Una filosofia della povertà

architettura sopravvivenza_bollati boringhieriUn nuovo atteggiamento nei confronti dell’abitante, della professione dell’architetto e dell’oggetto architettonico: l’architettura della sopravvivenza si presenta così, come “proto stile” che ambisce a realizzare un nuovo “stile di abitazione”, proponendo soluzioni che riscoprano i valori naturali e le tecniche compatibili con un modo di vita più sobrio.
Yona Friedman, architetto, designer e urbanista francese, racchiude e sviluppa tale concezione in questo testo, giunto ormai alla sua venticinquesima edizione; la sua “filosofia della povertà” lo spinge a proporre l’autopianificazione in rottura con l’architettura concepita come “geometria applicata”, giungendo ad una “interpretazione realizzabile della natura resa abitabile”.
L’autore sviluppa le tematiche centrali a partire da alcune domande, che mettono in questione diritti e responsabilità in materia di architettura, nell’ottica soprattutto della società del mondo povero: “Il credo di questo libro è che la penuria è la madre dell’innovazione sociale o tecnica. La società povera esige l’uguaglianza e, spinta dalla necessità, dispiega ingegnosità tecnica eccezionale”.
Ciascuno dei sei capitoli che compongono il volume suonano come assiomi dati come veri ed evidenti perché frutto dell’esperienza di Friedman, che nel corso degli anni e della sua pluridecennale carriera ha confermato la fattibilità delle proposte e dei risultati pratici attesi.
In particolare, come riferito nella premessa, alcuni dei progetti sperimentali sono stati realizzati con il sostegno dell’Unesco e dell’Università delle Nazioni Unite, attraverso la diffusione di alcuni manuali di auto-costruzione nei Paesi africani, sudamericani e in India, con il principale obiettivo di porsi come modello educativo che si rivolge all’abitante medio: proprio a lui, all’uomo comune, è indirizzato il testo, essendo egli stesso il soggetto avente diritto di priorità sul costruttore dell’oggetto. “L’oggetto architettonico deve essere dunque, al momento, il risultato della collaborazione tra il futuro abitante e il costruttore- ideatore”. Detta in altri termini, all’abitante non resta che illustrare le sue esigenze e la sua idea all’architetto, secondo un sistema di comunicazione condiviso, che permetta all’abitante di costruire il “suo programma”, senza che egli debba spiegare a sé stesso o all’architetto il perché della sua scelta, dal momento che la trascrizione illustrativa ne permette la comprensione immediata. Tale sistema di comunicazione (definita “bottoni-fili”) è lo stesso adottato da Friedman nel corso dei suoi insegnamenti e più volte applicato e sperimentato, in modo tale da aiutare l’abitante, una volta assimilato il metodo, ad ideare il progetto della propria abitazione e a diventare autopianificatore. Ed è proprio nelle piccole città e nei villaggi urbani che l’autore identifica il terreno più fertile per l’autopianificazione, perché nel Terzo Mondo le persone “coabitano” in minicittà nelle città, il cui segreto per il buon funzionamento consiste nel risolvere i conflitti in via amichevole, senza pressioni. In questo quadro delicato, l’architetto ha il compito di scrivere questa nuova grammatica e insegnare il metodo di comunicazione, in modo tale che, una volta acquisita la conoscenza, l’abitante sia in grado di condurre il dialogo, di cui l’architetto ne diviene interprete.

I capitoli seguenti pongono nuovi interrogativi, circa la necessità di limitare le trasformazioni, conservando solo le più necessarie, in modo tale che l’uomo sia in grado di sopravvivere in condizioni sufficientemente favorevoli. L’autore non si sottrae dall’identificare alcuni punti di un programma ideale, al cui al primo punto colloca la diffusione dell’informazione, veicolata con un linguaggio semplice a coloro ai quali può essere utile. Regola fondamentale: saper utilizzare l’esistente anziché costruire ex novo, in cui nella “guerriglia per la sopravvivenza” l’autopianificatore è chiamato a riutilizzare le costruzioni e le superfici esistenti, escogitando come ripararsi, come produrre cibo, come organizzarsi socialmente.
La parte conclusiva raccoglie le suggestioni dei capitoli precedenti, amplificando le tematiche con due esempi concreti che riguardano la formazione di architetti e ingegneri “scalzi”, il cui compito sarà quello di addentrarsi nelle bidonville e insegnare queste conoscenze fondamentali, necessarie alla vita urbana, all’uomo qualunque che in esse vi abita: tali architetti saranno i complementi indispensabili degli attuali architetti di formazione classica, divenendo loro stessi i veri profeti di una nuova “filosofia della povertà”.

L’ architettura di sopravvivenza
Una filosofia della povertà
Friedman Yona
Editore Bollati Boringhieri Euro 16
ISBN: 8833920119
www.bollatiboringhieri.it