Intervista ad Angelo Grassi – ideatore e organizzatore di Ortofabbrica

ortofabbrica1Angelo Grassi si occupa da oltre trent’anni di progettazione e realizzazione di scenografie e stand fieristici e museali collaborando con la Sopraintendenza per i Beni storici e Artistici di Bologna e prestigiosi nomi della moda e dell’arte. Produce inoltre come designer, una sua linea di arredamento e design realizzata interamente con materiali eco-compatibili.

Dal 22 al 27 aprile si terrà, nell’ambito di Zona Tortona Design 2009, OrtoFabbrica, un progetto da lei ideato, realizzato e promosso. Come nasce l’idea di questa iniziativa? Di cosa si tratta e come si articola?
OrtoFabbrica nasce dall’idea di uno spazio – un orto appunto – in cui diverse categorie del fabbricare creativo – architettura, design, moda, arte – potranno piantare ciò che vogliono secondo un modello unitario di stile e qualità della vita.
Per organizzare il tutto ho esclusivamente raggruppato delle persone che fanno un mestiere di cui sono appassionati e con le quali condivido l’aspetto della sostenibilità, il rispetto del paesaggio, la mobilità non inquinante. È una sorta di orchestra in cui ognuno dà il proprio contributo suonando il proprio strumento con passione. Tra questi vi è, ad esempio, un ragazzo che ha progettato delle biciclette molto particolari e funzionalissime, un artista che crea opere denunciando le sofferenze nel mondo, una stilista che lavora con tessuti di cotone e piantumazioni di derivazione biologica, una ragazza che si occupa di recuperare degli abiti usati, direi “vintage” se questo termine non fosse però stato abusato nell’uso, e ne fa degli accessori da donna. Tutte queste anime diverse formano questo orto dove troviamo diverse espressioni artistiche e, al contempo, sostenibili: vi è, ad esempio, un’azienda che produce vino biologico e una intera parte dedicata alla botanica con piantumazioni varie. Vi sono poi aziende come “Raggio verde” che lavora nel campo della canapa e il consorzio “Canapa Italia” che è presente con la carta e la cellulosa di canapa, materia completamente ecosostenibile.
Il tutto è racchiuso in questo cortile dell’800 chiuso su tre lati e dalle facciate all’apparenza anonime, lasciato al suo degrado. Questo spazio, con una struttura architettonica incompiuta, è stato recuperato e valorizzato per esaltare il suo passato architettonico e culturale e dargli inoltre un’esistenza contemporanea.

L’iniziativa è evidentemente legata a Fabbrica, progetto a cui sta dedicando evidentemente moltissime energie. La Fabbrica, infatti, è la sede del suo laboratorio, recuperata da un ex cementificio che, dopo anni di progetti, lavori e investimenti, si è trasformato in un centro dedicato al design e all’artigianato, allo spettacolo e al tempo libero. Quali sono state le fasi del recupero? Che uso se ne fa ora?
Il progetto di recupero inizia circa 20 anni fa, da un ex cementificio in disuso recuperato nelle sue parti e convertito in uno spazio in cui coesistono un laboratorio artigianale, un teatro, un ostello, una galleria d’arte, un osservatorio, spazi dedicati al tempo libero e una foresteria: componenti che si fondono molto bene fra di loro donando un ambiente in cui si possono conciliare lavoro e dopolavoro con il cibo biologico delle colline bolognesi.
Un piccolo mondo tra 4 mura, quindi, un microsistema utilizzabile nel nostro territorio che si pone come unico obiettivo quello di far star bene delle persone. Non che si voglia cambiare il mondo, certo, ma nel nostro piccolo contribuiamo ad un modesto miglioramento della vita.

Il progetto di fabbrica è stato frutto di suoi finanziamenti privati o le istituzioni locali hanno contribuito alla realizzazione di questo spazio culturale?
Fabbrica è stato completamente frutto dei miei finanziamenti privati, è stata una scommessa sul mio lavoro. Lo considero in parte come una sorta di mulino operativo, alla continua ricerca di materiali innovativi.
In questa fase, ad esempio, abbiamo lavorato molto con una pianta simile alla canapa di nome kenaf che è molto simile alla canapa ma che produce un fiore diverso. La canapa è utilizzata soprattutto per le produzioni tessili, con la sua fibra pregiata, resistente e morbida. Il kenaf vede il suo impiego ideale nelle costruzioni. Dal kenaf abbiamo prodotto ad esempio un cubo vegetale sul quale sedersi che, una volta stufi, può essere gettato al pari dell’organico, senza dover pagare nulla per lo smaltimento in quanto totalmente naturale. Diffondere una cultura di questo genere secondo me è importantissimo per far comprendere quanto possa essere fatto con prodotti naturali al 100%.

