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Intervista a Davide Intelligente, ideatore de “L’invasione di nostra signora ART”
21 città italiane, 280 artisti da tutta la penisola reclutati attraverso il web. Come è nata l’idea della creazione di questa grande performance collettiva?
L’idea de “L’invasione di nostra signora Art” nasce principalmente per aggregare ed unire delle persone che abbiano come comune denominatore la voglia di far entrare l’arte e la cultura nelle città, nelle proprie esperienze quotidiane, facendola così uscire dagli schemi convenzionali legati a luoghi quali gallerie o musei.
L’iniziativa muove da una mia riflessione su come, sempre più spesso, l’arte tenda a separare invece che unire le persone e invogliare così al contatto e allo scambio reciproco. Gli artisti cercano di isolarsi nelle proprie gallerie d’arte viste spesso come isole lontane dalla realtà, con opere rinchiuse tra quattro mura che spaventano il pubblico e non lo invitano alla partecipazione. Quello che invece io vorrei proporre, e quello che ho cercato di fare con la mia iniziativa, è la riscoperta dell’unione, del dialogo arte-cittadino, portando l’arte laddove usualmente non si vede cosicché si possa scatenare una reazione. Già solo fare in modo che una persona quando esca per strada si trovi invasa dall’arte senza che se lo aspetti è per me un successo, perché osservare l’arte in luoghi insoliti ma che viviamo quotidianamente, può porre degli interrogativi che, se stimolati, possono avvicinare coloro che solitamente non ne sono interessati alla cultura.
Già nel 2007 eri stato protagonista di varie installazioni di sculture poste sulle principali arterie urbane di Taranto, la tua città. Il progetto si chiamava “L’invasione delle Aleke”. Questa iniziativa si chiama invece “L’invasione di nostra signora ART”. Perché questo nome? C’è una continuità all’interno dei progetti che decidi di portare avanti?
Invasione perché ho voluto rendere l’idea di una guerra pacifica: chi invade una città lo fa per proteggere il proprio territorio. Anche il fatto che non abbia annunciato una data ufficiale per la performance collettiva è stata una cosa assolutamente voluta e premeditata poiché le invasione avvengono quando meno te lo aspetti. L’obiettivo era proprio quello di creare una sorta di disorientamento nelle persone che venivano sorprese dall’arte e dalle installazioni poste nelle piazze e in vari luoghi della città. Questo disorientamento era naturalmente non invasivo se non nello sgomento provocato da qualcosa di assolutamente non annunciato e inusuale.
L’invasione inoltre, rompe la monotonia. Immagina un balcone, che invece di essere statico rappresenta la caricatura di chi lo abita. Sarebbe più divertente e insegnerebbe ad avere l’arte sempre sotto gli occhi.
Per organizzare questa imponente performance collettiva hai utilizzato come aggregatore e punto di diffusione il social network più famoso del momento: Facebook. Come hai “reclutato” le persone interessate e come hai poi organizzato il tutto?
L’organizzazione e la direzione del progetto è stata, nella fase iniziale, tutta nelle mie mani, così come l’ideazione. Ho utilizzato Facebook perché, viste le sue grandi potenzialità mi sembrava quasi sminuente utilizzarlo solo per fare amicizie o per chattare con gli amici. Quindi ho deciso di lanciare questa provocazione, creando un gruppo in cui spiegavo la mia idea e invitavo alla collaborazione. Da un primo gruppo iniziale, quindi, ne sono stati creati altri per ogni città, ognuno dei quali popolato al suo interno di persone appassionate di arte a tutti i livelli. Ogni città, dunque, aveva il suo gruppo al quale poteva aderire e all’interno dei quali sono stati designati dei referenti locali. La scelta di questi ultimi non è stata guidata da criteri particolari, è stata più che altro una candidatura spontanea. Tenevo conto del fatto che fossero veramente interessati al progetto e all’arte in generale, ma non si sono avvicinati solo artisti. Il referente per Roma, Giuseppe Ciminelli, ad esempio, è un ragazzo che studia critica d’arte.
Principalmente devo dire di essere stato fortunato a trovare delle persone che, come me, hanno creduto nel messaggio insito a questa iniziativa e hanno fatto del loro meglio per portare avanti questa performance che era comunque, per le sue dimensioni, difficile da gestire. In tutto abbiamo coordinato 280 tra artisti e coloro che guidavano le riprese video e abbiamo svolto un’attività di comunicazione e di promozione “sul filo del rasoio”: abbiamo infatti inviato solo il giorno successivo all’”invasione”, i comunicati stampa relativi alla performance ai diversi Comuni e assessorati, ai principali canali d’arte cartacei e sul web, ma in realtà non abbiamo mai chiesto, né ottenuto, nessuna autorizzazione per procedere. La data, inoltre, non era stata comunicata, neppure su Facebook, quindi l’intervento sarebbe stato inaspettato. Tra le “regole” da seguire per poter procedere con le installazioni e garantire la buona riuscita dell’iniziativa, c’era quella per cui il montaggio doveva avvenire di notte, in luoghi che non andassero a danneggiare il prossimo. Non si potevano, ad esempio, realizzare murales su delle mura private o di proprietà del Comune. Al massimo, sarebbe stato possibile dipingere solo dei muri per i quali era previsto l’abbattimento. Abbiamo fatto in modo che le nostre installazioni fossero sicure e non danneggiassero in nessun modo i cittadini, assicurandoci che fossero ben salde alle strutture alle quali erano appese o appoggiate. Queste erano regole imprescindibili che sono state rispettate in tutte le città nelle quali è avvenuta la performance.
