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Il Rapporto “La stampa in Italia (2007-2009)” della Federazione Italiana Editori Giornali (Fieg), presentato il 22 aprile presso la Camera dei Deputati, mostra un settore lacerato da una crisi profonda le cui conseguenze non lasciano trasparire alcun segnale di miglioramento.
Lo studio individua nella concorrenza degli altri mezzi d’informazione – sia nuovi che tradizionali; nella scarsa tutela dei contenuti redazionali; nella bassa propensione all’acquisto di giornali da parte degli italiani; nell’inefficienza del sistema distributivo; nell’esistenza di un sistema postale di stampo monopolistico; negli elevati costi di produzione e in un eccessivo carico fiscale le principali cause che hanno portato la stampa giornalistica italiana sull’orlo del baratro. Se i ricavi per chi produce giornali derivano soprattutto dalla vendita di spazi pubblicitari e dalla vendite delle notizie, dal rapporto Fieg emerge che “la stampa nel suo complesso ha subito un calo degli introiti pubblicitari di circa il 21%” nel corso del 2009, a cui si aggiunge una contrazione della spesa delle famiglie per l’acquisto di libri e giornali dell’11,4% nel periodo che va dal 2000 al 2008. Secondo i dati raccolti da Mediobanca sui risultati economici di 14 grandi gruppi editoriali, tra cui rientrano società come RCS MediaGroup, Gruppo Edt. L’Espresso, Il Sole 24Ore, il fatturato complessivo di tali aziende nel 2008 è sceso del 3,9%, con una diminuzione del valore aggiunto del 6%, dovuta in maniera rilevante al costo dei beni e servizi usati nella produzione, prima tra tutti la forza lavoro. Se si estende il campo di osservazione alle aziende editrici di quotidiani associate alla Fieg, dall’analisi dei dati forniti dalle 67 aziende per le quali è stato possibile esaminare un prospetto del fatturato editoriale suddiviso tra ricavi da pubblicità e ricavi da vendite, emerge una contrazione dei ricavi editoriali nel 2008 pari al 6,9%, con una perdita complessiva di circa 212 milioni di euro. In particolare per quanto riguarda i ricavi da pubblicità, sebbene le testate locali riportino una flessione inferiore rispetto a quelle pluriregionali e nazionali, l’incidenza della pubblicità è scesa dal 51,7% del 2007 al 48,3% del 2008. Se nel 2006 le pagine pubblicitarie rappresentavano il 34,4% del totale delle pagine stampate, nel 2008 tale percentuale è scesa al 32,9% e si prevede che nel 2009 sarà pari al 31%.
Ma quanto incide in questa situazione la presenza di internet e le infinite possibilità che la rete offre a coloro che sono costantemente a caccia di informazioni? Nelle conclusioni dello studio della Fieg si legge che “quello che sta accadendo ora è che, in parte a causa dell’avvento dei new media e in parte a causa di una crisi economica […], la struttura produttiva delle imprese editrici si sta deteriorando”. Eppure sono in molti a sostenere che più che rappresentare una minaccia, internet può costituire una grande opportunità per chi produce e vende contenuti. Uno studio pubblicato nel 2009 dalla PricewaterhouseCoopers, dal titolo “Moving into multiple business models. Outlook for Newspaper Publishing in the Digital Age”, evidenzia la necessità di trovare nuovi modelli di business se si vuole evitare di essere schiacciati dal mercato. Tra le soluzioni prospettate si cita, ad esempio, lo sfruttamento del vantaggio competitivo dato dalla creazione di contenuti – tipico di chi edita giornali – attraverso la produzione di contenuti specializzati dedicati a specifici segmenti di mercato da diffondere attraverso una molteplicità di piattaforme; oppure la possibilità di intraprendere delle partnership strategiche con altri produttori di contenuti al fine di rafforzare la propria posizione sul mercato. Lo studio invita ad attuare un cambio di prospettiva. Se il modello di business tradizionale del mercato multimediale si basava sulla scelta di un determinato canale, con la conseguente produzione di contenuti pensati in maniera specifica per quel canale, il paradigma attualmente dominante mette al centro la produzione di contenuti da distribuire attraverso diversi canali. Questa riorganizzazione del processo produttivo si traduce per gli editori nell’opportunità di collaborare tra loro alla produzione e alla distribuzione delle informazioni. Un concetto espresso anche da Luca De Biase il quale durante il suo intervento al Festival Internazionale del Giornalismo ha sottolineato come “l’adattamento al nuovo avviene in questa fase non nella forma di una concorrenza diretta e lineare tra “prodotti editoriali”, ma seguendo una dinamica più complessa di competizione-cooperazione”, in quanto “la dinamica emergente è simile a quella di un ecosistema nel quale ogni produttore di informazione co-evolve in relazione a ogni altro. E trova il suo valore se serve all’insieme”.
La soluzione alla crisi dell’editoria giornalistica non consisterà nella speranza di essere comprati da un oligarca russo, come è accaduto recentemente al quotidiano britannico The Independent – comprato per una sterlina da Aleksandr Lebedev -, o al giornale parigino France-Soir acquisito da Sergej Pugacev, ma non sarà certo stigmatizzando internet che i giornali riusciranno a vendere più copie.
Riferimenti:
Fieg,”La Stampa in Italia (2007-2009)”
PricewaterhouseCoopers, “Moving into multiple business models. Outlook for Newspaper Publishing in the Digital Age“