atleta di lisippo

Gennaio potrebbe essere un mese decisivo per il contenzioso in corso tra l’Italia e il Paul Getty Museum. Protagonista di una vicenda che si protrae ormai da svariati anni è una statua bronzea conosciuta con il nome di Atleta di Lisippo, rinvenuta nel 1964 da un gruppo di pescatori nelle acque del Mare Adriatico, nei pressi della città di Fano. La tesi sostenuta dallo Stato italiano è che l’opera, acquistata nel 1977 da Jean Paul Getty per 3,9 milioni di dollari, abbia raggiunto gli Stati Uniti per vie illegali, dopo essere stata sepolta per alcuni mesi in un orto di Carrara ed essere stata venduta ad un antiquario di Gubbio, che è riuscito a portarla oltre i confini nazionali. Il museo Getty si difende sostenendo che il suo fondatore all’epoca dell’acquisto fosse in assoluta buona fede e non avesse mai sospettato di avere tra le opere esposte nel proprio museo un bene rubato.
Una tesi che rischia ora di vacillare a seguito della pubblicazione da parte del quotidiano britannico “The Times” di alcuni documenti risalenti al 1976, tra cui una lettera, da cui si evince che il petroliere Paul Getty ed un altro potenziale compratore erano preoccupati per le dubbie origini legali della statua. Una scoperta che ha rimesso le carte in gioco, facendo affermare a Maurizio Fiorilli, l’uomo che rappresenta il Ministero per i beni e le attività culturali nella causa contro il Getty, che si tratta di una testimonianza importantissima che potrebbe provare la consapevolezza dell’attuale proprietario di essere in possesso di un’opera dalla provenienza incerta. Ad avvalorare l’ipotesi dell’acquisto illecito ci sarebbero anche le parole dell’allora direttore del Metropolitan Museum, Thomas Hoving, che in una lettera scritta a Getty nel giugno 1973, diceva che non avrebbe acquistato la statua fino a quando i problemi legali legati alla stessa non fossero stati chiariti. Anche se Hoving non potrà essere sentito dal giudice per le indagini preliminari Lorena Mussoni in quanto deceduto nel mese di dicembre, e anche se Stephen Clark, l’avvocato chiamato a difendere il Getty Museum, sostiene di non aver mai trovato nella documentazione esaminata prove che possano mettere in dubbio la buona fede di Jean Paul Getty, appare chiaro che i fatti di questi ultimi mesi hanno riacceso negli abitanti di Fano la speranza di veder tornare a casa la statua che è ormai il simbolo della loro città. Il verdetto del giudice era atteso per venerdì 15 gennaio, ma Lorena Mussoni ha preferito rinviare di qualche settimana il suo parere definitivo rispetto al procedimento di confisca del bene.
Una storia quella dell’Atleta di Lisippo che fa eco a molte altre in cui i paesi d’origine reclamano il rientro dei propri capolavori esposti in importanti musei sparsi per il mondo. Accade così che l’Egitto rivendichi il busto di Nefertiti, da quasi cento anni a Berlino, insieme alla stele di Rosetta, oggi conservata presso il British Museum, e ad altri tesori dell’antica arte egizia: secondo Zahi Hawass, massimo esperto e responsabile del patrimonio artistico e culturale dell’antichità egiziana, si tratta di opere che furono illegalmente sottratte e che in virtù di questo devono essere restituite al loro legittimo proprietario. Quello che Hawass non dice, ma che lascia facilmente intendere, è che tali opere rappresentano per l’Egitto una rilevante risorsa economica se si considera che il turismo archeologico vale in questo Stato 11 miliardi di dollari l’anno. Hawass ha fatto sapere che l’Egitto sta organizzando una conferenza internazionale, prevista per il mese di aprile al Cario, a cui è stata invitata anche l’Italia per dare voce a quei paesi che da anni si battono per riavere i propri capolavori attualmente conservati nei musei di altre nazioni.
Una questione di non facile risoluzione che pone sui due piatti della bilancia le motivazioni di chi, sentendosi defraudato di un bene che gli appartiene, ne chiede la restituzione e gli interessi, anche economici, delle istituzioni che per anni hanno ospitato all’interno delle proprie sale quegli stessi beni fino a farne un simbolo dell’istituzione stessa.