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Quando parliamo di beni comuni (commons) ci riferiamo a risorse condivise da un gruppo di individui.
Siano esse risorse naturali, finite ed esauribili (e quindi rivali), o di tipo intangibile e non rivale – come nel caso della conoscenza – si tratta evidentemente di sistemi assai complessi, soggetti a importanti dilemmi sociali tanto che, negli anni ‘60, il biologo Garrett Hardin ne preconizzò la “tragedia”: in quanto beni liberamente accessibili e non regolati da diritti di proprietà, essi sono condannati allo sfruttamento o all’esaurimento.
Il tema è oggi molto attuale sia, in generale, in relazione alle domande apertesi in conseguenza della crisi economica sulla validità dei sistemi di mercato, sia per le interessanti implicazioni nel campo dell’economia della conoscenza e della creatività, discipline queste ultime che hanno portato in primo piano il tema dei commons, soprattutto in relazione all’espansione dell’informazione digitale distribuita.
Indizio di questa crescente attenzione è stato anche il Nobel assegnato nel 2009 all’economista statunitense Elinor Ostrom che con i suoi studi, a partire dagli anni ‘80, ha fortemente contestato proprio l’ipotesi di Hardin, dimostrando empiricamente la possibilità di una condivisione sostenibile e durevole delle risorse comuni e identificandone una serie di principi costitutivi.
Il mondo della cultura è ovviamente parte del ragionamento eppure, se nell’ultimo decennio si è parlato moltissimo di distretti culturali, i cultural commons, che potrebbero rappresentarne una naturale evoluzione, restano tutt’oggi un tema ancora assai marginale.
“La grande virtù dei beni comuni come scuola di pensiero è la loro capacità di fare riferimento all’organizzazione sociale della vita, la cui creatività è in larga misura autonoma dal mercato e dallo Stato” (Bollier, 2007). Ecco allora l’importanza del tema dei commons per il mondo della cultura in tutte la sue declinazioni.
Beni, prodotti e servizi culturali si presentano infatti a noi sotto forma di beni comuni in una molteplicità di forme: dall’utilizzo del patrimonio storico artistico a fini turistici – forse la declinazione più simile al concetto originario di commons – alla produzione e gestione di contenuti culturali on-line, alla trasmissione delle tradizioni e dei savoir fair locali.
Le dinamiche di Internet in particolare stanno rivoluzionato il modo stesso di produrre e di fruire cultura verso un’accezione sempre più comunitaria in cui il senso di condivisione è diventato pervasivo. Un fenomeno che riguarda non soltanto i nuovi prodotti digitali ma anche aree di produzione artistica più tradizionali come l’opera lirica.
Quali sfide pongono i commons? Qual è il loro processo evolutivo? Come nascono e come muoiono? La grande varietà di ciò che troviamo dentro al concetto di cultural commons non permette risposte univoche ma senza dubbio ripropone una serie di temi ricorrenti.
Il primo riguarda la governance di questi sistemi, la cui progettazione efficace richiede “comportamenti di azione collettiva e autogoverno, fiducia e reciprocità, e la creazione e/o lo sviluppo continuo di regole appropriate” (Hess e Ostrom, 2009). La corretta gestione dei diritti di proprietà intellettuale rappresenta in quest’ottica un nodo centrale: nel momento in cui la produzione culturale viene intesa in una logica di condivisione si rende infatti necessario ripensare al castello teorico e normativo costruito negli anni da una lato per la sua protezione dall’altro per la sua “recinzione” e sfruttamento economico.
Il secondo, strettamente connesso al primo, riguarda le problematiche relative alla preservazione e al delicato equilibrio della rigenerazione nel tempo della risorsa condivisa. In questa direzione vale per i cultural commons quanto viene affermato per i beni comuni della conoscenza e cioè l’esistenza del cosiddetto fenomeno della “cornucopia dei beni comuni” in cui il valore aumenta man mano che aumentano i membri della comunità sociale. La gestione delle esternalità positive di un simile sistema e gli incentivi ad esso sottesi rappresentano un ulteriore punto di particolare interesse.
Questi e altri temi sono stati recentemente al centro del Primo Workshop Internazionale sui Cultural Commons, organizzato dal Centro Studi Silvia Santagata che ha visto confrontarsi a Torino (29 e 30 gennaio) importanti nomi del mondo accademico internazionale e la partecipazione di Charlotte Hess, direttrice della Biblioteca Digitale dei Commons alla Indiana University nonché co-autrice, insieme a Elinor Ostrom, del libro “La conoscenza come bene comune”.
Riferimenti:
Hess, C. e Ostrom, E. (2009), La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica, Milano, Bruno Mondadori.
Bollier, D. (2009) “Lo sviluppo del paradigma dei beni comuni” in Hess, C. e Ostrom, E., La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica, Milano, Bruno Mondadori.