Difficile resistere alla tentazione di domandare a se stessi e agli altri quale sia il motivo per cui,  affinché si parli di un determinato problema, è necessario che prima si verifichi un evento dalle conseguenze spesso drammatiche. Il culmine dell’insensatezza di un simile comportamento è stato raggiunto un anno fa con il terremoto che ha colpito l’Abruzzo, ma gli effetti dell’ammissione tardiva dell’esistenza di una qualsiasi criticità sembrano essere ormai un elemento costitutivo della nostra quotidianità. Non è certo una novità che il patrimonio archeologico diffuso sull’intero territorio nazionale non goda di ottima salute, eppure per sollevare l’interesse della comunità nei confronti di un’emergenza che riguarda tutti si è dovuto assistere al crollo di una porzione delle gallerie costruite dall’imperatore Traiano nei pressi della Domus Aurea, nella mattinata di martedì 30 marzo.
Non facile, e forse inutile, cercare di stabile di chi siano le colpe accusando ora gli uni ora gli altri di un evento che molto probabilmente è stato determinato da un insieme di cause. Ciò che allarma, oltre alla gravità del danno – che ha compromesso l’immagine di una delle aree archeologiche più importanti del mondo -, è sapere che la Domus Aurea è solo uno dei tanti beni che compongono la lista del patrimonio archeologico a rischio. Da un articolo apparso sul quotidiano “La Repubblica” dal titolo “Sos archeo” si apprende che i siti che risentono della carenza di manutenzione spaziano dal nord al sud d’Italia. A titolo di esempio l’articolo cita le terme romane di Montegrotto a Padova che, anche se non rischiano alcun crollo nell’immediato, hanno comunque bisogno di una manutenzione continua; Villa Jovine a Capri visitabile solo per il 40%; l’area archeologica di Pompei che, nonostante non presenti alcun problema imminente, continua ad essere fruibile solo in minima parte; Villa Romana del Casale ad Enna lasciata a lungo in uno stato di completo abbandono; i siti ipogei di Lagrasta e Cerbero a Canosa; Villa Adriana a Tivoli; le tombe etrusche di Cerveteri; per non parlare dell’intero patrimonio archeologico di Roma ed Ostia Antica su cui grava un rischio imminente di crolli dovuto alla rapida progressione dei danni strutturali, come messo in evidenza dall’Ordinanza 3747 del 12 marzo 2009 con cui si disponeva di affrontare con la dovuta urgenza i temi della tutela e della fruizione per le aree archeologiche di Roma ed Ostia Antica.
Non giova alle precarie condizioni del nostro patrimonio culturale conoscere la percentuale del proprio bilancio che lo Stato italiano destina ai beni culturali. Una triste evidenza sottolineata dallo stesso Roberto Cecchi, responsabile per l’area archeologica di Roma e Ostia Antica in qualità di commissario, il quale in un’intervista rilasciata a “La Stampa” ha affermato che “c’è un fatto sotto i nostri occhi: la Francia che ha un patrimonio molto inferiore al nostro destina alla sua tutela l’1% del bilancio dello Stato. Noi oscilliamo tra lo 0,18% e lo 0,21%”. Al di là degli errori commessi, degli interventi programmati e mai attuati, dell’utilità dei commissari straordinari per la gestione di siti culturali di notevole rilevanza, resta il fatto che fino a quando la cultura in Italia sarà percepita più come una voce di costo che come un fattore di crescita economica e sociale, gli sforzi per mantenere in vita il nostro patrimonio saranno sempre troppo pochi, se non addirittura vani.