rapporto-cinemaQuando nel 2006 venne pubblicato il rapporto sull’Economia della Cultura in Europa realizzato da KEA European Affairs per conto della Commissione Europea, era già evidente che in vista dell’attuazione degli obiettivi di Lisbona – fare dell’Unione Europea, al termine del 2010, la società della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, generando nel contempo una crescita economica sostenibile, maggiore coesione sociale, migliori livelli di occupazione – non si avevano ancora a disposizione degli strumenti in grado di restituire una visione complessiva del contributo che il settore culturale e creativo fornivano in quella direzione, sia a livello nazionale che internazionale.
Sull’onda di questa consapevolezza e della convinzione che la responsabilità del rilancio competitivo dei sistemi locali passi anche attraverso la capacità di mettere la cultura in condizione di trainarne lo sviluppo socio-economico e industriale (come avviene grazie all’ICT), ecco che anche nel nostro stivale da qualche tempo si assiste allo sforzo di razionalizzare l’informazione e la gestione di ciò che viene comunemente rappresentato come bene o attività culturale. Tutto questo avviene naturalmente allo scopo di valutare lo status quo e, all’occorrenza, preparare il terreno per nuove misure strategiche di intervento da condividere sia con gli attori pubblici che con quelli privati.
Rientra perfettamente in questa griglia di strumenti anche il primo rapporto (2008) su Il Mercato e l’Industria del Cinema in Italia realizzato dalla neonata Fondazione Ente dello Spettacolo in collaborazione con Cinecittà Luce S.p.A. e che si configura sin dalle pagine di apertura come un punto di svolta nel panorama degli studi economici sull’industria cinematografica italiana.
Mentre gli altri studi di settore, infatti, si sono dimostrati finora puntuali nello scattare la fotografia di quanto avviene ogni anno al box office, o a livello domestico, per quanto riguarda il consumo (domanda) – che di fatto rappresenta solo la parte terminale di un lungo processo –,  poco o nulla è stato mai fatto per azzardare una stima delle dimensioni complessive della macchina che presiede alla produzione e distribuzione (offerta) del prodotto cinematografico.
Così il Rapporto in oggetto è stato concepito come uno sguardo a volo d’uccello sull’intera filiera industriale volto a definirne caratteristiche (dal punto di vista della scienza economica), dimensioni (numero e tipologie di aziende impegnate, numero e tipologia di professionisti coinvolti) e fatturato. Un volo che, partendo dall’analisi compositiva delle principali fonti di investimento e finanziamento che danno avvio ai singoli progetti, arriva ad esaminare a valle la platea degli esercizi deputati alla diffusione finale del prodotto, passando attraverso la strozzatura della clessidra in cui alloggiano un modesto ma potente numero di distributori di pellicole.
Un lavoro di ricognizione necessario ma non facile. Necessario perché l’insistenza a puntare i riflettori sul versante della domanda, anche e soprattutto da parte degli addetti ai lavori, ha lasciato per troppo tempo nell’oscurità un vasto arcipelago di attività proprie della cinematografia. Non facile perché, nonostante l’utilizzo di una molteplicità di fonti autorevoli tra loro diverse, si è dovuto fare i conti con la scarsa reperibilità e confrontabilità di alcune informazioni. Si pensi ad esempio alla difficoltà di stimare il volume di fatturato delle società non di capitali – circa il 52,3% di tutte le aziende che lavorano nella filiera – che  non hanno per legge l’obbligo di depositare i bilanci; oppure alla difficoltà di risalire a quelle aziende iscritte all’anagrafe delle Camere di Commercio e ancora attive.
Laddove sono venute meno informazioni di tipo quantitativo, dunque, sono intervenute stime ipotetiche in grado di dipingere in modo cauto e realistico la dimensione del fenomeno, suggerendo al contempo possibili azioni correttive per il superamento delle barriere incontrate.
