Le politiche di riassetto e riorganizzazione del mercato del lavoro sono al centro di numerosi studi da parte di economisti e sociologi internazionali. Riconvertire e rilanciare economie rese stagnanti da processi di crisi finanziarie e industriali sono tra le mission degli esperti. Il Marketing territoriale si è reso necessario per fare il punto della situazione, per individuare peculiarità e potenzialità di un territorio e per poterle sfruttare in ambito economico. Studi e indagini volte a rilanciare l’occupazione e a garantire una certa qualità della vita. La cultura è divenuta, sopratutto per l’Italia, una risorsa non solo speculativa, ma anche economica e si è ritornati a parlare di “giacimenti culturali”. La necessità di individuare e strappare aree geografiche all’abbandono e al degrado, di riqualificarle e spingerle verso nuove forme di strutture produttive, ha reso possibile la nascita di nuove forme di aggregazioni geo-culturali. Per distretto culturale si intende quell’unione dei sistemi organizzativi sparsi sul territorio indirizzati verso una cooperazione sinergica e integrata, caratterizzati dalla valorizzazione delle risorse culturali provenienti da beni materiali e immateriali del territorio stesso. Una coordinazione di infrastrutture e servizi capaci di assicurare la fruibilità dei prodotti culturali, innescando una economia basata sullo sfruttamento dei beni culturali. La nascita di organizzazioni simili in Sicilia (valle di Noto) a Napoli, in Lazio (Viterbo), Lombardia – Piemonte (Milano, Torino) e in Veneto è stato un dei leitmotiv di questi anni. Il concetto di distretto culturale evoluto è però del tutto nuovo per il nostro paese, una sperimentazione che affonda le proprie radici nelle esperienze dell’amministrazione partecipata e nelle cittadinanze attive. Il distretto culturale evoluto è un contenitore di iniziative; un catalizzatore di azioni destinate a valorizzare la cultura attraverso i cittadini, che coinvolti in prima persona nel processo, si sentono spinti a riscoprire la propria città. Un Welfare innovativo basato sulla partecipazione collettiva che si rafforza ascoltando esigenze e bisogni e che procede grazie a una pianificazione di strategie economiche sociali e culturali condivise.
Su queste premesse nel 2007 Goodwill diede avvio a Faenza –  in provincia di Ravenna – al progetto Moto di Idee censendo tutte le  strutture e i soggetti attivi sul territorio in grado di avere una funzione effettiva nel futuro distretto culturale evoluto. Quattro gruppi di lavoro: la pubblica amministrazione, le organizzazioni culturali, i giovani faentini e  Goodwill, avrebbero dovuto avviare il processo di amministrazione partecipata  al fine di individuare nuove forme di attività produttive. L’anno successivo, il 2008, da un idea di Pier Luigi Sacco e Alberto Masacci nacque il primo Festival dell’arte Contemporanea che invase la cittadina romagnola con conferenze, seminari, dibattiti teorici sull’arte contemporanea.  Il Festival dell’Arte Contemporanea di Faenza si presentava come modello territoriale strategico capace di rilanciare il territorio; un primo passo verso la costruzione di quel distretto culturale evoluto di cui abbiamo accennato sopra. Una nuova modalità di attrarre investimenti che avrebbe dovuto riconvertire le strutture produttive del territorio in attività culturali. Un progetto ambizioso e di estrema intelligenza strategica per un territorio, che fortemente colpito dalla dismissione industriale degli ultimi anni (basti pensare al solo caso OMSA), avrebbe potuto reinnestare l’economia cittadina attraverso una ristrutturazione in chiave culturale. Il modello Faenza sarebbe dovuto divenire il traino per l’intero territorio, un esperimento utile allo sviluppo dell’intera area. 
A maggio di quest’anno (21-23 maggio) si terrà la terza edizione del Festival con tema Opere e ci si può scommettere: una nuova folla di giovani e addetti ai lavori affollerà la città.  Ma nonostante l’enorme successo e un’affluenza di giovani, critici e studiosi da non sottovalutare, c’è qualcosa che non è andato per il verso giusto a Faenza. Iniziano a serpeggiare malumori sempre più costanti intorno al progetto della Goodwill.  Gli enormi costi (oltre 400,000 euro di contributo diretto comunale) uniti ad una partecipazione cittadina estremamente ridotta, gravano sul futuro del progetto.
Uno dei paradossi del Festival è proprio quello inerente al pubblico, infatti, se diverse migliaia di persone  accorrono dall’Italia e dall’estero, pochi invece sono i faentini interessati alla manifestazione. Questo dato non va trascurato proprio perché va ad inficiare il percorso di partecipazione collettiva auspicata per il rafforzamento del distretto culturale evoluto. Le cause come sempre, sono da ricercare in vari fattori, si è già accennato all’alto costo economico della manifestazione, ma forse, in questo caso, i fattori economici risultano relativi. La causa scatenante dello scollamento tra Festival e comunità locale, va cercata nel tema stesso del Festival. L’Arte Contemporanea è piombata estranea e aliena in una comunità ancora ancorata a espressioni artistiche moderniste, è venuta meno la spinta dal basso. La città di Faenza ha sentito il tema come imposto, si è forse estraniata e non è stata in grado di contribuire al dibattito scientifico di alto interesse che Carlos Basualdo e Angela Vettese, curatori della direzione scientifica, hanno proposto. Il problema non sta nelle tematiche proposte, tutte di valore assoluto , ma nella modalità. Se si fosse ritardato il Festival di qualche anno a favore di un periodo di partecipazione collettiva e discussione partecipata intorno al tema, forse le cose sarebbero andate diversamente. Speriamo dunque che con l’offerta data dai curatori si possa innescare nella cittadina, prima la curiosità e successivamente l’interesse per portare avanti il progetto innovativo di distretto culturale evoluto.