“Un anno e mezzo fa, esattamente il 5 ottobre del 2007, in un approfondito articolo (“Finanziaria 2008: i ‘pacchetti’ Rutelli e Gentiloni a favore del ‘content’ audiovisivo. Sky Italia e le tlc pagano dazio?”) si dava conto di due importanti misure a sostegno del settore cinematografico inserite nella Legge Finanziaria 2008.
Con la prima si introduceva la celeberrima leva fiscale (tax credit ed tax shelter) per stimolare e rafforzare gli investimenti nel settore, la seconda prevedeva specifiche “sottoquote” di programmazione e investimento per le “opere cinematografiche di espressione originale italiana”, a carico di broadcaster free e pay nel quadro della normativa per la promozione delle opere europee.

Mentre in questi giorni i riflettori sono puntati soprattutto sui fattori critici (riduzione progressiva delle risorse del Fus e crescita sempre più preoccupante del fenomeno della pirateria digitale) che rischiano di mettere in ginocchio un settore che negli ultimi anni ha dato prova di buone performance con una quota di mercato domestico giunta al 30%, sorprende la scarsa attenzione (fatta salvo un articolo apparso su Prima Comunicazione a cura di Anna Rotili) alle sorti dei citati provvedimenti, considerati da tutti gli addetti ai lavori strumenti concreti per sostenere la competitività e redditività del comparto. Soprattutto in una fase economica recessiva e di forte contrazione della domanda, come quella attuale.

Alla base dei provvedimenti si rintraccia una più convincente e moderna filosofia dell’intervento pubblico che ribalta le tradizionali logiche di finanziamento diretto e una rinnovata (sebbene tradiva) volontà di stabilire un rapporto più equilibrato tra industria televisiva e produzione cinematografica indipendente fissando regole più trasparenti ed efficaci.

Ebbene a distanza di 18 mesi, dopo una serie di adempimenti tecnici e a seguito di complessi iter procedurali,  qualche importante passo in avanti è stato compiuto su entrambi i fronti.

Se per le agevolazioni fiscali un primo pacchetto di misure (quelle che regolano il tax credit e tax shelter interni) è stato approvato alla fine dell’anno dalla Commissione europea dopo un lungo iter procedurale (ad oggi le norme pronte da tempo non sono ancora state pubblicate in Gazzetta Ufficiale), le modifiche agli articoli 6 e 44 del Testo Unico in materia di promozione delle opere europee sono finalmente operative, dopo il varo del Regolamento da parte di Agcom (Delibera n.66/09CONS) il 13 febbraio scorso.

Avendo già descritto in più occasioni natura e impatto delle norme che disciplinano i crediti di imposta e la detassazione degli utili reinvestiti nella produzione cinematografica, concentriamo la nostra attenzione sul Regolamento Agcom frutto di una preventiva attività di consultazione che ha consentito agli esperti di Via delle Muratte di fotografare le posizioni in campo (in diversi casi “fisiologicamente” divergenti) e di assumere decisioni con maggior cognizione di causa tenendo comunque conto che l’organo guidato da Corrado Calabrò non ha il potere di modificare le disposizioni di legge.

Il principale pregio del provvedimento è quello di aver fatto finalmente chiarezza su una materia molto complessa e che sin dalla sua prima applicazione nel lontano 1998-1999 ( la famigerata Legge 122 che a sua volta recepiva la direttiva comunitaria Tv Senza Frontiere, oggi Audiovisual Media Services) si prestava  a interpretazioni non univoche che hanno fornito spesso l’alibi ai broadcaster per aggirarne i vincoli più onerosi dando vita ad un assetto che ha oggettivamente avvantaggiato  l’industria della fiction, a scapito del cinema indipendente.

Il testo definitivo recepisce nella sostanza quanto previsto nella Legge Finanziaria (comma 302, articolo 2), salvo attenuare alcuni aspetti strettamente legati all’evoluzione del mercato e per i quali l’Autorità ha saggiamente adottato il principio della gradualità associato in alcuni casi allo strumento della deroga.
Entrando nel merito del Regolamento analizziamo quali obblighi di programmazione (articolo 3) e di investimento (articolo 4) sono previsti per il rispetto della cosiddetta”sottoquota cinematografica” che da oggi è estesa anche agli operatori pay e alle telco.

