88583347Fino al 18 dicembre 2009 tutto il mondo sarà impegnato in quello che si prospetta essere il vertice sul clima più importante degli ultimi anni, il Cop 15, ovvero la quindicesima conferenza Onu sui cambiamenti climatici che ha preso il via il 7 dicembre a Copenaghen.
Se, almeno in teoria, tutti Paesi del mondo sono d’accordo sull’esigenza di frenare i gas-serra, la battaglia si complicherà però a causa delle innumerevoli ricadute sul piano politico ed economico a livello nazionale: ogni Paese, infatti, tenta di negoziare il più possibile per far avanzare i propri obiettivi senza che venga intaccata profondamente l’economia interna.
Quattro i punti chiave su cui si tenterà di stabilire un accordo:
1. la riduzione delle emissioni di gas entro il 2020 per i Paesi sviluppati;
2. riduzione della crescita delle emissioni anche per i Paesi in via di sviluppo, che si dovranno impegnare affinché dopo il 2020, picco massimo della loro crescita, venga seguita una dura lotta contro le emissioni;
3. creazione di un fondo economico da parte dei Paesi più ricchi per aiutare nel perseguimento degli obiettivi i Paesi più poveri;
4. individuazione di una struttura che si occupi del monitoraggio climatico a livello globale.
L’Europa, con il suo piano 20-20-20 prevede entro il 2020 un taglio del 20% di anidride carbonica e un aumento del 20% di combustibili rinnovabili ed efficienza energetica.
Gli Stati Uniti del presidente Obama, invece, si ripromettono di diminuire le emissioni del 17% rispetto al 1990, mentre la Cina ha previsto di sganciare la crescita delle emissioni da quella del Pil: ogni unità di Pil, cioè, avrà meno emissioni.
Ma come si arriverà al raggiungimento di tali obiettivi?
In molti sostengono che non si potrà puntare tutto sui vincoli e le limitazioni e che la via del successo è rappresentata piuttosto dagli investimenti in ricerca e innovazione. Solo in questo modo, infatti, l’energia rinnovabile può diventare il motore dell’economia, con i benefici ricavati che andrebbero a superare nettamente i costi iniziali di adeguamento.
Nonostante le speranze (Hopenaghen è stata ribattezzata la conferenza) i giorni iniziali del vertice sul clima si sono rivelati già molto tesi: un documento riservato è infatti passato sotto le mani del responsabile per l’ambiente del quotidiano britannico The Guardian, nel quale si parlava di un diritto di inquinamento pro-capite dei Paesi ricchi doppio rispetto a quello dei Paesi in via di sviluppo. Naturalmente i rappresentanti dei Paesi più poveri hanno immediatamente rifiutato ogni accordo basato su tali proporzioni, tanto che lo stesso responsabile del clima per l’Onu, Yvo de Boer, ha dichiarato si trattava esclusivamente di un “paper informale”. Arrivare ad una soluzione sarà molto complicato per 192 Paesi così diversi fra loro per cultura ed economia. Già l’Europa con Josè Manuel Barroso ha precisato che non si arriverà ad un trattato vincolante ma al massimo ad un accordo politico che quindi, si desume, verrà ripreso a Bonn nel giugno 2010 per la prossima conferenza delle nazioni Unite sul clima. Nel frattempo però si parla di un “fast start”, ovvero di due miliardi di euro l’anno per tre anni per i Paesi in via di sviluppo di Asia e Africa finalizzati alla diminuzione repentina di emissioni inquinanti. Un investimento esoso per l’Europa che però non accontenta i destinatari dei fondi: dieci miliardi di euro chiedono infatti i Paesi più poveri.
E l’Italia?

Al settimo posto tra le Nazioni più inquinanti tra i paesi industrializzati, l’Italia alla conferenza Onu dovrà mantenere una posizione mediatrice rispetto all’Europa compatta. L’alta efficienza energetica e la debolezza dovuta al susseguirsi di governi antitetici, non hanno permesso al Belpaese di conquistare programmi europei generosi come è avvenuto invece per Germania, Polonia o Francia. Le aziende impegnate nella diffusione della green economy, infatti, si sono diffuse molto rapidamente all’interno del territorio nazionale: grandi società come Eni, Terni Energia, Greenvision Ambiente, Terna, Edison, Ascopiave e molte altre sono già da anni in prima linea per la riduzione delle emissioni di Co2 a livello globale, manca ancora un quadro di riferimento unitario di misure e regole che si spera arriverà al termine della conferenza danese.
Nel 2000 i leader del mondo avevano messo nero su bianco la volontà di dimezzare la fame nel mondo con la promessa di finanziare i paesi disagiati. Ad oggi questo accordo è rimasto solo inchiostro su carta. A decretare il successo degli accordi, in fondo, saranno solo gli eredi del nostro pianeta a cui oltre ad un mondo più sostenibile possiamo avere la possibilità di tramandare un esempio di democrazia e diplomazia. Speriamo di riuscirci.