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“Il successo è l’abilità di passare
da un fallimento all’altro
senza perdere l’entusiasmo”.
(Winston Churchill)
Nella vita professionale, così come in quella personale, l’insuccesso viene spesso demonizzato come qualcosa di esclusivamente negativo, qualcosa da evitare a tutti i costi. In una prospettiva più ampia, invece, possiamo provare a considerare l’insuccesso come un elemento prezioso per crescere, per migliorare e, magari, per avvicinarci più velocemente alle nostre mete.
Alzi la mano chi non ha mai sbagliato
“Il più grosso sbaglio che una persona
possa fare è avere paura di fare uno
sbaglio”
(Elbert Hubbard)
E’ capitato a tutti noi, credo, di commettere qualche errore fin dai banchi di scuola e di sentirci dire, dall’insegnante di turno, che “errare humanum est” e la cosa, per la verità, non ci aveva fatto sentire meglio.
Più che evitare gli errori, proposito lodevole ma difficilmente realizzabile, sarebbe auspicabile imparare a gestirli in modo costruttivo ed apprendere, da ognuno di essi, il più possibile.
Una testimonianza interessante, a questo proposito, ci giunge da Sara Blakely selfmade woman statunitense nota, con tutta probabilità, più al pubblico femminile che a quello maschile.
Ex venditrice porta-a-porta di fax e stampanti e, di tanto in tanto, cabarettista per arrotondare, Sara fonda, all’età di trent’anni, la Spanx per produrre e commercializzare un innovativo capo di biancheria intima: slip di varia lunghezza hi-tech (realizzati in nylon e spandex). Il successo è immediato, le spanx, che consentono di indossare pantaloni aderenti senza inestetici segni di cuciture, vanno a ruba tra le stars del cinema e della tv. L’azienda della Blakely, che conta oltre 55 dipendenti nella sua sede di Atlanta, ha un fatturato di circa 150 milioni di dollari e, in pochi mesi, ha rivoluzionato il mercato americano delle calze e dei collant.
“Fin dai tempi della scuola – confida la Blakely in un’intervista a Business Week – papà incoraggiava me e i miei fratelli a dichiarare i nostri insuccessi: la sera, all’ora di cena, chiedeva sempre ‘Dove avete sbagliato oggi?’ Quando non c’erano risposte il papà si dispiaceva. Senza insuccessi, diceva, non c’è apprendimento.”
Un’interessante lezione di vita, questa, in cui l’insuccesso appare “fisiologico” e non “patologico”, in cui l’errore e la sua consapevolizzazione possono schiudere nuovi orizzonti e, soprattutto, preziose opportunità di crescita.
Insuccesso: preziosa occasione di verifica
“Non c’è errore più grande di chi
non ha fatto niente perché poteva
fare poco”
(Zig Zaglar)
Nel 1421 Filippo Brunelleschi, intento alla realizzazione della cupola del duomo di Firenze, ha la necessità di trasportare grandi lastre di marmo da Pisa a Firenze. Progetta, così, il “badalone” un’imponente imbarcazione (che gli vale il primo brevetto della storia) per portare attraverso l’Arno i materiali da costruzione. Dopo oltre sette anni di lavoro la barca viene messa in acqua e caricata con circa cento tonnellate di marmo. Il suo viaggio, però, è breve: quaranta chilomentri dopo cola a picco portando sul fondo del fiume il suo prezioso carico. Numerosi tentativi di recuperare i preziosi materiali falliscono uno dopo l’altro. Questi insuccessi rappresentano per Brunelleschi delle battute d’arresto che lo “costingono” ad ideare strategie alternative grazie alle quali, con dedizione e perseveranza, riesce a completare, nel 1436, quella che sarebbe rimasta, per cinque secoli, la più grande cupola mai realizzata.
