Intervista al Prof. Valerio Melandri – Presidente del Comitato Promotore del Festival del Fundraising

festivalfundraisingGiunto quest’anno alla seconda edizione, il Festival del Fundraising, Castrocaro 7 – 9 maggio 2009, rappresenta in Italia il primo vero momento di confronto tra professionisti operanti in un settore ancora poco conosciuto e sviluppato nel nostro paese, ma con una tradizione consolidata all’estero. La manifestazione, che unisce formazione, incontro e scambio di esperienze a momenti di relax, cene e percorsi termali, vuole  essere un’occasione per la diffusione di buone pratiche e la promozione della professione. Ne abbiamo parlato con il Prof. Valerio Melandri, presidente del Comitato Promotore del festival, docente alla Facoltà di Economia di Forlì, nonché fondatore e direttore scientifico di Philanthropy Centro Studi e di Centrale Etica, società di consulenza per l’individuazione ed implementazione di percorsi di sviluppo sostenibile.

I festival coinvolgono abitualmente un vasto pubblico di “non addetti ai lavori” su temi di ampio respiro, mentre il fundraising è, in Italia, una disciplina giovane e la manifestazione coinvolge principalmente professionisti. Ritiene che in futuro verrà mantenuto questo format o si aprirà ad un pubblico più ampio?
Il Festival del Fundraising nasce sul modello di convegni come l’International Fundraising Congress, che si tiene ogni anno in Olanda, e la National Convention inglese e con loro condivide gli obiettivi formativi e di network. Ma a differenza dei paesi del Nord Europa, dove la raccolta fondi è una realtà consolidata da molti anni, credo che in Italia il fundraising debba porsi anche altri obiettivi: rafforzare una professione ancora giovane ed aumentare la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla raccolta fondi e sui temi ad essa collegati, come il ruolo del non profit e l’economia civile. Per questo ci interesserebbe molto allargare la nostra iniziativa anche a non addetti ai lavori, un obiettivo di lungo termine su cui stiamo lavorando.

Anche se un solo anno costituisce un parametro limitato per giudicare una manifestazione, quale può essere il bilancio, in termini generali, dell’edizione 2008? Quali le principali novità di quest’anno?
La prima edizione del Festival ha avuto dei risultati al di sopra delle aspettative, oltre 300 partecipanti, 40 sessioni formative, un’ampia copertura sia sui media specializzati sia su quelli generalisti. Abbiamo messo in moto un processo di condivisione e di rete che era nell’aria ma che stentava a decollare. Il successo del 2008 ci ha dato lo stimolo per migliorare l’iniziativa sotto vari punti di vista. Abbiamo creato un Comitato Scientifico per supportare quello Organizzativo sull’offerta formativa. Abbiamo invitato diversi relatori stranieri che verranno a dare un importante contributo alla discussione, raccontandoci le loro esperienze. Ci saranno più sessioni, più relatori, più partecipanti e, visto che un valore aggiunto della nostra iniziativa è quello di favorire la creazione di nuove relazioni, abbiamo anche aumentato i momenti informali, con una networking lunch per accogliere gli iscritti e una festa il venerdì sera.

Sulla base dei partecipanti all’edizione 2008 e degli iscritti a quella di quest’anno potrebbe tracciare un quadro generale delle tipologie di soggetti che si muovono in Italia in questo ambito e del loro livello di professionalità?
Se guardiamo le schede di iscrizione al Festival il primo dato che emerge è lo squilibrio relativo alla provenienza dei partecipanti. Oltre la metà proviene da tre regioni: la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Lazio. Se a queste aggiungiamo anche Piemonte, Veneto e Toscana arriviamo al 70% del totale. Per quanto riguarda il tipo di organizzazioni di provenienza degli iscritti, la distribuzione è molto più omogenea, circa un terzo lavora in organizzazioni che operano in ambito internazionale, un terzo in quello nazionale e un terzo a livello locale. Questo dato si rispecchia anche sulle professionalità presenti, ci sono responsabili dell’ufficio di raccolta fondi di grandi organizzazioni, esperti di un particolare settore come il mailing o le grandi donazioni, ma c’è anche il ‘tutto fare’ dell’associazione locale che vorrebbe iniziare a raccogliere fondi per i progetti che ha messo in campo. Ci sono poi i dirigenti di enti pubblici, di numerose fondazioni e professionisti che producono beni e servizi per il terzo settore, che considerano il festival un luogo dove ascoltare le nuove esigenze che provengono dal non profit. Registriamo anche un sensibile incremento del mondo cooperativo.

