co-workingNato nel 2005 negli Stati Uniti e diffusosi rapidamente in tutto il continente americano, il co-working rappresenta un fenomeno che sta emergendo recentemente anche in Europa come nuova modalità di lavorare, inserendosi a metà tra la consueta attività di ufficio e il telelavoro. Le cifre fotografano una rapida crescita della tendenza, che prevede una diffusione pari a 100 milioni di utilizzatori entro il 2010 (dati riferiti agli USA). Il termine stesso, coniato da un programmatore statunitense, Brad Neuberg, racchiude la portata innovativa del fenomeno, che coniuga l’indipendenza e la libertà del lavoro autonomo con il beneficio di poter condividere gli spazi con altri liberi professionisti e trarre da questi gli stimoli creativi per il proprio lavoro. Gli spazi co-work sono generalmente costituiti da stanze o appartamenti di medie dimensioni con più postazioni lavoro, predisposti di connessione Wi-Fi, stampante, fax, telefono, spazio riunioni, cucina, secondo la formula proposta dai proprietari, in modalità differenti, che vanno dall’affitto della postazione per settimane (prezzo medio pari a 125 €) o per mesi interi (tariffa mensile che si aggira tra i 200- 250 €), prevedendo anche la possibilità di opzioni “drop-in”, in cui l’utente può fermarsi per qualche ora e lavorare in un’area non riservata ad un prezzo inferiore o anche gratuitamente. Nel web si registra un proliferare di siti e banche dati (http://coworking.pbwiki.com/) che raccolgono le varie esperienze di co-working, trovando come comune denominatore una concezione del lavoro orizzontale, in cui lo spirito comunitario che deriva dalla contiguità degli spazi abbatte qualsiasi struttura lavorativa di tipo gerarchico – piramidale, tipica delle aziende, eliminando anche qualsiasi forma di rivalità e competizione. La condivisione degli spazi e dei saperi di certo non costituisce una novità, costituendo una modalità lavorativa che è fortemente caratterizzante il macro-settore della creatività (architetti, designers, scrittori, pittori, fotografi per citarne alcuni) e di per sé anche uno stimolo alla produttività; ciò che differenzia il co-working è la contaminazione delle professionalità e la possibilità di elaborare progetti che risentono delle reti sociali sviluppate in modo “informale” e fortuito all’interno degli stessi spazi, grazie alla vicinanza fisica e alla possibilità di fare brainstorming tra “freelancers” localizzati in postazioni differenti. Non solo il settore creativo, ma anche quello imprenditoriale sembra rivolgersi a modalità di co-working, soprattutto per convenienza economica, scegliendo, come nel caso dell’azienda americana Regus Group, di affittare a società in start-up le proprie sale conferenze a tariffe orarie e giornaliere o di predisporre “uffici virtuali” dotati di ogni tipo di comfort “professionale” (indirizzo e telefono personale, reception, mail aziendale). Affine a questa realtà si ritrova anche l’attività di incubatore svolta perlopiù da gruppi no-profit, dedicata all’assistenza per la fase di crescita delle neo-società. Restringendo l’obiettivo ai confini nazionali, anche l’Italia sembra aver accolto con favore la pratica del co-working, collocandosi nella media europea con ben 4 spazi aperti, concentrati al centro-nord. La formula vincente che connota le esperienze conterranee sembra essere quella del co-working “sostenibile”, ovvero promuovere progetti che siano in grado di sensibilizzare fasce sempre più ampie della società, attraverso forme di partnership pubblico/privato volte alla valorizzazione delle risorse naturalistiche ed artistiche locali. Così a Bologna si trovano soluzioni originali, come quelle promosse dall’associazione culturale La Pillola400, che, oltre ad offrire 400mq di openspace adibito alla pratica del coworking (dotato di 25 postazioni d’ufficio in affitto), promuovono manifestazioni artistico-culturali allo scopo di proporre soluzioni nuove e creative per la salvaguardia dell’ambiente e il recupero delle risorse attraverso il binomio rifiuti – arte (emblematico l’evento “L’École del Rusco”, giunto alla sua terza edizione), ruotando intorno al tema dell’arte come forma creativa per il riuso e la seconda vita delle cose. Esempio che traduce la multidimensionalità del co-working, modalità che è espressione della società che cambia, e con essa il lavoro, grazie anche alle nuove tecnologie e all’esigenza di flessibilità che l’isolamento delle aziende spesso comportano. Non resta che attendere l’evoluzione del fenomeno, auspicando che lo spirito di condivisione e l’ambiente stimolante siano sempre portavoce di nuove e singolari opportunità creative.