Nel primo caso i broadcaster, i fornitori di contenuti televisivi e gli operatori pay per view devono riservare ogni anno almeno il 10% (20% per la Rai) del tempo di diffusione nella fascia oraria di maggior ascolto (19.30 – 23.30) alle opere europee degli ultimi 5 anni, di cui il 20% (il 10% per la Rai) alle opere cinematografiche di espressione originale ovunque prodotte. In pratica il 2% del palinsesto “pregiato” (dal punto di vista commerciale) deve essere riempito con film italiani recenti.

I soggetti interessati che non rispettano le quote di emissione possono fornire motivazioni “in relazione all’effettiva quantità di prodotto disponibile sul mercato del target di ciascuna emittente o fornitore di contenuti, dell’offerta di programmi coerenti con il mantenimento della linea editoriale e delle peculiarità del canale, con particolare riferimento con la fascia di maggiore ascolto”. Si tratta di una deroga che si riferisce in particolare ai canali tematici (quelli che dedicano almeno il 70% della programmazione ad un tema specifico in relazione ad un pubblico di riferimento).

Un approccio non del tutto simmetrico è stato adottato per aggiornare gli obblighi di investimento. I soggetti di cui sopra devono riservare alla produzione, al finanziamento, al pre-acquisto e all’acquisto di opere europee realizzate da produttori indipendenti, almeno il 10 % della quota dei propri introiti netti annui destinata alla programmazione (per la Rai, in coerenza con il nuovo “Contratto di servizio”, il limite sale al 15 %), così come indicati nel conto economico dell’ultimo bilancio di esercizio regolarmente approvato.
La novità più rilevante risiede nell’estensione del perimetro degli “introiti”, che – accanto ai ricavi da pubblicità, televendite, sponsorizzazioni, contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati, da provvidenze pubbliche – contempla in modo chiaro anche le entrate derivanti da “offerte televisive a pagamento”, sebbene limitate ai programmi di carattere non sportivo e di cui si ha la responsabilità editoriale, inclusi quelli diffusi o distribuiti attraverso piattaforme diffusive o distributive di soggetti terzi”.

Una quota di riserva è fissata anche per gli operatori di comunicazioni elettroniche su reti fisse e mobili che offrono servizi televisivi su richiesta (vod) del consumatore, i quali hanno l’obbligo di destinare il 5% dei ricavi specificatamente attribuibili alla fornitura di contenuti audiovisivi al pubblico (nell’anno precedente) all’acquisto e alla produzione di opere europee.
Per questi “nuovi” soggetti è stato accordato un principio di gradualità che consente loro di adeguarsi agli obblighi entro 3 anni “compatibilmente con le condizioni del mercato”. A partire dal terzo anno è consentito uno scostamento, comunque non superiore all’1% che deve essere recuperato entro l’anno successivo.

Le relative sotto-quote di investimento per le “opere cinematografiche di espressione originale italiana ovunque prodotte” sono fissate al 30% (20% per la Rai) per le emittenti e i fornitori di contenuti e di programmi in chiaro e al 35% per le emittenti e fornitori di programmi a pagamento ma in questo caso le suddette opere devono “appartenere al genere di prevalente emissione da parte del soggetto obbligato” (criterio “tematico”)
In pratica almeno il 3% (free tv) e il 3,5% (pay tv) dei bilanci di programmazione (con i distinguo di cui sopra) sono riservati all’acquisto e alla produzione di film recenti realizzati da produttori indipendenti.

Le prime stime indicavano per Sky e le altre “pay tv” investimenti per circa 50 milioni di euro ( 15 in più rispetto ai 35 messi a disposizione in base all’accordo biennale con Api ed Anica scaduto nel giugno 2008) con una crescita stimata di circa il 15-20 % all’anno per il triennio successivo.

