Un tributo a Nico, emblema dell’avanguardia delle passate generazioni tra produzioni personali e Factory warholiana. Ecco il main event della rassegna Meet in Town 2010 che chiama a raccolta l’ex Velvet Underground John Cale, Mark Lanegan, Lisa Gerrard, Mercury Rev, Joan As Police Woman, Laetitia Sader, CocoRosie, My Brightest Diamond, Nick Franglen per celebrare e condividere una delle esperienze artistiche fondanti della scena contemporanea occupando, con questo e altri stage, dal pomeriggio per l’intera serata di domenica 11 aprile, tutti gli spazi dell’Auditorium Parco della Musica.
Siamo a Roma, dove il dialogo sul contemporaneo si sta facendo in questi ultimi anni molto ricco coinvolgendo privati e istituzioni. La Fondazione Musica per Roma decide quindi di scommettere su avanguardia, sperimentazione e underground lavorando insieme a una realtà giovane, a stretto contatto con i fermenti più vivi della scena artistica nazionale e internazionale come Snob Production, in una collaborazione – illustrata  nell’intervista seguente a Marcello Giannangeli, curatore della rassegna insieme a Raffaele Costantino – che “muove” quindi l’Auditorium verso territori inesplorati, simbolicamente rappresentati nella campagna di comunicazione, suggestiva e di forte impatto, con le sale di Renzo Piano che si sollevano dal suolo muovendo verso lo spazio o gli abissi. Ma non solo di celebrazione dell’avanguardia si tratta.
Ci sarà uno spazio (Spazio Risonanze) tutto dedicato alla Warp, l’etichetta londinese che ha festeggiato lo scorso anno venti anni di garage, house, rave pubblicando per prima Aphex Twin, Autechre, Richie Hawtin, e che oggi rappresenta Plaid, Tim Exile e Hudson Mohawke. Mentre il tributo a Nico – dal titolo A Life Along The Borderline – si terrà nella Sala Santa Cecilia,  nella Sala Sinopoli troveremo Alessandra Celletti, Soap&Skin with ensemble e la prima italiana del duo elettronico/jazz Bugge Wesseltoft & Henrik Schwarz, reduce dalla Royal Festival Hall di Londra. Nella Sala Petrassi, spazio al teatro  di ricerca di Santasangre.
I foyer di tutte le sale ospiteranno l’elettronica, più o meno dance, di Murcof, Metro Area, Deadelus, solo per citarne alcuni. Daniele Baldelli e Alan 1, gli italiani. Al Teatro Studio, originaria location delle tre edizioni precedenti, troveremo le rivelazioni indie del 2009 Wild Beasts e The Very Best. È opportuno sottolineare che in Italia iniziative di questo genere esistono, ma non sono state finora, adeguatamente o punto, sostenute dalle istituzioni.
Pensiamo al festival Dissonanze, sempre a Roma, che, come spiega il suo creatore Giorgio Mortari in una recente intervista, “non prende un soldo da nessuna istituzione” e vive quindi di sponsor privati e pubblici (una media di 20.000 spettatori in una doppia serata), con un impegno però sulla qualità dell’offerta che va oltre certe scelte di ritorno economico.
Quindi, se in Europa abbiamo Berlino con la sua Fondazione Federale della Cultura (Kulturstiftung des Bundes) che riceve quest’anno 35 milioni di euro dal Ministero della Cultura che vanno anche, ad esempio, al ventennale Festival Transmediale e relativo CTM (rassegna elettronica nei club); abbiamo Barcellona che con la Generalitat de Catalunya, Centre de Cultura Contemporània,  Comune, Istituto di Cultura e Provincia sostengono il Sonar, pure indipendente al 65%, altro grande evento ultra-decennale che raccoglie una media di 75.000 persone in tre giorni intorno all’elettronica e alla sperimentazione, sembra che sia presente in questo momento, anche in Italia, una “massa critica” che ha bisogno di un dialogo con le istituzioni, da una parte, e dall’altra con chi è in grado di intercettare la qualità e proporla, in modo da far funzionare uno show biz non più semplicemente “alternativo” ma contemporaneo a tutti gli effetti.

