Sta per arrivare il tanto discusso decreto di riforma delle Fondazioni lirico-sinfoniche. Il testo originale, approvato venerdì scorso al Consiglio dei Ministri, modificato in alcuni tratti e presentato poi ieri sera (20 aprile, ndr) al Quirinale, si conoscerà solo tra qualche giorno, quando si renderà inoltre noto se il Presidente della Repubblica abbia deciso o meno di firmarlo.
Sul piede di battaglia i sindacati di categoria Cgil, Cisl, Uil, e Fials che, riuniti in conclave, hanno decretato, in caso di approvazione del testo da parte di Napolitano, una lunga fase di scioperi che potrebbe tradursi anche in eventuali occupazioni degli stessi teatri.
Ad essere contestate sono soprattutto le misure contenute nel dl riguardanti i lavoratori dipendenti: blocco delle assunzioni a tempo indeterminato, giro di vite sulle missioni all’estero, decurtazione del circa 50% dei contratti integrativi e pesanti limiti alla contrattazione di secondo livello. “Una condizione che non fa altro che alimentare il precariato”, affermano le segreterie nazionali dei sindacati, “un’emergenza per riequilibrare le spese del personale, che da sole assorbono circa il 70% del finanziamento pubblico”, replicano dal Ministero.
L’esigenza di un decreto di riforma degli enti lirici nasce, secondo il MiBAC, in prima istanza come risposta alla situazione di grave crisi in cui versano le principali strutture italiane. Un contesto economico che non lascia spazio a perplessità quello che vede dal 2002 al 2008 perdite complessive che si aggirano sui 200 milioni di euro, ai quali vanno ad aggiungersi gli interessi passivi maturati in questi anni (dovuti al ricorso costante a prestiti bancari) e l’enorme zavorra rappresentata dal costo del personale che, solo nel 2008, ha assorbito quasi la metà dell’intero Fus destinato alla lirica. A questa condizione economica, già di per sé critica, va ad aggiungersi un assetto organizzativo assolutamente non in grado di supportare l’imponenza di tali istituzioni. Si pensi solo che ben 4 tra i maggiori teatri italiani (Maggio Fiorentino, La Fenice di Venezia, il San Carlo di Napoli e il Carlo Felice di Genova) dovranno, entro pochi mesi, designare nuovi vertici o confermare i vecchi. Il compito spetterà ai singoli sindaci che, in qualità di presidenti di fondazione, dovranno assicurare una continuità di programmazione difficile da ipotizzare visti i ritardi nelle nomine.
Intanto, da oggi, saranno online sul sito ufficiale del Ministero i dati economici delle 14 fondazioni lirico-sinfoniche italiane, una mossa voluta dallo stesso ministro Bondi indirizzata alla comprensione del grave stato di crisi registrato negli ultimi anni all’interno del comparto.
Una sfida, secondo gli enti locali, che andrebbe a dimostrare quanto sono pesati sui singoli bilanci i tagli alla cultura susseguitisi in questi ultimi anni.
Tra gli obiettivi del decreto vi è infatti quello di dotare le strutture di una maggiore indipendenza dai fondi pubblici ministeriali, responsabilizzando gli enti territoriali di competenza e cercando di attrarre investimenti e sponsorizzazioni di privati locali.
Una fondazione come il Maggio Fiorentino, ad esempio, riceve circa 20 milioni di euro dallo Stato, a fronte dei 3 milioni del Comune di Firenze, 2,5 milioni della Regione Toscana, 1 milione dalla Provincia fiorentina. Investimenti che il ministro Bondi ha decretato essere assolutamente sproporzionati e sui quali si deve intervenire chiudendo i “rubinetti” ministeriali.
Ma potranno strutture così indebitate resistere al taglio netto proposto dal Ministero? Se è vero che enti lirici più o meno imponenti si siano fino ad oggi sostenuti solo grazie alle risorse pubbliche elargite dallo Stato, tagliare il tanto agognato cordone ombelicale li responsabilizzerà o decreterà il loro definitivo fallimento?  I dubbi sono tanti e diversi: chi sostiene che siano in questo modo solo i lavoratori a pagare lo scotto per delle strutture amministrative politicizzate e mangia-soldi, chi invece attacca il sistema nella sua totalità per non aver mai neppure tentato la strada dell’autonomia.
La legge 800/67 sancisce che lo Stato debba finanziare la cultura: peccato che non ci dica anche quanto.