Nel corso della consultazione che ha preceduto l’emanazione del Regolamento le nuove sottoquote sono state oggetto di forte preoccupazione da parte degli operatori pay secondo i quali le “difficoltà di reperire sufficiente prodotto cinematografico italiano” richiedevano “margini di tolleranza” o criteri che facessero riferimento all’andamento dell’offerta. Istanze ben recepite dall’Autorità, cui la stessa Legge Finanziaria del 2008 aveva demandato il compito di “commisurare gli obblighi per i programmi in pay-per-view a prevalente contenuto cinematografico di prima visione, all’effettiva disponibilità di opere rilevanti e al loro successo nelle sale cinematografiche italiane”. Ad occuparsene è l’articolo 6 del Regolamento destinato probabilmente a suscitare qualche polemica, avendo fissato una soglia alquanto elevata per definire un film di successo (incassi per almeno 1 milione di euro), tenuto conto che i film che hanno superato quel muro nel 2008 sono stati appena 28 (Fonte Anica).
Gli operatori in pay per view a prevalente contenuto cinematografico (Sky Cinema, Mediaset Premium) che dimostreranno di non avere disponibilità di film di successo (così come classificati dall’Autorità) nei 6 mesi precedenti la diffusione nell’anno di riferimento potranno pertanto sottrarsi agli obblighi comunicandolo tempestivamente.

Il regolamento è il frutto di un delicato compromesso tra posizioni in campo che riflettono interessi molto diversi tra loro. Al suo interno sono disciplinati numerosi altri elementi che meriterebbero ulteriore approfondimento, come l’annosa questione della definizione di produttore indipendente, l’istituzione di un “catasto di opere europee indipendenti”, la disciplina delle “opere realizzate per conto terzi” per la salvaguardia dei diritti residuali, la sottoquota (6%) per le trasmissioni rivolte ai minori (mentre si è nuovamente persa traccia di quella per i documentari) ecc…

La complessità delle misure descritte imporrebbe una regia unica a livello normativo in alcune materie di “legislazione concorrente” ovvero di competenza sia del Ministero delle Comunicazioni (oggi Dipartimento del Ministero Sviluppo Economico) sia di quello per i Beni e le Attività Culturali per evitare frammentazioni e sovrapposizioni che hanno come unico effetto quello di generare una enorme confusione tra gli imprenditori del cinema.
Il prezioso lavoro svolto da Agcom ha comunque garantito una meritoria azione di continuità tra precedente ed attuale governo che, almeno in materia cinematografica sembrano operare in sintonia rispetto ad alcuni comuni obiettivi di sviluppo del comparto.

I nuovi obblighi (in alcuni casi ammorbiditi) andrebbero visti non come un vincolo ma come una opportunità. Con tutte le cautele del caso, possiamo ragionevolmente immaginare che per effetto di queste misure, i responsabili dei palinsesti dei broadcaster possano avviare un serio ripensamento delle proprie strategie di posizionamento del prodotto filmico, ponendo fine ad imbarazzanti pratiche caratterizzate da scelte improvvisate e “logiche random” prive di un’azione di promozione sistematica (appuntamenti fissi, rubriche di promozione, orari coerenti) che sviliscono ed umiliano il prodotto cinematografico, soprattutto all’interno dei palinsesti generalisti pubblici (Rai Uno nel 2008 ha trasmesso in prima serata soltanto 2 titoli…). I dati dell’ultima relazione Anica del resto confermano che laddove si mettono in atto strategie intelligenti di programmazione i risultati in termini di share non tardano ad arrivare superando in alcuni casi (rete 4, Italia 1 e La 7) le medie di rete.

Il punto critico è rappresentato ancora una volta dal controllo effettivo sul rispetto dei nuovi obblighi, essendo rimasta invariata la procedura dell’autocertificazione da parte dei soggetti interessati (entro il 31 luglio 2010). L’auspicio è che i dati acquisiti dall’Autorità prima di essere trasmessi a Bruxelles siano oggetto di una più attenta e scrupolosa verifica (programmazione giornaliera e fascia oraria di maggior ascolto) e che in caso di inadempimenti e violazioni si applichino sanzioni severe e realmente incisive.