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Se Caravaggio chiama, Roma risponde. Oggi, come avveniva nel 1592, con la stessa irruenza, lo stesso incontenibile temperamento il Merisi torna nella Capitale con una Mostra evento, senza precedenti. Le Scuderie del Quirinale ospitano fino al 13 giugno una raccolta, o meglio LA raccolta, dei capolavori del maestro.
Una rassegna d’arte che non lascia però spazio a malintesi. I Capolavori, giunti da ogni parte del mondo, sono quelli “da manuale”, opere la cui attribuzione alla mano caravaggesca è certificata. Qualcuno ha considerato tale scelta come un’evidente operazione di marketing, un approccio che evita ogni critica e che fa della mostra un evento mirante esclusivamente alla celebrazione del genio, dove è la fama del capolavoro a prevalere.
Che il Merisi rappresenti una genialità indiscussa della storia artistica del nostro paese non ci sono dubbi, ma si direbbe che il meccanismo della mercificazione dell’arte abbia prevalso a tal punto che la risposta di massa quasi sembra non stupirci, come se ci si stia lasciando travolgere dall’incantevolezza delle opere, dal riflesso che emanano e che, rifrangendosi violento sulla sensibilità umana, lascia tutti senza fiato.
Con questi presupposti, le polemiche degli addetti ai lavori non sono tardate ad arrivare. Contro una scelta considerata un trionfo già in fase embrionale, si sono susseguite tutta una serie di considerazioni che vanno a stridere con l’effettivo riscontro che la mostra sta avendo.
Infatti, la scelta di riferirsi esclusivamente al corpus di opere certificate effettuata dall’ideatore della mostra Claudio Strinati e dai curatori Rossella Vodret e Francesco Buranelli, non solo ha escluso tutta una serie di opere in fase di studio, ma contrasta nettamente con posizioni come quella di Mina Gregori, specializzata in studi caravaggeschi, e secondo la quale questa scelta “azzera cinquanta anni di studi”.
Meglio la scelta critica o la scelta di successo? Non è difficile oggi, in una città come Roma, satura d’arte, imbattersi in mostre “poco frequentate” dal grande pubblico, ma significative per lo sviluppo degli studi e della ricerca. Oggi le Scuderie, già famose per aver dato con il proprio background, attraverso studiosi e curatori, un contributo significativo all’arte e al suo sviluppo puntano su un fattore diverso: la fama indiscussa dei “masterpieces”, portando una raccolta di opere di grandi artisti in mostre raramente replicabili, un plauso all’eroica impresa di riunire tanta bellezza in un colpo solo.
Permetteteci, però, di rimanere perplessi dinanzi ad un terremoto mediatico poco convincente. Caravaggio, e diciamo pure l’arte in genere, è ricerca ed evoluzione: e in questa mostra sembra mancare un tassello. Quello dell’analisi, dello sguardo critico che da sempre ha caratterizzato le rassegne delle Scuderie. Sembrano lontani i fasti della riuscitissima mostra dedicata ad Antonello Da Messina, che comparava le preziose tavole del maestro messinese con opere appartenenti allo stesso entourage e che inevitabilmente conducevano il fruitore all’esamina di tali capolavori. Nella mostra dedicata al Merisi, invece, prevale il dato assoluto, la consapevolezza che i nostri occhi scrutano una certezza, che la mano autrice di quei capolavori fu mossa dall’animo sovversivo del Caravaggio.