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Intervista a Gabriello Mancini – Presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena
Lunedì 16 febbraio il Prof. Emmanuele F.M. Emanuele ha pubblicato nella sezione “Attualità” di Affari e Finanza un intervento dal titolo ‘Finanziare la “welfare community”, il nuovo ruolo delle Fondazioni’ in cui si evince come le Fondazioni allo stato attuale stiano cambiando il loro ruolo all’interno del Terzo settore, passando da un sistema di welfare state ad uno caratterizzato appunto dalla welfare community. Cosa ne pensa al riguardo?
Mi ritrovo pienamente nelle parole e nella proposta fatta dal prof. Emmanuele. L’analisi che effettua è molto precisa e, come anche noi stiamo verificando, porterà ad un ruolo delle fondazioni sempre più qualificato e qualificante.
Lo scopo principale di ogni fondazione è il miglioramento della qualità della vita, intesa complessivamente nel proprio territorio di riferimento. Dato che siamo chiamati ad operare per lo sviluppo, è chiaro che questo si raggiungerà nel momento in cui si può contare, da un punto di vista del welfare, su una rete di protezione il più ampia e capillare possibile.
In un suo intervento ha ricordato il ”cambio di pelle” della Fondazione MPS dopo che la sua principale partecipata, la Banca Monte Paschi di Siena (55% del capitale), ha acquisito Antonveneta. Rispetto al tema del cambiamento in generale, Tito Boeri ha usato un’ espressione forte, affermando che uno dei nodi di questa crisi sarà proprio quello di una “rifondazione delle Fondazioni”.
Con il “cambio di pelle”, o “cambio di passo”, mi riferisco a due aspetti.
Il primo riguarda il nostro patrimonio: la Fondazione Monte dei Paschi di Siena aveva operato una forte diversificazione di capitale, poi venuta meno con la sottoscrizione di Antonveneta per l’aumento di capitale. Questo ci ha portato ad avere un patrimonio nuovamente investito in maniera preponderante nella nostra banca e nel settore bancario in generale. È su questo che bisogna operare il “cambio di pelle” a cui accennavo, per ritornare cioè a diversificare.
L’altro “cambio di passo” è quello relativo alle erogazioni del settore: le minori risorse a disposizione dovute alla crisi impongono una selezione ancora più rigorosa di quelle fatte in precedenza. E su questo si sofferma anche il documento approvato dal Consiglio Comunale in cui si esplicita il bisogno di priorità più premianti e di selezioni ancora più accurate che operino nel settore dei fondi non spesi, affinché questi tornino alla fondazione e vengano prontamente ridistribuiti.
Non so, quindi, perché Tito Boeri invochi una rifondazione delle fondazioni. Le fondazioni, a mio parere, fanno bene il loro mestiere e non necessitano di una rifondazione. Penso, inoltre, che il congresso dello scorso 10 giugno proprio qui a Siena abbia dimostrato il buono stato di salute delle fondazioni che hanno mostrato disponibilità di farsi carico dei problemi nel settore del welfare, dello sviluppo, di ricerca…
Si tratta, più che altro, di fare sistema con le istituzioni a livello locale e, complessivamente, come Acri, a livello nazionale.
Se qualcosa va cambiato o rifondato questo riguarda la libertà di azione delle fondazioni perché la legge e le sentenze della Corte ce lo consentono e hanno riconosciuto la nostra natura giuridica privata a e le nostra autonomia statutaria e gestionale. Autonomia e sintonia quindi.
Il tema delle fondazioni è sempre stato un argomento cardine, soprattutto in questi anni di forte crisi economica in cui spesso si è rimproverato alle fondazioni di tenere troppi fondi fermi.
I nostri non sono fondi fermi, sono piuttosto delle erogazioni già deliberate e non ancora spese perché gli enti che ne avevano fatto richiesta, la maggior parte dei quali pubblici, ancora non hanno completato i relativi progetti. Se un determinato comune, ad esempio, ci fa richiesta di un finanziamento per la ristrutturazione di un palazzo, noi finanziamo il progetto lasciando un periodo per attuarlo. Al termine di questo periodo, se per motivi vari il progetto non parte, quei soldi restano fermi. Questa è una cosa che accade molto spesso, soprattutto con le strutture farragginose della burocrazia pubblica. Lasciato trascorrere un certo periodo, però, si deve intervenire. Si tratterrà, allora, di fare una cernita e di recuperare quei fondi che sono fermi da tempo per progetti che non sono mai partiti o sono in forte ritardo.
