Il 21 maggio è il termine fissato per l’entrata in vigore dello Schema di decreto legislativo sul federalismo demaniale, che rappresenta il primo provvedimento della Legge 5 maggio 2009, n.42 “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”. Lo Schema approvato dal Consiglio dei Ministri il 17 dicembre 2009 e poi rivisto durante la seduta del Consiglio del 12 marzo 2010, prevede che Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni possano chiedere l’attribuzione a titolo non oneroso dei beni già individuati a tal fine dallo Stato, e continua affermando che “i beni, trasferiti con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, salvo quanto previsto dall’articolo 111 del codice di procedura civile, entrano a far parte del patrimonio disponibile dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Regioni, salvo quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, che restano assoggettati al regime stabilito dal codice civile, nonché alla disciplina di tutela e salvaguardia dettata dal medesimo codice, dal codice della navigazione e dalle leggi regionali, statali e comunitarie di settore”.
Fin dalla sua presentazione lo Schema di decreto legislativo ha suscitato numerose perplessità legate non solo alla tutela e valorizzazione dei beni, ma anche alle implicazioni economiche che tale operazione comporta. Sono in molti, infatti, a chiedersi a chi gioverà il federalismo demaniale visto che per acquisire i beni di proprietà dello Stato gli enti locali non dovranno versare alcun corrispettivo economico e che, a fronte di un mancato guadagno, lo Stato ridurrà la somma dei finanziamenti destinati a quelle Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni che decideranno di farsi attribuire alcuni dei beni considerati trasferibili. Secondo una valutazione fornita dalla Ragioneria Generale dello Stato durante l’audizione che si è tenuta martedì 4 maggio presso la Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale, il patrimonio trasferibile vale 2,975 miliardi di euro contro i 46,823 miliardi di euro del patrimonio complessivamente posseduto dallo Stato. I beni che possono essere trasferiti rappresentano, quindi, circa il 3% del totale dei beni statali e come messo in evidenza dal presidente della Corte dei Conti Tullio Lazzaro, “dei beni disponibili solo il 31,5% del totale è al momento libero. Il 34% è in uso o interessa specifici enti locali, il 5% è attribuito a privati mentre il 29% è già oggetto di accordi con enti locali”, da cui ne deriva che “il contributo che da essi può venire al rafforzamento patrimoniale delle amministrazioni locali è limitato”. Tanti i dubbi sollevati anche dall’ANCI che durante un’audizione informale presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato, tenutasi il 29 aprile, ha fatto un elenco dei punti controversi sui quali l’ANCI chiede una maggiore chiarezza da parte del Governo. Tra questi rientrano le modalità di trasferimento dei beni e le cosiddette procedure speciali che riguardano i beni appartenenti al Ministero della Difesa e i beni che pur facendo parte del patrimonio culturale non hanno una rilevanza nazionale.
E’ vero che lo Schema di decreto legislativo pone quale condizione per il trasferimento dei beni il dovere da parte degli enti locali di garantirne la massima valorizzazione funzionale, sia a vantaggio diretto che indiretto della collettività territoriale rappresentata, ma optare per l’una piuttosto che per l’altra modalità di azione potrebbe portare al delinearsi di scenari molto diversi tra loro. A questo proposito Marco Antoniol nel suo ultimo libro interamente dedicato al federalismo demaniale, mette a confronto il vantaggio diretto con quello indiretto, affermando che sebbene la valorizzazione che prevede un uso diretto del bene da parte dei cittadini rappresenti il punto di forza del federalismo demaniale, d’altro canto è anche uno degli aspetti più difficili da realizzare in quanto richiede investimenti molto onerosi che non sempre le amministrazioni locali sono in grado di sostenere. Motivo per cui è stata introdotta la valorizzazione indiretta che comporta, quale diretta emanazione, la possibilità di commercializzare il bene e quindi di cederlo ai privati, con il rischio che l’interesse personale prevalga su quello comune.
Se l’iter procedurale sarà rispettato dal 21 gennaio prossimo sarà possibile emanare i decreti per l’attribuzione dei beni ai nuovi proprietari. Nel mentre non resta che sperare che il Governo accolga le osservazioni mosse da più parti, per permettere alla valorizzazione di vincere la battaglia contro la speculazione.