Una volta rintracciati i referenti a capo dei gruppi di artisti, progettato le opere da installare nella città nel rispetto delle regole, abbiamo cominciato a sincronizzarci sempre tramite il web o tramite il telefono. Stabilita la data per “l’invasione”, all’1 di notte del 30 marzo ho mandato un messaggio a tutti i referenti locali, già pronti nei luoghi indicati per cominciare ad abbellire i propri spazi.
Simultaneamente, quindi, in 21 città diverse d’Italia (Bologna, Brugherio, Cuneo, Crotone, Firenze, Foggia, Frosinone, Gallipoli (Le), La Spezia, Latina, Milano, Nuoro, Ostia, Palermo, Roma, Rimini, Salerno, Sassari, Taranto, Todi, Torino) vi erano delle persone che invadevano il territorio usando come armi l’arte e la cultura. Per me è stata una sensazione bellissima quella di sapere che, in tante città diverse, contemporaneamente, degli sconosciuti (perché tali eravamo) stavano eseguendo la stessa cosa nello stesso momento, senza secondi fini, senza pretesa di un riscatto, né di protagonismi, armati solo dalla voglia di lanciare un messaggio comune: portare l’arte a contatto con la gente per non farla percepire come qualcosa di inarrivabile e di troppo sofisticato. Questo è stato il filo conduttore della mia iniziativa.
Le installazioni artistiche previste nelle varie città dovevano rimanere negli spazi urbani per soli 2 giorni, a meno che i Comuni non ne richiedessero esplicitamente la prosecuzione. Quali sono state, nello specifico, le opere che avete installato a Taranto e qual è stata la risposta delle amministrazioni locali alla vostra “invasione”?
A Taranto, la mia città, sono stato io stesso il coordinatore dell’evento. Eravamo in tutto 14 artisti e ciascuno presentava diverse opere. Installazioni fotografiche, installazioni video o vere e proprie sculture realizzate con materiali diversi.
Un’installazione, ad esempio, costituita da 6 tavole e posta sul cancello dell’Arsenale di Taranto, era sparita già alle 10 della mattina successiva. Non so bene per quale motivo: forse l’hanno rimossa le autorità o qualcuno l’avrà rubata ma non mi stupisce il fatto che un simile destino sia capitato a diverse altre installazioni anche in città differenti. In molte città ad esempio, trascorsi i due giorni previsti, le autorità municipali hanno gettato numerose opere e sculture realizzate in plastica direttamente nei cassonetti, quelli dell’organico tra l’altro, senza neanche fare la raccolta differenziata. In altre, come a Salerno, sono state addirittura bruciate. Comunque, nessuno dei comuni coinvolti si è particolarmente interessato all’iniziativa, rimuovendo il prima possibile le opere che erano state montate e senza cercare neppure di capire il significato di quel gesto, interpretato come un vero e proprio assalto di una città e non come un gesto di amore verso un territorio che abbiamo cercato di animare, abbellire attraverso la cultura, partendo proprio da luoghi dismessi o abbandonati, come pali della segnaletica in disuso. La città diventava in questo modo una grande galleria d’arte.
Quali sono gli obiettivi primari che “L’invasione di nostra signora ART” si era prefissata? Puoi dirti soddisfatto dei risultati ottenuti?
L’obiettivo della mia idea, di quello che ho progettato è stato raggiunto: io volevo che la cultura si unisse e le persone si trovassero, all’uscita di casa alla mattina, in una situazione un po’ diversa, circondati da singolari installazioni d’arte di cui non conoscevano la provenienza o il significato. Volevo che queste persone si interrogassero su cosa fosse l’arte e perché fosse venuta a trovarli proprio in città. L’invasione di cui sono stati oggetto è stata pacifica e non invasiva, moltissime persone, lo vedevo a Taranto, sono rimaste molto sorprese e contente da questi “attacchi d’arte” in piena regola. Sinceramente, era anche prevedibile il fatto che le amministrazioni e gli enti locali avrebbero fatto orecchie da mercante riguardo a questo progetto. Mi sto rendendo conto di come si parli e si dicano solo belle parole mentre la promozione di coloro che mettono a disposizione la propria creatività non si riesce a metterli in pratica. Ma questo me lo aspettavo, in fondo la nostra “invasione” è stata rispettosa e pacata, senza pensieri o ideologie politiche alla base, né colossi di sponsor alle spalle: non abbiamo buttato palline colorate dalla scalinata di Piazza di Spagna, insomma, abbiamo semplicemente manifestato la nostra voglia di contribuire alla diffusione dell’arte in città per permettere la sua fruizione a tutti, incondizionatamente. E ci siamo divertiti.
Quali sono le difficoltà che hai incontrato a livello organizzativo e di comunicazione dell’evento?
Le difficoltà incontrate a livello organizzativo non sono state molte: c’è stata una buona collaborazione con tutti i singoli referenti locali e, oltre lo stress dovuto al fatto che fossi all’inizio l’unica persona dietro al progetto e quindi al fatto che tutti mi ponevano mille domande su qualsiasi tema, l’unica difficoltà incontrata credo sia dovuta ad una mia leggerezza: in alcune città infatti, credevo ci si stesse mobilitando per preparare le installazioni e invece poi non è avvenuto nulla di fatto. Se l’avessi saputo prima e se mi fossi documentato meglio avrei potuto ovviare a questo problema e avrei potuto fare in modo che più città venissero toccate dall’evento.
Quali sono le tue idee per il futuro? Pensi ci possa essere una seconda edizione dell’evento?
Sul futuro ti rispondo in due modi:
1. No Comment
2. Le invasioni non si preannunciano…nostra signora Art – l’invasione : reloaded
Le opere nelle foto sono di: Flora Carannante, Davide Intelligente