Si verificano le motivazioni di questi progetti fermi, si vede quali di queste sono delle ragioni valide e poi si interviene. Per il bando straordinario di Gen/Feb riguardante lo sviluppo economico ed il sociale a favore principalmente dell’occupazione e delle famiglie,ad esempio, abbiamo messo a diposizione circa 17 milioni e mezzo, precisando che tutti i progetti dovessero obbligatoriamente partire entro il 31 luglio pena la revoca immediata del contributo concesso.
Lei ha parlato di selettività dei progetti. Quali saranno le categorie di progetti sulla quale si focalizzerà l’attenzione della Fondazione MPS?
La prima selezione viene operata dalla Deputazione Generale, che individua i 5 settori rilevanti. Per quest’anno la Fondazione MPS ha scelto: lo sviluppo economico, l’arte, l’istruzione, la ricerca scientifica e la sanità. Poi nel nostro documento programmatico indichiamo anche dei criteri da adottare per la selezione dei progetti di terzi: abbiamo inserito quest’anno interventi per il rilancio dell’artigianato d’epoca, dei vecchi mestieri artigiani, un intervento per le infrastrutture, l’aggiornamento idrico, la tutela della qualità dei prodotti alimentari, il sostegno alla famiglia.
Questi sono i settori che per noi, in questo periodo, rivestono particolare interesse. Tra questi sono indicati anche quelli che si possono definire i progetti partecipati quali il Toscana Life Sciences e alcune istituzioni che hanno un particolare rilievo, come Fondazione Siena Jazz, Fondazione Qualivita, Fondazione Cotec, Mecenate 90, il Cantiere d’arte internazionale di Montepulciano, in cui la Fondazione MPS interviene o perché è presente negli organi decisionali (è il caso di Fondazione Cotec o Mecenate 90) o perché costituiscono iniziative di particolare interesse per il territorio (il caso di Fondazione Qualivita o Siena Jazz)
Le priorità vengono stabilite annualmente, quindi per il prossimo anno potranno rimanere le stesse o magari cambiare radicalmente.
Il Rapporto pubblicato dall’Istat vede dal 1999 al 2005 il numero delle Fondazioni cresciuto del 57%. Questo incremento ha portato naturalmente ad una lievitazione del patrimonio complessivo impiegato in diverse attività, dall’ambiente alla cultura, dallo sport all’istruzione che sono poi anche gli stessi settori in cui si va sempre più riducendo l’investimento pubblico. Secondo lei è ipotizzabile una completa devoluzione di alcuni servizi di natura sociale, e spettanti dunque allo Stato, al no profit?
Io sono dell’idea che le fondazioni debbano svolgere un ruolo sussidiario e non sostitutivo, in tutti i settori. Lo stato deve adempiere ai propri doveri così come a livello regionale, provinciale e comunale. Appaltare dei servizi alle fondazioni sarebbe come snaturarle.
Ho sempre rigettato l’idea di fondazione come “braccio armato” o come “bancomat” di qualcuno. La devoluzione creerebbe subalternità e vedrebbe morire l’autonomia che ci caratterizza. Possiamo fare insieme, ma non soli.
Tra partecipare simultaneamente a dei progetti ad essere semplicemente degli ufficiali pagatori c’è una bella differenza. La via mediana è quella che si raggiunge con la sintonia e l’autonomia.
Durante il convegno associativo dell’European Foundation Centre si è evidenziata l’urgenza di predisporre un modello unitario di statuto per far fronte alle sfide della globalizzazione e della transnazionalità dei sistemi filantropici. Quale sarebbe secondo lei la forma giuridica più pertinente per risolvere i problemi “di frontiera” e quali gli ostacoli da affrontare?
Per quanto riguarda un modello unitario di statuto, l’Acri ha fatto le proprie considerazioni al riguardo e credo che potrebbe rappresentare una conquista importante, in quanto rafforzerebbe a livello internazionale il ruolo delle fondazioni. Questo, però, deve essere coniugato al rispetto delle specificità di ogni fondazione perché sarebbe un errore gravissimo il volerle uniformare in maniera indistinta. Ogni fondazione ha una sua particolarità e noi dobbiamo aspirare ad una coordinazione e ad un sistema comune evitando però la mera omologazione.
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