Frank e Dan Carney, nel 1958, gestivano una piccola pizzeria per pagarsi gli studi universitari. Dopo circa vent’anni hanno venduto Pizza Hut, una catena con oltre 3.000 punti vendita, per trecento milioni di dollari. “La lezione più importante che ho appreso – afferma Frank Carney – è che devi imparare a perdere. Ho avviato quasi cinquanta iniziative imprenditoriali diverse e, di queste, solo quindici hanno funzionato: ciò significa che ho una media di circa il 30%. Mi sono accorto che non impari quando stai vincendo, ma quando, dopo una sconfitta, sei capace di reagire e ripartire di nuovo.”
Finchè i nostri progetti procedono bene, difficilmente dedichiamo del tempo e delle energie per verificare se stiamo procedendo correttamente, se le nostre strategie sono efficienti ed efficaci. Quando accade, però, un evento negativo (perdiamo un cliente importante, un nostro progetto non giunge a buon fine, un evento che abbiamo organizzato si rivela un flop, ecc.) siamo portati a esaminare il nostro operato.
Queste operazioni di verifica sono estremamente preziose perché possono aiutarci a comprendere come, presi dal tran-tran delle attività quotidiane, non ci siamo resi conto dei cambiamenti che sono avvenuti o che stanno avvenendo intorno a noi. Possiamo prendere coscienza, allora, che il nostro modo di operare si è cristallizzato e se poteva essere consono qualche anno fa, oggi, con tutta probabilità, non lo è più.
Un insuccesso ben gestito, allora, non è solo un evento negativo ma un’opportunità notevole per valutare, con occhi più attenti, la situazione che ci troviamo a vivere e pianificare nuove e più creative strategie.
Insuccesso: preziosa occasione di scoperta
“L’uomo ragionevole si adegua al
mondo, mentre l’uomo dissennato
pretende che sia il mondo ad adeguarsi
a lui”
(George Bernard Shaw)
Un errore, che nella maggior parte dei casi giunge improvviso ed inatteso, può rappresentare un’interessante occasione di scoperta a patto che lo si riesca ad osservare con uno sguardo attento e curioso.
Abbiamo già approfondito, in un precedente articolo (n. 59/2005), come la serendipity possa aiutarci a cambiare punto di vista, a ristrutturare e riorganizzare una certa situazione, a riconoscere, in un errore accidentale, il seme di un successo futuro.
Alexander Fleming, com’è noto, stava studiando nel 1928 presso il suo laboratorio di St. Martin a Londra, delle colture di Staphilococcus aureus, un batterio responsabile della formazione del pus. Notò che un contenitore di vetro, erroneamente esposto all’aria, era stato ricoperto da una muffa verde e la coltura di stafilococchi era quasi scomparsa: “that’s funny”, che cosa buffa, commentò tra sé e sé Fleming. Incuriosito analizzò la muffa e scoprì che era costituita da funghi microscopici della specie Penicillium notatum, che, a contatto con lo stafilococco, producevano un fluido battericida, battezzato, da Fleming, penicillina. È probabile che, se si fosse trattato di un altro tipo di muffa o, semplicemente, di uno scienziato meno attento, questo episodio sarebbe passato inosservato.
La prossima volta che nel nostro lavoro o nelle nostre attività quotidiane ci accade di commettere qualche errore o di incontrare qualche insuccesso, potremmo chiederci: “Posso scorgere, in questa situazione negativa, qualche elemento che cela un possibile successo?”
Insuccesso: preziosa occasione di cambiamento
“Siate come una gomma per cancellare:
riconoscete i vostri errori, fatene tesoro e
poi cancellateli dalla memoria”
(Zig Zaglar)
Sentiamo parlare, molto frequentemente, dell’importanza del cambiamento, sia individuale sia organizzativo, come strumento principale per fronteggiare una realtà in continuo e frenetico mutamento.
