fabbriche creativitàLa riconversione creativa di cui sono stati oggetto ampi spazi urbani e metropolitani negli ultimi anni, rappresenta uno stadio avanzato di quella che oggi potremmo definire l’era post-industriale, in cui si è passati dalla produzione di beni materiali alla produzione di beni immateriali. In questo determinato momento storico, infatti, è la conoscenza, il cosiddetto know-how, che mira a ridefinire complessivamente l’identità dei sistemi territoriali, fungendo da volano per lo sviluppo locale e sovralocale.

Destinare dei residui industriali, fabbriche dismesse, luoghi inutilizzati e abbandonati alla produzione culturale, significa dotarli di un ulteriore strato temporale, più consono all’uso e al consumo del presente, dei giovani, dei creativi, delle realtà locali e culturali che vedono in questi luoghi un milieu del proprio territorio
Sfruttando la maestosità di queste strutture architettoniche dei primi anni del ‘900, si riesce infatti a sopperire ad una serie di esigenze legate sia al degrado urbano che queste realtà hanno indirettamente causato, sia alla necessità della popolazione locale di trovare un luogo, diverso dal museo tradizionale o dall’istituzione culturale, in cui poter agire e interagire a diversi livelli.
Ogni anno in Italia vengono smantellati mediamente 150 mila metri cubi di vecchi edifici industriali e vengono “rottamate” circa 300mila tonnellate di macchinari ed attrezzature, mentre gli archivi ed i disegni vengono generalmente distrutti entro i cinque anni previsti dalla normativa vigente.

In termini economici e di sostenibilità ambientale, riutilizzare degli edifici esistenti è di gran lunga più remunerativo della demolizione e ricostruzione ma la riconversione di un edificio non è comunque un’operazione di facile realizzazione: affinché uno spazio venga recuperato devono infatti trovare supporto delle iniziative spontanee provenienti dal basso, dalla stessa comunità locale che abita quei luoghi, li vive e li conosce meglio di qualsiasi altro soggetto esogeno, pubblico o privato che sia. È a partire da questo primo stimolo che dovrebbe istaurarsi una concreta sinergia tra cittadini, amministrazione locale e investitori locali, tre realtà diverse che devono incontrarsi e fare necessariamente rete a differenti livelli.
Così è accaduto in svariati casi di riconversione creativa: in molti casi provenienti da incoraggiamenti della pubblica amministrazione (da cui sono poi sostenuti), in altri dall’idea di operatori cultuali (che quindi vengono finanziati da privati), in altri ancora da gruppi spontanei di cittadini che si auto gestiscono e auto finanziano,

A Catania, ad esempio, un deposito di arance è stato trasformato in uno spazio d’arte (Majazè) e una ex raffineria di zolfo convertita a “Zo Culture” per la formazione e le residenze d’artista; a Bologna Leggere Strutture Factory, godendo del “Microcredito”, un finanziamento per lo start up d’impresa giovanile, ha ristrutturato un ex spazio industriale per farlo divenire un centro per le arti a 360 gradi. A Milano esemplare è il caso de “La Fabbrica del Vapore”, polo culturale in cui i giovani possono sperimentare e diffondere le proprie idee creative mentre a Terni è stato da poco inaugurato CAOS, Centro per le Arti Opificio Siri, nato proprio dalla riconversione dell’antica fabbrica chimica Siri. Il caso più recente è quello della ex manifattura tabacchi di Cagliari che dopo 9 anni dalla sua originale destinazione d’uso si accinge a diventare una nuova fabbrica di creatività, così come è già stato per l’ex manifattura tabacchi di Firenze e come sarà sancito per quella di Lucca, dove oggi si organizzano visite guidate gratuite e dove vengono ospitati numerosi festival ed eventi culturali, in attesa di un finanziamento definitivo che la vedrà diventare spazio espositivo, o struttura ricettiva di lusso o albergo.
Ma i casi di recupero industriale non si limitano all’Italia, anzi, è proprio da esempi a livello internazionale che ci si è avvicinati con sempre più insistenza a questa nuova forma di riuso: il modello di riferimento mondiale è sicuramente quello della Andy Warhol Factory, officina di sperimentazione newyorkese nata negli anni ‘60 in cui gli artisti suonano, dipingono, danzano, sperimentano nuove tecnologie e cercano nuove forme d’espressione.
Il Farnham Maltings vicino Londra, ex fabbrica di birra ed ora centro d’arte e di moda prende le mosse dalla Kulturbrauerei di Berlino, grande centro culturale sorto all’interno di quello che era il birrificio più grande d’Europa, mentre la Cable di Helsinki, ex fabbrica di cavi elettrici, è ora uno spazio che l’azienda Nokia ha affittato ad artisti finlandesi affinché vi ospitino festival, rappresentazioni teatrali, esposizioni.

Le aree industriali, soprattutto quelle dismesse rappresentano un enorme patrimonio urbanistico per una città: a Milano vi sono aree dismesse per 9,5 milioni di mq, a Roma 6,2 milioni, a Genova 3,9 milioni e a Torino circa 2,7. Tutte aree in attesa di destinazione spesso minacciati da interessi economici e speculativi, beni non tutelati dalla normativa in vigore che aspettano di essere eletti a bene culturale.