adam-resurrected1“Adam Resurrected” è l’adattamento del romanzo omonimo – per lungo tempo considerato non adatto allo schermo – di Yoram Kaniuk pubblicato in Israele nel 1968. Si tratta della commovente storia di Adam Stein, un ex clown del circo, che fu risparmiato dal morire in una camera a gas al fine di intrattenere migliaia di suoi compagni ebrei avviati alla morte nello stesso modo e che ora, agli inizi degli anni ‘60, vive in un manicomio nel deserto di Negev per soli sopravvissuti dell’Olocausto dove lotta per sopravvivere ad un mondo in cui il limite tra normalità e follia è stato per sempre cancellato.
Per quale motivo si è impiegato così tanto tempo per girare un film basato su un romanzo e quale é stata la motivazione che ha spinto alla sua realizzazione? Il regista e i produttori discutono sull’intero processo che ha portato “Adam Resurrected” sugli schermi, sulle condizioni e sugli ostacoli incontrati e su come sono giunti ad ottenere i diritti cinematografici per questo importante film sull’Olocausto.

Modera la tavola rotonda: Peter Cowie
Intervengono al dibattito:
Paul Schrader, regista di “Adam Resurrected” che é uscito sullo schermo come un “Berlinale Special” con critiche molto positive..
Paul Schrader, come generalmente gli autori europei, ha un background alle spalle di critica cinematografica di carattere prospettivista. Egli iniziò come critico cinematografico e con suo fratello scrisse la scenografia di “The Yazuka” che attrasse Martin Scorsese. Cominciò quindi a scrivere copioni per Scorsese diventando per diversi anni il suo sceneggiatore preferito con film come “Taxi Driver”. Nel ‘78 divenne lui stesso regista con “Blue Collar” e da allora in poi ha creato una serie di diversi generi di adattamento cinematografico, copioni originali, commedie sociali, thriller, come per esempio “Light Slepeer”, “The Comfort of Strangers”, “Affliction” e il film presentato lo scorso anno “The Walker” che riscosse particolare favore da parte della critica.

Sarah Lüke, rappresenta la “3L Group” che ha avuto un ruolo cruciale nella realizzazione di questo progetto perché coinvolto nella produzione sin dalle prime fasi. La società ha tre dipartimenti: produzione, licenze e distribuzione. Si è soprattutto specializzato nelle produzioni di alto livello qualitativo e ha distribuito in Germania film come “Monster” e “2 days in Paris” di Julie Delpy’s.

Ehud Bleiberg, manager della società internazionale “Bleiberg Entertainment”, comincia la sua attività in Israele dove già lavorava per alcune agenzie pubblicitarie prima di interessarsi al mondo del cinema, producendo interessanti e prestigiosi film, come “The Appointed” che fu selezionata a Cannes nel 1990, seguita nel 1992 da “Tel Aviv Stories” che si rivelò un enorme successo in Israele e in Europa. Da quel momento si è sempre dedicato a questo tipo di produzioni e ora risiede a Los Angeles.

Peter Cowie: Paul, come creatore del film, che cosa ti ha spinto ad intraprendere questo progetto?
Paul Schrader:
a dire il vero il copione me lo diedero già ultimato, non fui io a svilupparlo, Ehud lo realizzò con uno scrittore americano che aveva frequentato la scuola cinematografica a Tel Aviv, Noah Stollman. Inoltre, non fui l’unico candidato per questo progetto. Il copione lo mandò ad un certo numero di ben noti registi ebraico-americani e loro gli dissero che non era fattibile. Fu allora che venne da me perché sapeva che avevo la fama di uno che fa cose che altri dicono non essere di possibile realizzazione.
Lessi il copione e appena giunsi alla metafora centrale – l’uomo che una volta era un cane che incontra un cane che una volta era un ragazzo – ne fui subito affascinato; per me era originale e vigoroso, una potentissima metafora per rappresentare un sopravvissuto e il senso di colpa di un sopravvissuto.
Sarebbe stata anche adattabile ad un’altra situazione, al posto dell’Olocausto. Per cui la forza di questa metafora non mi lasciò più.

adam_resurrected_2Peter Cowie: Sono rimasto sorpreso da come il buon utilizzo degli elementi comici metta in risalto i diversi stato d’animo. Più che una storia sull’Olocausto il racconto mi sembra una storia umana.
Paul Schrader:
Premetto che questo è un romanzo, non è una storia vera. Non vi furono manicomi di questo tipo. La trama non ha la forza di un documento storico ma è solamente un’invenzione, scritta nello stesso periodo in cui furono scritti romanzi simili quali “Catch 22”, per esempio, – che fanno parte di quel movimento letterario di uomini che guardano indietro alla guerra – con una grossa componente di commedia nera. Questa era la natura del libro, scritto dal punto di vista di un israeliano su un personaggio con un ruolo da showman.
Il libro all’inizio non fu accolto positivamente in Israele, considerato che parliamo di un territorio sacro. Molti israeliani ed ebrei in tutto il mondo commentarono la mancanza di rispetto verso l’argomento trattato.