Dal quadro complessivo è emerso una situazione piuttosto articolata e ben difficile da riassumere. A grosse linee il Rapporto “censisce” all’incirca 9.000 imprese che operano lungo tutta la filiera. Di queste circa 6.400 operano nel segmento della produzione – incluse le grandi aziende con forma giuridica privata ma interamente finanziante con capitale pubblico come Rai Cinema o Cinecittà Holding, ma anche aziende cosiddette tecniche o esecutive di pre e post-produzione, stampa e riproduzioni, teatri di posa e studi –, generano circa il 78,5% delle risorse messe in campo per produrre una media di 120 film all’anno. Da questo si deduce che il restante 21,5% è per la maggior parte denaro reso disponibile dal settore pubblico – dal MiBac con un capitolo del FUS, dalle Regioni attraverso le Film Commission, dall’Unione Europea attraverso i programmi MEDIA e Eurimages – e in piccolissima parte da capitale straniero (investimenti di aziende straniere che hanno filiali in Italia o investimenti in regime di co-produzione). Il volume d’affari complessivo del settore si aggira attorno ai 5 mld di euro e il numero di addetti coinvolti sono più di 100 mila unità. Tra le case di produzione in senso stretto, nonostante l’elevato numero di cui sopra (6.400 circa), ne esiste più o meno soltanto un centinaio che lavora con continuità. Per quanto riguarda le altre la situazione è analoga a quella di tutte le altre aziende italiane, fra le quali predomina la struttura di piccola o piccolissima taglia.
Pur non esaurendo l’articolata composizione del mercato cinematografico italiano restituitoci dal Rapporto, l’immagine appena riprodotta ci suggerisce l’idea che il fatturato generato dall’industria cinematografica rappresenti a tutti gli effetti un tassello importante dell’economia italiana.
Il lavoro condotto dalla Fondazione Ente dello Spettacolo rappresenta dunque uno strumento nuovo nel panorama italiano, utile per almeno due ordini di motivi. Da un lato infatti venendo a colmare un vuoto di informazioni esistente da tempo, esso restituisce alle piccole e medie imprese – che per le loro dimensioni non hanno risorse da dedicare al monitoraggio delle tendenze in atto – la possibilità di essere più competitive sul mercato. Dall’altra esso si si configura come una mappa su cui enti pubblici e dicasteri possono basare le future politiche di intervento strategico a sostegno della produzione cinematografica del Paese (ad esempio riformulando i criteri di attribuzione dei fondi  FUS-Fondo Unico per lo Spettacolo, individuando nuove misure di incentivazione e defiscalizzazione a integrazione della tax shelter e della tax credit).
Il lavoro di questo Rapporto è dunque destinato a non restare inosservato. Esso infatti è figlio del suo tempo, un tempo di rinnovamento in cui in cima alle agende di Stato, Regioni ed Enti Locali c’è l’obiettivo-imperativo di attuare nuove politiche di valorizzazione dei beni e delle attività culturali, data la loro capacità di generare “esternalità” positive sul piano sociale e culturale, oltre che economico. In questo clima favorevole il cinema sta tornando a ricoprire un interesse specifico in Italia. Lo dimostrano il proliferare delle Film Commission (nate grazie a leggi regionali) o dei Festival. Si aggiunga anche la recente nascita della Fondazione Lazio per lo Sviluppo dell’Audiovisivo (alcuni prodotti dell’audiovisivo infatti possono essere considerati alla stregua dei prodotti filmici), creata dalla Regione Lazio con l’obiettivo di valorizzare il mercato dell’audiovisivo italiano all’estero, impegnandosi attivamente nella formazione del settore e promuovendo il RomaFictionFest.
In altre parole sembra che nel calderone ci siano una buona dose di premesse, di iniziative, di proposte e di buona volontà pubblico-privata per far si che il sistema culturale e industriale del cinema italiano possa vivere una fase di rilancio competitivo sul mercato interno e su quello internazionale.
Ci sarà però bisogno di lavorare tutti nella medesima direzione, di istituire tavoli di coordinamento tra tutte le istituzioni che si occupano di monitorare e di intervenire, ciascuna con i propri strumenti, sul mercato del cinema. Ci sarà bisogno di fissare obiettivi comuni, di uniformare i criteri, di rendere comparabili i dati, di colmare i vuoti informativi ed eleggere indicatori universalmente confrontabili per poter essere utilizzati in modo strumentale ai fini di nuove politiche di intervento.