Tafter ha intervistato al proposito Marcello Giannelli di Snob Production, curatore della rassegna insieme a Raffaele Costantino.

Questa nuova edizione di Meet in Town rappresenta una formula inedita che fa coesistere istituzioni pubbliche (in questo caso la Fondazione Musica per Roma) avanguardia, sperimentazione e underground in una grande scommessa, un’intera notte dedicata al meglio di una certa scena musicale contemporanea e internazionale. Come si inserisce questa operazione nel panorama italiano e quali sono, se esistono, le realtà di riferimento in Italia?
Che io sappia non esistono cose del genere per due differenti elementi. Il primo è che in questo caso non avviene semplicemente che un’istituzione pubblica sovvenziona e sostiene un evento culturale. Qui si tratta di due realtà (Fondazione MpR da una parte e Snob Production dall’altra, ndr.) che collaborano fianco a fianco nei moltissimi aspetti dell’organizzazione del festival: ideazione, produzione, promozione e così via. La seconda peculiarità risiede invece nel contenuto particolare, spurio e commisto dell’evento stesso, che si muove tra elettronica ed indie, tra dance e rock, tra musica, arte e teatro… Infine aggiungerei come elemento una caratteristica fondamentale della Fondazione Musica Per Roma, che già la rende di per se stessa differente, almeno dalla gran parte delle realtà che operano in questo ambito. Quando si pensa ad istituzioni, a soggetti che sovvenzionano eventi, ci si immagina enti pubblici, che generosamente, e spesso macchinosamente elargiscono fondi. Qui di elargito non c’è nulla, la Fondazione vuole stare (e sta meravigliosamente bene) sul mercato. Produce moltissimi eventi che si auto-finanziano. Questo è uno degli aspetti che colpiscono e che personalmente sin da subito mi hanno affascinato di Musica Per Roma.

Quali sono le realtà di riferimento all’estero ? Penso a Barcellona con il Sonar, a Berlino con il Transmediale, dove la sperimentazione e i nuovi linguaggi sono appoggiati dalle istituzioni locali e nazionali. Ci sono modelli stranieri a cui avete pensato nel proporre questa formula ad una istituzione pubblica come MpR?
No, sinceramente abbiamo cercato di fare la nostra cosa. Non ci ha mai attratto l’atteggiamento di chi pensa sempre all’estero e se qualcosa non funziona subito sbotta:  “beh, sai com’è, qui siamo in Italia…”. Anzi questa cosa l’abbiamo sempre presa in giro: abbiamo capito che gli appartamenti a Berlino costano meno, che a Londra i concerti sono organizzati molto meglio, che a Barcellona, c’è un sacco di roba interessante, e così via… è chiaro che la cultura all’estero è molto più sostenuta dalle istituzioni, ma a noi piacerebbe riuscire a creare economie anche da soli. Forse è anche questo modo di ragionare che, paradossalmente, ci ha avvicinato alla Fondazione Musica Per Roma.
Sicuramente ci sono esperienze simili al MIT Festival all’estero, ma devo dire che, magari anche sbagliando, non ci abbiamo mai pensato.

Quali sono gli elementi di forza che hanno portato l’Auditorium a credere e scommettere su questa iniziativa? Che tipo di pubblico vi aspettate?
Semplicemente una realtà come Auditorium si pone come mission di raggiungere quanto più pubblico possibile. Ha un target estremamente eterogeneo e differenziato che va dalla lirica al pop, includendo tutti i generi maggiori della contemporaneità. Tra questi l’elettronica e i nuovi suoni hanno chiaramente un ruolo particolarmente importante per larghe fasce di pubblico.
Oltre a questo sono ambiti fertili culturalmente, interessanti ed in divenire e una realtà attenta come Musica Per Roma non poteva non accorgersene. Credo che per essa sia uno stimolo in più, anche nel lavoro quotidiano, confrontarsi con un pubblico giovane e diverso dal solito.
Penso che molte persone che compongono lo staff di Auditorium amino la musica di qualità. E che il lavoro sia fatto anche di passioni personali.