Peter Cowie: Ehud, questo spiega perché c’è voluto così tanto tempo prima che il libro fosse portato sullo schermo o ci sono state anche delle motivazioni di carattere economico?
Ehud Bleiberg: Dal mio punto di vista, non è stata una questione economica. Nel momento in cui
ho ottenuto i diritti, ho compreso che lo avrei comunque realizzato, a prescindere dal tempo che ci sarebbe voluto.

Peter Cowie: Qualcun altro aveva tentato di acquistare i diritti del libro in precedenza?
Ehud Bleiberg: Il libro ha una lunga storia. Yoram Kaniuk visse a New York negli anni ‘50 e scrisse il romanzo agli inizi degli anni ‘60. Il copione, scritto a mano, giunse a Charlie Chaplin che lo lesse e ne fu entusiasta. Ma la cosa non decollò, così il libro fu edito agli inizi degli anni ‘70 e in Israele nel ‘69. Provò a realizzarlo Jàn Kàdar e anche altri registi israeliani, ma i diritti d’autore finirono nel dimenticatoio finché non li liberò la Suprema Corte in Israele.
“Adam Resurrected” mi fu proposto nel 1992, quando già conoscevo molto bene l’autore dato che il mio primo film,  “Himmo, King of Jerusalem” era basato su un altro suo libro. Ma anche questa volta i diritti andarono nel dimenticatoio e vennero recuperati solamente nel 2002.
Tre settimane prima di iniziare a girare, ricevemmo una telefonata da New York, da una persona che sosteneva possedere i diritti per la traduzione inglese del libro. Fummo costretti a batterci di nuovo e, da quel momento,  impiegammo due anni e mezzo per lo sviluppo sullo schermo.
Proprio poco prima che il copione fosse pronto, incontrai il distributore tedesco Warner Wirnig della società “3L” con il quale capii che volevamo realizzare questo progetto.
Ci volle un po’ di tempo per trovare Paul Schrader, perché all’inizio nessuno si sentiva in grado di affrontare un progetto tale.

Peter Cowie: Sarah, la partecipazione tedesca è stata fondamentale per la credibilità di un progetto come questo: in quale fase la “3L” entra in gioco?
Sarah Lüke: Ehud e mio fratello Werner si incontrarono un paio di anni fa.  Il copione gli fu inviato nel 2004 e ovviamente lui ne rimase subito colpito.
Quando lo lesse disse che si era sentito come se avesse sbattuto la testa contro un muro, perché non riusciva a controllare l’emozione che il libro gli aveva trasmesso. La collaborazione della produzione israeliana e tedesca è stata molto importante anche in quanto significativa per il film, che vuole mostrare al pubblico una forte compartecipazione tra Israele e Germania, a livello organizzativo e a livello di cast.

Peter Cowie: Ci sono delle scene girate in Germania o è stato fatto qualche lavoro di pre-produzione?
Sarah Lüke: Il film è stato girato in Romania e in Israele ma una parte del lavoro di post-produzione è stato fatto in Germania.

Peter Cowie: Paul, quando hai avuto in mano la sceneggiatura di Noah Stollman, la struttura del romanzo era stata modificata? Possiamo affermare che il film è l’esatta trascrizione del romanzo, oppure sono state fatte delle modifiche sostanziali?
Paul Schrader: Dunque, diciamo che sono state fatte delle modifiche sostanziali: il romanzo non è adattabile cinematograficamente nel senso tradizionale del termine; é un bel libro, un bel pezzo di letteratura, che non necessariamente, tuttavia, si traduce in un gran film; è pieno di realismo magico, di elementi che possono o non possono essere accaduti, la voce interiore del narratore cambia senza che ci si preoccupi di dire al lettore che è un’altra persona che ad un certo punto sta pensando, ha dei personaggi che possono o non possono esistere.
Ad esempio, il personaggio che interpreta Hana Lazlo nel libro è una coppia di gemelli identici, ma non si sa esattamente quale dei due stai vedendo, così come il personaggio del fratello di Adam che esiste o non esiste, ma che comunque c’è. Inoltre la fine del film avviene a 2/3 del libro, quindi, sì, sono state necessarie diverse variazioni. Abbiamo cercato di girare una scena molto fedele a quella descritta nel libro, di aspetto molto macabro, di umore nero, ma non si è potuta renderla nel film perché c’erano persone, non atmosfere, e abbiamo dovuto tagliarla. Era fuorviante.