Ritiene che in Italia, come all’estero, i tempi siano maturi affinchè la professione di fundraiser e l’informazione attorno ad essa si sviluppino colmando il vuoto attuale? Quali pensa saranno le specificità del nostro paese e in che modo il festival può contribuire in tal senso?
Come ho già detto, quello di aumentare la visibilità del fundraising è uno dei nostri obiettivi, ma nello stesso tempo dobbiamo anche riuscire a fornire dei modelli di comportamento adeguati ai giovani che si avvicinano a questa professione, che è molto delicata: un fundraiser che sbaglia fa notizia, dieci che svolgono il loro lavoro con sensibilità e attenzione, no. Un altro degli obiettivi che ci poniamo è quello di costruire una via italiana al fundraising, che significa assimilare quanto viene fatto, ed è molto, in altri paesi e rileggerlo attraverso i nostri modelli culturali. Il Festival attrae l’attenzione dei media non solo sull’evento in sé, ma sul fundraising in generale, favorisce lo scambio di buone pratiche e si propone di raccogliere le esperienze di professionisti affermati per sviluppare delle metodologie di lavoro.

Il fundraising in Italia si rivolge principalmente al sociale e in maniera ridotta alla cultura, il festival rispecchia tale situazione? Quali ritiene siano le principali differenze di approccio ai due ambiti?
La maggioranza degli iscritti al Festival proviene da organizzazioni che operano in ambito sociale, ma registriamo nuove adesioni dal settore culturale e da quello pubblico. Per quanto riguarda il fundraising, non credo che le differenze si debbano ricondurre al settore di intervento quanto alla struttura delle organizzazioni stesse. Sono convinto che l’approccio corretto per un fundraising di successo sia quello che, partendo dall’analisi strategico-organizzativa dell’azienda non profit, vada a definire gli strumenti adeguati e i mercati a cui rivolgersi. Un piano di raccolta fondi che tenga presente i fattori interni e quelli esterni legati all’organizzazione può essere applicato tanto al settore sociale quanto a quello culturale. 

Nel panorama della crisi economica la disponibilità a donare potrebbe venire duramente messa alla prova, quali ritiene siano i principali accorgimenti che un buon fundraiser dovrebbe applicare in questo contesto?  Il festival affronterà anche questa tematica?
Esistono esempi, come la crisi in Argentina di qualche anno fa, che mostrano come, anche in periodi estremamente difficili, le donazioni non siano calate rispetto ai periodi precedenti. In generale il donatore si comporta con le donazioni come con le altre scelte che si trova ad operare nella vita di tutti i giorni. Se per lui la donazione è una scelta strategica, qualcosa che ritiene  importante per la sua realizzazione, non vi rinuncerà, mentre se è un atto che fa senza grande partecipazione è molto probabile che, dovendo ridurre il proprio budget, decida di farne a meno. Qui entra in gioco la capacità dell’organizzazione non profit di coinvolgere i donatori nelle proprie attività. Al Festival daremo ampio spazio a questo tema con sessioni che lo tratteranno sia dal punto di vista del donatore e di come coinvolgerlo in tempi di crisi economica, sia dal punto di vista delle organizzazioni e di come possano fare raccolta fondi con poche risorse a disposizione.

 

Approfondimenti:
www.festivaldelfundraising.it