Intervista a Dario Carrera, Ivan Fadini, Francesco Farina, Alessandro Nasini e Conny Neri di The Hub Roma

Realtà giovane e dinamica, The Hub è un progetto che si sta diffondendo rapidamente in tutto il mondo. Quali sono le tappe della nascita di The Hub e quale la sua mission?
The Hub è un centro per la promozione dell’innovazione sociale che nasce a Londra nel 2005. La ricetta, all’apparenza molto semplice, mixa le caratteristiche di diverse esperienze e modelli quali, ad esempio, gli incubatori o acceleratori di impresa, i think thank, i centri polifunzionali e  i caffè letterari. Il tutto messo a sistema attraverso la pratica del co-working che si affina tramite la particolare cura per gli spazi, definiti di ispirazione, e per le modalità di interazione tra le persone che si riconducono alle pratiche di facilitazione. Fase indispensabile e propedeutica è quella del  community design nella quale si crea una comunità di persone che condivide valori, vision e pratiche. La mission di The Hub è quindi votata alla creazione di opportunità e soluzioni nell’ambito dell’innovazione sociale: prodotti e servizi sostenibili, sia sotto il profilo ambientale che per quelli socioculturali ed economici, che nascono da bisogni condivisi e tramite processi di collaborazione e partecipazione.
 
Il primo The Hub nasce quindi a Londra. Come si è poi diffuso il progetto a livello internazionale?
In seguito all’apertura del primo spazio ad Islington, alcuni dei fondatori e primi membri della comunità di pratiche sono diventati i naturali nodi di una rete che si inizia ad estendere anche fuori dal Regno Unito: dapprima in Olanda con gli start up degli Hub di Amsterdam e Rotterdam, in seguito in altre città europee (Bruxelles, Madrid, ecc.) ed extracontinentali (Mumbai, San Paolo, ecc.) sino ad arrivare a circa venti Hub attualmente aperti in tutto il mondo. Lo scorso gennaio apre ufficialmente i battenti anche il primo Hub italiano a Milano, frutto di un intenso lavoro durato circa un anno e mezzo da parte di Alberto Masetti-Zannini, già membro del primo Hub di Islington con una sua start up, Dario Carrera, Federica Scaringella e Nicolò Borghi.

Essendo una realtà presente in tutto il mondo, ci sono state differenze sostanziali di origine e di sviluppo degli spazi all’interno dei diversi paesi in cui The Hub è situato?
L’esperienza di The Hub si presenta in modo poliforme sotto diversi profili. L’espansione del network è stata guidata da una forte condivisione della mission e dei valori da parte delle diverse comunità che avviavano il processo di fondazione di un Hub sul proprio territorio, tuttavia le strategie sono state declinate a livello locale secondo le specificità del contesto, dei bisogni e del sentire che lo caratterizzavano. Hub World è una limited, ovvero una società a responsabilità limitata, che gestisce gli aspetti di business e di attrazione degli investitori, legati secondo le logiche dei capitali pazienti (ovvero un ritorno economico dell’investimento che si ottiene su tempi più lunghi, in genere superiori ai 5 anni, dunque non speculativi) e che si affianca a una fondazione indirizzata allo sviluppo del network e della mission di promozione dell’innovazione sociale in contesti più complessi che ha portato all’apertura di Hub a Johannesburg e nello stato di Oaxaca in Messico.
La gestazione dei singoli Hub è stata, dunque, in accordo alle specificità del contesto, molto diversa. Ci sono state esperienze nelle quali è stato più forte e importante il ruolo di soggetti pubblici o parapubblici, che hanno offerto supporto nell’apertura dello spazio, in altri quello di privati, intervenuti in qualità di sponsor. Solo per dare un rapido esempio citiamo gli interventi degli enti locali negli Hub di Rotterdam e Porto, le partnership con università e con un’importante impresa strette dall’Hub di Madrid.
L’esperienza italiana, fin qui breve, presenta  affinità e differenze sulle quali è opportuno riflettere. Attualmente, nel nostro paese, oltre all’Hub milanese già a regime, sono in fase di start up due Hub: uno in trentino, a Rovereto (capitanato da Jari Ognibeni, Paolo Campagnano, Dalia Macil e Andrea Zamboni) e l’altro nella capitale (con noi: Dario Carrera, Ivan Fadini, Conny Neri, Alessandro Nasini e Francesco Farina).