L’insuccesso può rappresentare una stimolante opportunità per rendere più flessibile in nostro modo di lavorare e di gestire le difficoltà. Davanti ad un fallimento, ad esempio, potremmo cercare di modificare il “solito” approccio “mediterraneo”, centrato sulla colpevolizzazione, e domandarci, invece, “Perchè è accaduto?”.
Evitiamo, in questo modo, di limitarci a trovare un capro espiatorio e cominciamo ad analizzare, con maggior attenzione, l’intera situazione.
La ricerca del colpevole, infatti, non conduce da nessuna parte, non mette in discussione lo “status quo” e non stimola l’organizzazione a migliorare. Non modifica, poi, le condizioni in cui l’errore è avvenuto e non esclude che, presto o tardi, possa ripetersi.
Alcune organizzazioni, al contrario, stanno sviluppando nei confronti dell’errore un atteggiamento decisamente diverso ed innovativo. Alla Gore, nota azienda di abbigliamento e calzature sportive creatrice del tessuto gore-tex, ad esempio, un progetto che non ha successo viene ugualmente festeggiato con una birra, perché sono fermamente convinti che il rischio sia strettamente collegato sia al fallimento sia al successo.
In altre organizzazioni quando viene commesso un errore viene suonato un campanello e tutti i presenti nell’ufficio sono invitati ad avvicinarsi per conoscere il problema ed analizzarlo insieme.
Una cultura organizzativa che non demonizza l’errore, che non trascura l’insuccesso, pone le basi per un ambiente lavorativo dinamico ed accogliente, aperto al cambiamento, al miglioramento e all’innovazione.
Conclusioni
Gli errori e gli insuccessi sembrano essere strettamente collegati alle nostre attività,
soprattutto se abbiamo il coraggio di superare le modalità di lavoro ordinarie e di
avventurarci verso direzioni nuove e promettenti.
In ogni situazione difficile è possibile cogliere, come abbiamo visto, elementi utili per trasformare un insuccesso in un’occasione di verifica, di crescita e di innovazione.
Alcuni accorgimenti che sembrano favorire questa trasformazione sono:
– Stimolare un clima non colpevolizzante aperto al dialogo e al confronto;
– Riconoscere l’errore: nascondere o ignorare l’accaduto non giova a nessuno;
– Analizzare i diversi elementi in gioco (cause, eventi esterni, ecc.);
– Ricercare prospettive differenti e divergenti per descrivere la situazione;
– Esaminare aspetti che possono rappresentare opportunità interessanti;
– Delineare nuove strategie creative che consentano, in occasioni simili, di eccellere.
Thomas Edison, nel suo centro di ricerca a Menlo Park (New Jersey), fece numerosi tentativi per realizzare una lampadina elettrica efficiente. Dopo ogni insuccesso, e sembra che fossero diverse centinaia, era solito dire ai suoi collaboratori: “Bene, ora conosciamo un altro modo in cui non si costruisce una lampadina!”.
Consapevolezza, perseveranza e un pizzico di ironia sembrano anche gli ingredienti suggeriti da Wendell Philips, vivace avvocato ed oratore americano del XIX secolo, quando afferma: “Che cos’è la sconfitta? Nient’altro che un insegnamento; nient’altro che il primo passo verso qualcosa di meglio”.
BIBLIOGRAFIA
FARSON ,R. E KEYES , R. 2003. Vince chi fa più errori. Il paradosso dell’innovazione. Franco Angeli, Milano
LA PORTE T. E CONSOLINI, P. 1994. “Working in practice but not in theory: theoretical challenges of high reliability organizations”, Journal of Public Administration Research and Theory, 1, pp. 19-47.
WEIK, K.E. E SUTCLIFFE K.M., 2001. Managing the Unexpected. Assuring high performance in an age of complexity, Jossey-Bass, San Francisco.
WILSON, F. 2004. Lavoro e organizzazioni. Il Mulino, Bologna.
ZAGLAR, Z. 2006. Passi verso la cima. Gribaudi, Milano.
Nota: questo articolo è pubblicato su www.ticonzero.info