vigne_paesaggioLa qualità delle specifiche entità territoriali sta assumendo in misura crescente nel sistema agricolo italiano il carattere di “risorsa” in grado di determinare lo sviluppo socio-territoriale sfruttando la capacità di attrazione turistica attraverso la valorizzazione delle produzioni tipiche e dei sistemi produttivi locali e la tutela delle componenti paesaggistiche.
In un’economia sempre più globalizzata, la competizione si consuma non soltanto a livello di prodotti, ma coinvolge anche la qualità dei territori di cui ne sono espressione.
Nel campo della viticoltura ciò appare ancora più evidente soprattutto se si considera che l’Italia, pur nella sua identità paesistico culturale unitaria, si caratterizza per contesti territoriali peculiari in quanto derivati da processi di evoluzione storica differenziati.
Il successo di un “sistema di paesaggio” è decretato dalla sintesi di valori materiali e immateriali, ossia dall’integrazione dei caratteri fisici con la componente antropica che ha interagito con il territorio modificandolo nei suoi assetti sotto la spinta di necessità economiche. Il vino, dunque, non è il semplice prodotto enologico, ma è l’espressione dell’intero agro-ecosistema viticolo, in quanto esito dell’interazione tra varietà coltivata, forma di allevamento adottata e caratteristiche pedologiche del suolo.
Tuttavia, nel settore vitivinicolo mondiale prevale la tendenza verso uno “stile enologico standard” che implica l’omologazione degli stessi sistemi di coltivazione e dei processi di vinificazione. Dominano sul mercato due dozzine di vini (Chardonnay, Cabernet, Sauvignon, Grenache, Syrah e Merlot, ecc.), eccellenti dal punto di vista qualitativo, ma privi di una propria differenziazione e caratterizzazione territoriale.
La seriazione delle produzioni si è accompagnata, poi, ad un appiattimento dello stesso paesaggio storico. Per fare l’esempio della Toscana ma più in generale di quei territori coincidenti con le aree di massima espansione etrusca (Etruria propria, Etruria Padana, entroterra campano), il paesaggio delle colture promiscue, in cui i filari di vite con i loro tutori (pioppi, aceri campestri e alberi da frutto) erano affiancati a porzioni di terreno coltivate a seminativo o con vegetali, è stato sostituito, a seguito della meccanizzazione dell’agricoltura e della domanda del mercato, dalla monocoltura arborea specializzata (vigneti, oliveti) e seminativa (foraggi e seminativi industriali). Il paesaggio seriale delle monocolture specializzate, suddiviso in maglie geometriche di vasta estensione, ha finito quindi per sostituire quello a mosaico, in uso nell’Italia centrale fin dal VI secolo a.C. con soluzioni di continuità e perfettamente incardinato al sistema economico della mezzadria poderale. All’interno di tale sistema, concepito come unità a sé e pertanto autosufficiente, i filari promiscui assumevano un carattere polifunzionale; oltre ad offrire frutti freschi per uomini e animali, le viti venivano adoperate per terrazzare pendii altrimenti di difficile lavorazione, per delimitare le aree boschive, per segnare i confini dei poderi, per dare legna.
È evidente che il paesaggio rurale nelle sue trasformazioni non può sottrarsi ai cambiamenti  imposti dal mercato, ma è altrettanto vero che è possibile pensare a modelli di sviluppo sostenibile dell’agricoltura sia sul piano ambientale che socio-economico, riconoscendo nella qualità storica di un territorio il valore aggiunto in grado di rendere una produzione unica e non replicabile in altri contesti.