nelle bambine e nei bambini la capacità di inventare, di interpretare, di creare conoscenza. Di mettere pienamente a frutto la mente a doppio taglio, di cui parlava Arnheim , che permette sia l’intuizione percettiva che la standardizzazione intellettuale dei concetti, facendo apprezzare quanto sapido possa essere il gusto del sapere. Senza sottovalutare che tramite l’educazione al patrimonio si possono veicolare valori fondamentali di educazione civica,  di sensibilizzazione alla tutela e alla salvaguardia dei beni storico-artistici, cosa che è ampiamente provato e teorizzato  si verifichi fin dalla tenera età.
L’“Appello per la storia dell’arte nella scuola” ha l’obiettivo di poter mantenere questa opportunità formativa per i nostri ragazzi.

Come sta procedendo la campagna informativa? È veicolata solo tramite il web?
La campagna informativa sta avendo un enorme successo, con un riscontro a livello mondiale, anche da personalità di primissimo ordine. Hanno firmato più di 3300 persone. Lo hanno sottoscritto dal Canada, dall’America del Nord e America latina, dai Paesi dell’est Europa. Altrettanto significativo è il contributo di persone comuni, probabilmente perché è una esigenza avvertita a tutti i livelli e per motivi diversi. Sottolineo che si tratta di una campagna che non ha coinvolto solo personalità appartenenti all’ambito scolastico, ma anche soggetti afferenti a settori distanti dal mondo della scuola.  Di questi, ovviamente,  la parte più cospicua è costituita da addetti ai lavori nel campo dell’arte, come docenti universitari, sovrintendenti, direttori di musei, musicisti ecc. Ma non manca la gente comune, i professionisti, gli studenti e i loro genitori…
Il canale di promozione della campagna è unicamente la Rete, ma tenga presente che l’Anisa è attiva dagli anni ‘50 e beneficia di una certa notorietà, essendo l’unica associazione ad occuparsi esclusivamente di insegnamento della storia dell’arte. E poi gode di considerevole visibilità a livello pubblico grazie alla promozione di importanti iniziative quali le “Olimpiadi del patrimonio” o le numerose iniziative di formazione degli adulti.

A proposito di comunicazione della campagna, il 26 febbraio ci sarà una conferenza stampa ufficiale, a cui hanno già dato conferma di adesione al tavolo dei relatori alcuni “firmatari” di spicco nel panorama nazionale. Tra questi: Adriano La Regina (Università “La Sapienza” – Presidente Istituto Naz. Archeologia e Storia dell’Arte); Claudio Strinati (Sopr. Polo Museale Romano); Maria Vittoria Marini Clarelli (Soprint. GNAM);  Marisa Dalai Emiliani (Università “La Sapienza” – Associaz. Bianchi Bandinelli); Cesare De Seta (Università Federico II, Napoli). Ovviamente ci sarò io e probabilmente un addetto culturale francese per testimoniare una sensibilità a solidarietà anche dall’estero. Sono previsti, inoltre, un intervento del  Senatore Francesco Rutelli e di Manuela Ghizzoni (VII Commissione Cultura della Camera). Il dibattito sarà moderato dalla giornalista Simonetta Fiori de La Repubblica.
Speriamo sia una buona occasione per esporre la nostra posizione. Il ministero ha confermato che in questo anno, in cui si dibatte sulla riforma delle scuole superiori,  si sarebbe avvalso del contributo degli addetti ai lavori, delle associazioni disciplinari, per poter strutturare una riforma dei curricula dal riscontro pratico.

Mentre a livello istituzionale si dibatte sulla salvaguardia della “materia” nei programmi didattici, a livello pratico si continua nell’insegnamento dell’arte nelle scuole. Come si è evoluta la didattica dell’arte dentro la scuola? Parliamo, per esempio,  dell’utilizzo delle nuove tecnologie o della necessità di insegnamento anche dell’arte contemporanea. I programmi didattici come sono stati aggiornati?
L’insegnamento della disciplina, esattamente come tante altre, si è andato arricchendo di una nuova consapevolezza pedagogica, nel senso che rispetto alla tradizionale lezione frontale i docenti sanno sempre più rendersi flessibili, alternando e applicando altri tipi di didattica. In particolare, la storia dell’arte si presta sia a visite guidate e a sopralluoghi su posto, sia ad una didattica più laboratoriale che normalmente vien messa in atto in occasione di un progetto specifico. Un esempio per tutti, ormai storico, “La scuola adotta un monumento”, dove i ragazzi sono anche chiamati a “fare” delle cose valendosi delle nozioni teoriche che hanno assunto. Un modo alternativo di fare didattica.
Molti dei docenti , inoltre, si valgono dell’utilizzo di nuove tecnologie, usando i PowerPoint oppure internet – per visitare musei lontani e non facilmente raggiungibili, come il sito dell’Hermitage, che è straordinariamente ricco ed efficiente-, oppure per produrre materiali o Cd-rom come prodotto finale di un progetto. Alcuni docenti, sempre più numerosi, sperimentano il metodo CLIL (Content and Language Integrated Learning) che consiste nel fare insegnamento mediante una lingua straniera. In questo la storia dell’arte si presta particolarmente bene perché il suo contenuto è necessariamente trasversale, non soltanto perché interseca tutta una serie di discipline, che vanno dal campo scientifico a quello umanistico, ma ovviamente perché travalica i confini nazionali. Certamente parlando di arte contemporanea non ci si può fermare soltanto all’Italia. Questo insegnamento, abbinato al medium linguistico, diventa assolutamente efficace ed in linea con le tendenze che in Italia si stanno affermando ma che soprattutto all’estero sono una realtà ben costituita. Lo scorso ottobre, per esempio, ho partecipato ad una visita dell’Agenzia Europea in Bulgaria, trovando un paese sorprendentemente avanti, nonostante le difficoltà economiche e  il suo recente ingresso in Unione Europea e in un sistema democratico. Un paese in cui tutta la popolazione scolarizzata parla una seconda lingua e dove un intero anno scolastico – l’ottavo – verte su una lingua straniera.  Realtà che da noi sono assolutamente al di là da venire ma che presupporrebbero tutta un’altra cura per  i docenti o per  coloro che si apprestano a diventarlo.