Tornando ad Orto Fabbrica… Alcune parole chiave sembrano dare significato all’iniziativa: funzionalità, trasversalità tra creatività e mondo produttivo, qualità della vita. Sono anche le caratteristiche del design?
Un designer deve assolutamente lavorare verso queste direzioni. Un tempo i grandi architetti facevano uso di materiali naturali quali il marmo o il granito delle montagne abusando e distruggendo in parte il nostro territorio.
Oggi le nuove generazioni dovrebbero pensare a salvaguardare il nostro pianeta utilizzando materiali derivanti da energie rinnovabili.
Un materiale che deve essere riscoperto, soprattutto nel design è, secondo me, la canapa. Vietata in America nel 1937 con la Marijuana Tax Act, da quel momento la coltivazione della canapa è stata resa impossibile anche in Italia ed è tutt’oggi contingentata. La canapa, al di là dei suoi usi collaterali, è però un’importantissima materia prima, ben superiore la qualità del petrolio e con una straordinaria versatilità: si possono realizzare, infatti, più di 55 mila prodotti dalle sue fibre e potrebbe rappresentare il nostro petrolio naturale, la nostra risorsa per ovviare ai problemi ambientali, della produzione e del rilancio economico. Nonostante ciò, noi siamo vissuti nell’era del petrolio, quello con cui le grandi multinazionali tengono il mondo in pugno e cambiare improvvisamente la mentalità universale è molto difficile. Ma non impossibile.

I suoi oggetti di design, che verranno esposti anche durante l’evento, vengono presentati come idee di arredo anti-decorativista. Perché questa definizione?
ortofabbrica2L’arredo è in realtà decorativo ma dipende con quale occhio lo si guarda. Ho realizzato ad esempio degli oggetti di arredo ottenuti da lamiere del 1940, quelle che si usavano in guerra sugli aerei per farli atterrare sui campi. Da queste lamiere, facendo un personale omaggio a Le Corbusier, ho creato una chaise long e l’ho chiamata “Atterraggio”. Una sorta di richiamo poetico e culturale a quegli aerei del passato, con la differenza che prima si atterrava e si tiravano bombe, oggi ci si atterra sopra con il corpo e ci si riposa.. Questo, se vogliamo, possiamo chiamarlo anti-decorazione ma poi, in fondo, la decorazione c’è sempre.

Il design pare essere la nuova leva competitiva del Made in Italy. Il Rapporto Unioncamere sul Design nelle imprese italiane 2008, presentato qualche mese fa, rileva che “il 75% delle imprese che considerano il design un incentivo alla competitività, lo ritiene anche una componente essenziale per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, e che il 61% delle stesse imprese interpellate sostiene, addirittura, che il design rappresenti uno stimolo all’introduzione di nuovi prodotti o servizi, caratterizzati da un alto contenuto di innovazione”. Questa idea si avvicina anche ad una definizione di design secondo il suo punto di vista? Per lei cos’è il design?
Il design deve servire alle persone coniugando l’innovazione progettuale e dei materiali che devono essere completamente ecosostenibili. È molto importante lavorare verso la direzione della materia prima sostenibile: questo è d’obbligo. Una volta ottenuta, il designer ne deve prendere atto e deve operare una riconversione facendo in modo che il design diventi innovazione nel senso di differenziazione di materiali e di contemporaneità.

Giovedì 12 marzo 2009 – in occasione dell’inaugurazione della“Collezione Farnesina design” a Villa Madama, a Roma – il ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, ha annunciato la riapertura del Consiglio Nazionale del Design, presieduto da Adolfo Guzzini, per rilanciare il rapporto tra la cultura e l’impresa. Creata auspicabilmente allo scopo di offrire un sostegno concreto al settore del design, mettendo a disposizione degli operatori strumenti di ricerca e di condivisione delle informazioni che consentano di elaborare una strategia duratura dei rapporti tra la professione di designer e le istituzioni. Che pensa dell’istituzione di questo organo?
Io credo che questa istituzione sia positiva ma tutto dipenderà dalla direzione della filiera operativa. Un progetto può infatti avere delle belle caratteristiche ma essere poi scadente dal punto di vista operativo. È importante non premiare sempre i soliti “baroni di corte”, lasciando spazio ai giovani che hanno voglia di sperimentare e di innovare.
Gli ingredienti per essere leader mondiali nel design sono propri della nostra cultura. Lo spirito dovrebbe essere quello degli anni ’70, che andrebbe riscoperto per divenire radice fondamentale.
Il nostro design, assieme a quello nordico è il migliore. Quindi se vediamo un Ikea che si diffonde a livello mondiale dobbiamo pensare che gran parte di quei progetti derivano da noi, derivano anche dal nostro design d’eccellenza. Loro, con grande maestria, lo hanno saputo distribuire a 360 gradi perché, al contrario di noi, lavorano in gruppo, e si espandono. Noi siamo troppo individualisti e finchè non impariamo ad aprirci al mondo e alle sue influenze, resteremo indietro, in tutti i campi. Un primo passo si sta facendo anche a Milano con i Saloni e tutte le iniziative nazionali e internazionali che vi ruotano attorno, segno di un’energia di persone alla ricerca di originalità e innovazione nel design, nell’architettura e nel rispetto dell’ambiente.