Quali sono state le diverse fasi di start up che ogni centro ha seguito?
Le fasi che portano alla creazione e rafforzamento della comunità di pratiche e del capitale sociale limitrofo all’organizzazione che si fa carico della fase di start up, finora sono sempre state molto simili e affidate al principio della declinazione del modello londinese e delle sue metodologie. Le differenze sono emerse a livello di scelte strategiche. Il primo nucleo milanese si è definito nella forma di associazione, in attesa di fondare una società di capitale preposta alla gestione dell’Hub spazio fisico e dei servizi ad esso connessi.
Tale scelta è stata elaborata sull’analisi delle specificità legislative e fiscali del nostro paese ed è stata dettata dal bisogno di superare anacronistiche divisioni tra for profit e non profit, dal bisogno di indipendenza e dall’essere a pieno titolo un’esperienza imprenditoriale economicamente sostenibile in grado di attrarre investimenti e non più residuale rispetto al soggetto pubblico.
Lo start up di Roma sta sostanzialmente ripercorrendo strade simili, mentre Rovereto ha optato per opportunità differenti stringendo una partnership con un soggetto societario a capitale pubblico. L’Hub di Rovereto sarà ospitato, a canone agevolato, all’interno del progetto di riqualificazione territoriale di una vecchia fabbrica di lavorazione del tabacco, chiamato “Manifattura Domani”. Tale polo mira ad essere il centro nevralgico della provincia trentina per lo sviluppo delle tecnologie sostenibili, in particolare le energie rinnovabili. A nostro avviso il progetto merita attenzione, da un lato per aver riunito le forze di settori diversi quali enti locali, università, imprese e terzo settore, dall’altro per aver tenuto in considerazione anche la sfera dell’innovazione sociale grazie alla presenza di The Hub. Anche l’Hub di Rovereto si configurerà come un soggetto di capitali di rischio, ripercorrendo, alla fine, il modello che caratterizza l’esperienza alla base del network.

Quali sono i principali campi di ricerca e di azione e di The Hub? C’è un legame tra le tematiche che si sviluppano all’interno dell’Hub e il contesto territoriale che lo ospita?
Gli Hub si sono contraddistinti anche per i diversi cluster settoriali in cui si aggregavano i rispettivi membri: a livello globale si possono annoverare organizzazioni che operano in settori molto differenti quali l’innovazione tecnologica e le ICT, il design, la comunicazione e la cultura. Le esperienze italiane sembrano ripercorrere in tal senso la contaminazione che è alla base della filosofia degli Hub, pur mantenendo una forte relazione con il territorio. A Milano, ad esempio, sono rappresentati in particolare settori quali design, comunicazione, moda e finanza, ovviamente il tutto declinato secondo i principi e la vision del network: dunque finanza e moda etica, ovvero iniziative che sviluppano le comunità locali e si ispirano a pratiche di fair trade, oppure design sostenibile realizzato con materiali a basso impatto e con le pratiche del riuso e riciclo.
Rovereto sta aggregando molte realtà espressione di settori quali quello della sostenibilità ambientale, della cooperazione e della cultura. Anche Roma non tradisce alcune sue peculiarità di contesto, ad esempio, in un settore quale la comunicazione e i media, con alcune eccezioni nel design, ampiamente rappresentato. Tali segnali sembrano confermare il bisogno di pratiche quali quelle di The Hub che, grazie all’accurato e paziente lavoro di community design, ricompongono, almeno parzialmente, quell’effetto di polverizzazione dovuto alla forte presenza di realtà piccole e poco collegate tra di loro. Sotto questo profilo è lecito aspettarsi un futuro impatto di The Hub sui contesti locali e, come nel caso di Rovereto, la possibilità di attivare collaborazioni a diversi livelli.
Rispetto al contesto italiano e romano in particolare, possiamo auspicare un potenziale sviluppo anche nel settore dell’economia della cultura che sia veicolato da The Hub.
Basterebbe pensare ad alcune delle importanti dicotomie alle quali ancora non si è data adeguata risposta, in particolare modelli di governance che sembrano rispondere alle istanze di riorganizzazione della sfera pubblica, ovvero l’affidamento della gestione a soggetti terzi, spesso di terzo settore, oppure l’esigenza di dare rappresentatività alle istanze dei territori.
The Hub si presenta invece quale modello di innovazione, dunque di produzione. La vision è molto semplice: non si è solamente consumatori, ma si è o si può diventare imprenditori che producono e offrono servizi nuovi e sostenibili. Il nostro paese si caratterizza ancora per ospitare innanzitutto contenitori nei quali si fruisce di esperienze e prodotti culturali, senza distinguersi per la capacità di produrne. Il legame con il territorio, tornato ad essere uno dei grandi temi del dibattito italiano ed europeo, rischia di diventare un eccessivo capovolgimento dei vecchi modelli centralizzati, con il rischio di portare più facilmente ad appiattimenti. Riconnettersi ad esperienze globali diventa dunque fondamentale. Ciò che sembra rendere interessante l’esperienza di The Hub e il suo recente capitolo italiano, sembra essere proprio la possibilità di innovare grazie ad un interconnessione profonda tra globale e locale che supera i tradizionali steccati italiani.

Approfondimenti:
http://milan.the-hub.net/public/
http://hubmilan.com/
http://www.hubroma.net/
http://www.hubrovereto.com/
http://the-hub.net/

La foto a corredo è di Filippo Podestà