Può indicarci delle fonti di aggiornamento per i docenti (private, ministeriali, associative, ecc)?
L’aggiornamento è un diritto-dovere. Dovrebbe esserci una esigenza sentita autonomamente ma nessun obbligo è previsto. Il  Ministero fornisce una rosa di possibilità di aggiornamento ma sempre senza obbligo; in particolare, cura la preparazione dei tirocinanti, con modalità di e-learning abbinate a incontri in presenza, ma l’aggiornamento disciplinare lo fanno in realtà le associazioni con cui il ministero sporadicamente è in contatto mediante l’ufficio scolastico regionale. Diciamo che non esiste un canale fisso e strutturalmente frequentato.

studenti-al-museoIstituti d’arte e territorio. Sussiste una relazione tra le scuole e il territorio, intesa non solo in termini di fruizione del patrimonio ma di interazione?
Questa relazione è riscontrabile moltissimo negli istituti d’arte, nei quali sono previsti degli stage nelle realtà territoriali. Specialmente in  provincia c’è molto raccordo, che dipende dall’offerta del territorio. Se ci troviamo in una zone di grande produzione tessile viene da sé che l’istituto d’arte avrà quel tipo di specializzazione e che gli studenti faranno stage in industrie di quel genere. Situazioni del genere si verificano anche molto spesso negli istituti per il turismo.  Assai frequenti sono anche i raccordi tra scuola e mueso, grazie anche all’accordo quadro sotoscritto tra gli attuali MIUR e MiBAC nel 1998 che prevedeva una forma di collaborazione tra le due istituzioni. Grazie a questo molti studenti hanno potuto lavorare e interagire con i musei della prorpia città imparando a servirsene come di validi e diversi “strumenti didattici” a loro disposizione.

A dicembre scorso l’Anisa, insieme all’Anastar – Associazione Nazionale Storici dell’arte- e alla Cuntsa  – Consulta Nazionale Universitaria della Storia dell’Arte –  ha organizzato un incontro-dibattito sul tema del futuro professionale dei giovani storici dell’arte e sul problematico rapporto tra formazione e lavoro nell’ambito della storia dell’arte. Un incontro tenutosi a circa quattro anni dal convegno “Lo storico dell’arte: formazione e professioni”, a Milano. Come procede il dibattito?
Il dibattito è concentrato su temi che riguardano le recenti riforme della formazione universitaria e le modifiche  della professionalità dello storico dell’arte. La domanda è: “A che professione può accedere lo storico dell’arte dopo le riforma universitarie?” È più che altro un interrogativo, per tentare di individuare gli spazi di azione ed eventuali richieste o modifiche di disegni di legge in funzione del cambiamento dei corsi di laurea, delle classi di concorso, che provocano inevitabilmente  una diversa spendibilità di un titolo; ad esempio, nel campo dell’insegnamento, dando corso alla legge 53/2003, che prevede l’abolizione delle SSIS, cioè delle scuole di specializzazione all’insegnamento secondario, per tutte le discipline. Quello che era il tipo di istruzione pensato per garantire, dopo due anni di specializzazione, il titolo abilitante, quindi l’ingresso nella scuola, ora è chiuso. Si diventerà insegnanti dopo tre anni di laurea, due anni di “magistrale”-laurea specialistica, e un anno di tirocinio presso una scuola. Se così sarà, bisognerà capire che tipo di contenuti introdurre nel biennio di laurea specialistica affinché non siano impoverenti per la formazioni storico-artistica, ma al tempo stesso dotino le persone degli strumenti adeguanti per insegnare. Ora siamo in una situazione di risoluzione problematica.

I due anni di didattica della SSIS erano necessari, ma sussistevano delle difformità nei percorsi formativi:  contestualmente agli abilitati SSIS sopravvivevano le frange del sistema precedente, per cui i supplenti che avevano maturato del punteggio sono state riassorbiti dal sistema.
L’abolizione del titolo abilitante infatti era stato sostituito dall’abilitazione ottenuta con il titolo di SSIS.
È chiaro che all’interno del nuovo percorso che si sta cercando di delineare sia necessaria l’acquisizione di competenze di contenuto, di progettualità ma anche una preparazione pedagogica. Da questo punto di vista, gli anni di SSIS hanno comprovato la validità del sistema. È pur vero, però, che non si può chiedere ad uno studente di poter accedere all’insegnamento solo dopo 6 o 7 anni di formazione, trovandosi successivamente in una situazione precaria non riconosciuta né sul piano sociale che economico in maniera adeguata. È probabile che i “migliori” non andranno ad insegnare.

Oltre alla scuola, quali sono gli sbocchi professionali dei laureati, specializzati, dottorati e masterizzati in storia dell’arte?
Il neolaureato in storia dell’arte sa perfettamente che questo è un settore alquanto difficile, lo è sempre stato e allo stato attuale ancora di più. Si va dall’insegnamento al giornalismo, alle attività connesse al restauro, all’impiego nella Pubblica Amministrazione presso sovrintendenze ai Beni artistici, ai Musei, ecc.

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