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È il film più costoso nella storia del cinema e quello più atteso da milioni di italiani che, in base a precisi accordi di mercato, hanno dovuto attendere quasi un mese in più rispetto agli Stati Uniti e al resto d’Europa per poter assistere a quello che si preannuncia essere uno degli spettacoli tecnologici più sensazionali di sempre.
Uscirà in Italia venerdì 15 gennaio 2010 “Avatar”, il film in 3D diretto da James Cameron, regista già noto ai più per il colossal degli anni ’90, Titanic e, in alcuni cinema del gruppo “The Space” già programmato allo scoccare della mezzanotte tra il 14 e il 15 gennaio, proprio per evitare che l’attesa si protragga oltre.
Dopo aver già incassato più di un milione di dollari in tutto il mondo, “Avatar” è già destinato a grandi record: film più costoso di tutti i tempi, 400 milioni di dollari il costo finale dell’opera, diventerà presto la pellicola con i maggiori incassi al botteghino.
Ma ciò che fa di “Avatar” una vera rivoluzione nel mondo cinematografico è la tecnologia usata in fase di produzione dal regista: la Sony ha infatti sviluppato, a partire dal 2000, su richiesta dello stesso regista, un sistema innovativo di telecamere digitali ad alta definizione a doppia lente capaci di girare immagini in 3 dimensioni calibrate alla perfezione.
Dopo anni di sviluppo di codici assolutamente originali, si è arrivati ad un’evoluzione della tecnica di “Performance Capture” facciale: invece della precedente matrice luminosa gli attori hanno indossato un casco contenente 140 micro-telecamere in grado di riprendere ogni minimo movimento facciale che veniva poi trasmesso al proprio alter ego digitale donando così un realismo di movimenti ed espressioni mai ottenuto prima. Da una parte, quindi, si creano degli attori di sintesi, dall’altra si installano dei sensori sugli attori reali in grado di digitalizzarne ogni movimento.
Affinché il risultato fosse veramente stupefacente, nella fase di pre-lavorazione del film, gli attori, tra cui i protagonisti Sam Worthington e Sigourney Weaver, si sono recati nelle foreste delle Hawaii per assimilare i giusti movimenti da trasmettere poi ai propri avatar virtuali.
Grazie ad una nuova tecnica chiamata “Virtual Camera”, inoltre, il regista è stato in grado di vedere quale fosse l’ambientazione finale già durante le riprese in studio: in tempo reale, infatti, le telecamere erano in grado di riprodurre la scena intorno agli attori e, attraverso l’espediente del Simulcam, altra chicca tecnologica creata ad hoc per il film, attore reali e avatar virtuale potevano essere visualizzati contemporaneamente nello schermo del regista e di tutta la troupe, in modo da delineare somiglianze e differenze tra il personaggio in carne ed ossa e quello completamente virtuale.
Quindici anni per concepirlo, quattro per realizzarlo ma, nonostante le critiche al plot da parte degli esperti, stroncature da parte della Chiesa e accuse di razzismo rivolte allo stesso Cameron, la pellicola promette di regalare al pubblico sensazioni mai provate prima. L’obiettivo principale rimane infatti quello di rinnovare l’idea di fruizione del film tradizionale garantendo un equilibrio tra bi- e tri-dimensione.
La tecnica tridimensionale è infatti in grado di stupire e creare grandi emozioni nel pubblico in sale, ma ha anche la capacità di stancare molto gli occhi e di generare mal di testa intrusivi che possono rovinare l’effetto finale del film. Per questo motivo si sono mantenuti sia delle immagini molto familiari e rassicuranti che vengono poi di volta in volta mescolate a scene completamente alienanti e fantastiche, che sembrano appena uscite dal mondo dei videogame.
E, a testimonianza di quanto ogni minimo particolare sia stato studiato e adattato alle esigenze cinematografiche, basterà ricordare che il linguista Paul Frommer è stato ingaggiato appositamente da James Cameron affinché inventasse un idioma per gli abitanti virtuali di Pandora, luna del pianeta Polyphemus e ambientazione principale del film.