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È la megalopoli per eccellenza, il Paese in via di sviluppo che più di ogni altra realtà mondiale sta cercando di emergere: lo ha fatto con le Olimpiadi di Pechino e ora tenta un ulteriore riscatto con l’Expo 2010. “Better city, better life”, il leit motiv che accompagnerà i sei mesi della grande esposizione internazionale, dal 1 maggio al 31 ottobre e all’interno della quale i Padiglioni dei diversi Paesi si contenderanno il primato di territorio esemplare, nell’architettura come nella sostenibilità, nello stile di vita come nello sviluppo industriale ed economico contingente.
Primo Paese in via di sviluppo ad ospitare il grande evento, la Cina ha puntato tutto sull’interazione, sul dialogo, sull’apertura verso nuovi modelli di vita, migliori e sostenibili. Un ossimoro a prima vista, quello che vede Cina e sostenibilità nella stessa frase, eppure la strada intrapresa è proprio quella, almeno sulla carta, e nel mega villaggio espositivo votato al tutto green.
L’Italia, dal canto suo, si presenta a Shangai con un Padiglione completamente realizzato in cemento trasparente, un brevetto tutto italiano di cui è proprietaria Italcementi e, con il quale è stato realizzato il progetto di Giampaolo Imbrighi, docente di Architettura all’Università La Sapienza di Roma: 18 metri di altezza per un’area di 3.600 metri quadrati che riflette la luce solare e la fa penetrare all’interno durante il giorno e diffonde luce dall’interno verso l’esterno la sera.
All’interno del Padiglione Italia, che fin’ora ha registrato il record di presenze e di afflusso di pubblico, “La città italiana” si mette in mostra, con le sue eccellenze e i suoi punti di forza: il cinema (reso digitale grazie al regista Peter Greenaway), il design, la cucina, l’arte e i beni culturali (Canaletto, De Chirico e il Barocco siciliano), la musica classica, la Ferrari (presente con la 599 Hy-Kers, vettura ibrida sperimentale della casa di Maranello) e i cinesi strabuzzano gli occhi e acquistano oggetti di moda e di design come in nessun altro Padiglione presente.
I pezzi più gettonati, tra quelli in vendita all’interno dell’area espositiva del Belpaese, sono i dischi delle opere liriche e il design di Alessi mentre ore si perdono ad ammirare il mastodontico vestito rosso Valentino e il calzolaio Ferragamo che, all’interno di una teca di vetro, cuce le sue scarpe a mano.
Peccato non siano giunti a Shangai i due quadri di Caravaggio previsti inizialmente: i nullaosta per trasferirli non sono infatti arrivati entro le tempistiche previste.
L’allestimento del Padiglione, curato dalla Triennale di Milano, si spera sia una buona “prova generale” per l’Expo nostrano del 2015. “Milano non è Shanghai – ha affermato il Presidente della Fondazione Triennale, Davide Rampello – è una città diffusa, non una megalopoli: per questo dobbiamo pensare ad una esposizione globale, ma in scala diversa.
Quella di Shangai sarà l’ultima maxi-Expo planetaria”.
Da cui tutti, comunque, sperano di tornare con una significativa manciata di turisti: i viaggi all’estero, infatti, sono uno dei settori maggiormente in crescita in tutto l’Oriente, così come i consumi in genere, che hanno permesso un aumento del Prodotto Interno Lordo di circa 10 punti percentuali per il 2010.
Ma la Cina è anche, e soprattutto, un grande teatro di paradossi che inneggiano alla sua natura intrinseca di civiltà multi sfaccettata: 242 padiglioni disseminati lungo gli oltre 5 chilometri quadrati di una città che ha speso più di 58 miliardi di dollari per mostrare al mondo intero la propria potenzialità politico-economica: ponti, tunnel subacquei, nuovi aeroporti, grattacieli, opere architettoniche faraoniche hanno sgominato in meno di otto anni 18 mila famiglie che vivevano nell’area in cui ora staziona lo spazio espositivo.
Migliaia di discariche abusive sono state scoperte nei paraggi della zona, sommerse dai materiali di scarto utilizzati dagli operai per ergere i padiglioni inneggianti alla perfezione, quegli stessi operai che hanno poi dichiarato di non potersi neppure permettere il biglietto d’ingresso all’Expo (16 euro) per constatare i risultati ottenuti.
Potrà un Expo, per quanto planetario e spettacolare, sgomberare le ombre prodotte da politiche non sempre rispettose della libertà individuale? Sarà veramente questo il riscatto della Cina, in ambito ambientale e culturale? Ed allora che Milano prenda esempio da Shanghai. Ma non troppo, per favore.