Peter Cowie: In quale momento Jeff Goldblum viene coinvolto in quello che è forse il miglior lavoro che abbia mai fatto?
Ehud Bleiberg: Parlai inizialmente a Paul della direzione di questo film, in cui dovevamo tener conto di un  budget di 10 milioni di dollari. Discutemmo di come vendere o fare un film con tale budget, perché purtroppo in questo settore hai bisogno di attori che accettino in un preciso momento anche se non sai cosa capiterà loro nei successivi 2 o 3 anni. È  imprevedibile.
Paul però, disse dal primo momento che Jeff Goldblum era nato per fare questo ruolo e mi adeguai all’idea. Mi offrirono persino 3 milioni di dollari per ingaggiare un altro attore al suo posto e, benché avessi bisogno di quel denaro, rifiutai, perché questo film doveva essere immortale e il lavoro di Jeff ebbe dell’incredibile.

Peter Cowie: Paul, Jeff conosceva già il libro quando lo contattaste la prima volta?
Paul Shrader:
No, quando lessi il libro la prima volta, dissi a mia moglie che c’era un attore nato per interpretare questo ruolo, come se fosse stato scritto per lui. Non conoscevo direttamente Jeff, ma stavo leggendo un copione scritto per lui. Provai questa sensazione la prima volta che lo lessi e riferii la cosa a Ehud. Ed è vero che ciò generò delle sfide finanziarie non indifferenti ma sono grato che sia stato lui a interpretare il ruolo alla fine.

Paul Cowie: Quando entrò in scena William Dafoe?
Paul Schrader: Un po’ più tardi. I nostri accordi prevedevano di includere 3 americani, quindi vollero un altro attore americano oltre me e Jeff. È risaputo che agli attori non piaccia interpretare ruoli di personaggi nazisti ma nonostante ciò, chiamai ugualmente Jeff, con cui ho piacevolmente lavorato in passato, proponendogli la parte.

adam-resurrected-b05Peter Cowie: Chi è stato il primo editore in Germania? Furono interessati al film per la produzione o per co-marketing con voi?
Sarah Lüke: Sì, furono interessati. Il libro fu nuovamente distribuito il 14 gennaio e cambiarono il titolo tedesco, che era diverso dal titolo originale del film, e inoltre adattarono la nostra grafica per la copertina. Il risultato fu stupefacente. Lavorammo insieme all’editore e in questo modo ottenemmo tutte le grafiche e i poster dalla libreria. Avemmo anche l’opportunità di portare Joachim Kròl, che ebbe anche un ruolo nel film, a presenziare diverse occasioni in cui lesse scene dal libro presentando il film e sequenze girate ad Amburgo, Francoforte e Monaco. In questo modo, il pubblico potè discutere con lui del film. Per noi fu un’ottima occasione di promozione del film, non solo in maniera tradizionale, ma facendo anche qualcosa a stretto contatto con il pubblico.
Il film non è peraltro neanche facile da vedere, è necessario avere molta concentrazione e una mente aperta, quindi fu molto utile dare qualche informazione sul contesto. Anche la comunità ebraica residente in Germania ne fu entusiasta.
Ehud Bleiberg: vorrei aggiungere anche che uscì contemporaneamente sia in Germania che in Israele.

Peter Cowie: E chi è il distributore in Israele?
Ehud Bleiberg: United King, il più grande distributore israeliano al momento, che si è occupato anche della distribuzione del mio precedente film “The Band’s Visit” in maniera eccellente.
Stanno realizzando una promozione trasversale con i più importanti giornali in Israele e con la più prestigiosa casa editrice con delle speciali iniziative promozionali.

Peter Cowie: Quale fu la reazione in Israele?
Ehud Bleiberg: Le cose cambiarono in maniera sorprendente: oggi il libro in Israele è considerato un capolavoro di narrativa, un must da leggere alla scuola superiore o all’università. Ma ci sono voluti 40 anni per arrivare a questo e come risultato le vendite del libro stanno registrando un notevole aumento.
Oggi la gente è più aperta, per cui vede le cose in maniera differente. Devi tener presente che non vi era nessun aiuto psicologico per i sopravvissuti dell’Olocausto, nessuno parlava loro dell’argomento. La prima volta che si cominciò fu nel 1980 nei Paesi Bassi, ma Yoram Kaniuk scrisse questo libro ambientandolo in un manicomio tra la fine degli anni ‘50 e gli inizi degli anni ‘60, creando così qualcosa che non era mai esistito prima. La gente si trovò a leggere qualcosa che ancora non esisteva nella realtà.
Durante la fine degli anni ‘80 in Israele una grossa ondata di persone cominciò a parlare improvvisamente del ricordo della memoria. Anche il luogo in cui era ambientato il libro non esisteva e non esiste neanche ora. La reazione fin qui è molto positiva: credo che il pubblico apprezzerà il libro e il film con po’ di spirito di critica ovviamente.

Peter Cowie: Ci sono molte cose positive che mi hanno colpito nel film. Per esempio il modo in cui descrivi la vita del protagonista prima della guerra, la inscatoli in alcune sequenze in bianco e nero mettendo dentro ciò che è cabaret in maniera molto parsimoniosa. Questo rispecchia la sceneggiatura o è stato un lavoro fatto da te?
Paul Schrader: Sono uno scrittore, oltre che un regista, per cui sono io stesso coinvolto. La struttura di Noah Stollman era solida ma spesso si dilungava. Quando le cose si ripetevano, tagliavo, questo è stato il mio contributo

Peter Cowie: La location del manicomio si trova nel deserto. Come ha trovato questo posto che è un elemento così essenziale per il film?
Paul Schrader: è un altipiano situato vicino al Mar Morto, in un luogo chiamato “Le Mirage”. Costruimmo la parte interna in studio a Bucarest, mentre l’esterno e il resto al computer. L’idea era quella di collocare il marchio Bauhaus del nuovo ospedale al centro, con vista a 360° su un deserto completamente disabitato, con la forza di una metafora che era un punto cruciale da rendere.
E fu altrettanto importante la progettazione dell’ospedale; un gran numero di architetti Bauhaus giunsero in Israele tra le guerre e realizzarono delle importanti costruzioni a Tel Aviv, che utilizzammo come motivo d’ispirazione.

Peter Cowie: In un certo senso questo film rientra perfettamente all’interno del tuo percorso professionale: sei sempre stato attratto da personaggi o argomenti dove il limite tra normalità e follia è un po’offuscato. Ti identifichi con il protagonista ma non sei sicuro al 100% che essi siano normali o no e questo lo senti attraverso il personaggio di Jeff Goldblum.
Paul Schrader: La contraddizione caratterizza contemporaneamente il cuore e l’anima del personaggio, almeno per me: “L’ho amata così tanto da picchiarla”, questa è personalità. Amo coloro che fanno una cosa e poi ne dicono un’altra o il narratore inattendibile, queste sono figure che mi affascinano.

Peter Cowie: Anche se 10 milioni di dollari sono un buon budget, questo sembra essere un film molto più dispendioso, con effetti speciali che sembrano essere stati complicati da realizzare.
Ehud Bleiberg: La mia più grossa sfida finanziaria fu quella di rendere la struttura più semplice  possibile, affinché il regista potesse riuscire a realizzare ed eseguire quello che era contenuto nel copione.
Costruire l’istituto è stata una grossa ambizione: dopo aver calcolato i costi di lavoro in Germania o Israele, ci rendemmo conto che il budget sarebbe dovuto essere di 20 milioni di dollari, per cui trovammo un grosso studio in Romania. Ci avvantaggiammo del fatto che nel 2007 la Romania entrò a far parte dell’Unione Europea in modo che potemmo utilizzare il denaro derivante dalla co-produzione per girare anche in Romania. Là trovammo dei posti interessanti dove girare e il risparmio di denaro fu notevole. Nonostante ciò, avevamo comunque bisogno del deserto, ma alla fine ci bastarono 7 giorni in Israele e il resto lo girammo interamente in Romania.
Una parte di staff lo prendemmo dalla Romania, una parte dalla Germania e una da Israele, rispettando così il regolamento di Israele riguardante la co-produzione ufficiale tra Germania ed Israele. Dal momento che il mio partner 3L è di Dortmund riuscimmo ad ottenere fondi dalla Renania Settentrionale – Westfalia e ci accordammo per fare la post-produzione là,. Facemmo il suono a Dortmund e tutti gli effetti speciali a Dusseldorf. Il “Federal Fund” in Germania sostenne parte del budget, il “Fund Film” d’Israele e il “Rabinovich Fund” e la società via cavo parteciparono da Israele rendendola una vera e propria co-produzione, non solo da un punto di vista finanziario ma da tutti i punti di vista. Alla fine, io e la 3L dovemmo investire noi stessi dei soldi nel progetto. Quando partimmo per le riprese non avevamo ancora a disposizione il budget per intero ma cominciammo ugualmente a girare.

 

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