Arriva durante la notte del 25 maggio 2010, precisamente alle 3 della mattina, l’approvazione del disegno di legge sulle intercettazioni. Il testo dovrà ora essere approvato al Senato, in una seduta fissata per il 31 maggio che si preannuncia  molto dibattuta, per poi ripassare alla Camera in terza lettura. La vicenda, molto complessa, ha inizio oltre un anno fa quando la prima versione del testo della legge, elaborata dalla maggioranza, è stata approvata con un voto di fiducia il 10 giugno 2009. Ad essa, come era prevedibile, sono seguite numerose polemiche e proteste da parte di associazioni, giornalisti, nonché disaccordi all’interno della maggioranza stessa ed un colloquio tra il Ministro della Giustizia Alfano ed il Presidente della Repubblica Napolitano in cui quest’ultimo auspicava degli emendamenti al Ddl in cui riteneva fossero presenti elementi di incostituzionalità che avrebbero comportato il suo rifiuto a firmare il testo.
A quasi un anno di distanza, il disegno di legge è stato emendato dalla Commissione Giustizia del Senato anche se il Presidente di quest’ultima, Filippo Berselli, ha dichiarato che il testo “non è blindato ed in Aula potranno ancora esserci delle modifiche”.
In effetti il decreto non si è molto distaccato da quello approvato un anno fa, fortemente difeso dal ministro della Giustizia Angelino Alfano che lo ha definito “il compromesso migliore tra i tre principi costituzionali in gioco: la privacy, il diritto di cronaca e quello relativo alle indagini”.
Il Guardasigilli difende infatti il disegno di legge sostenendo che le intercettazioni sono sì uno strumento utile alle indagini, ma che il loro uso indiscriminato trasformerebbe l’Italia in uno Stato di Polizia andando dunque a ledere il diritto alla riservatezza. E’ proprio la protezione della privacy il principale argomento dei favorevoli al ddl. Di grande effetto le esternazioni del sottosegretario Daniela Santanchè, arrivata ad affermare che tutti, perfino i boss mafiosi hanno diritto alla privacy. Affermazioni provocatorie che sono state prontamente replicate dal procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso: “se la privacy crea problemi per l’ordine pubblico e fa morire delle persone, credo che quello della sicurezza sia un valore, e sia maggiore di quello della privacy “
Se il ministro Alfano afferma che la legge non mina in alcun modo il corso della giustizia, la lotta alla mafia ed il diritto di cronaca, non si capirebbe per quale motivo la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, attraverso il segretario Nazionale Franco Siddi si è dichiarata “pronta  a scendere in piazza”…
Nel decreto attuale viene confermata la riduzione dell’ambito d’applicazione delle intercettazioni, che viene così ristretto solo ai reati di mafia e terrorismo. Ancora in discussione la possibilità di estendere la concessione anche al reato di corruzione, mentre uno dei cinque emendamenti presentati ieri, 26 maggio, prevede tra i reati gravi (per cui è ammesso il ricorso all’intercettazione) lo stalking. Tra le altre proposte di modifica che verranno presentate domani al Senato troviamo: la possibilità di pubblicare riassunti di intercettazioni da parte dei giornalisti, emendamento già auspicato dalla Presidente della Commissione di Giustizia della Camera Giulia Bongiorno; l’ammissibilità della pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare, qualora l’individuo sottoposto ad indagine sia stato già informato; l’estensione anche ai giornalisti non professionisti delle cause di non punibilità per l’utilizzo di registrazioni effettuate senza il consenso degli interessati; la riduzione delle sanzioni economiche previste per gli editori i cui giornali pubblicano arbitrariamente gli atti di un procedimento.
Il testo del 2009, lo ricordiamo, subordinava l’utilizzo delle intercettazioni a “gravi indizi di colpevolezza”. Tale requisito aveva, già allora, scatenato aspre polemiche. L’art. 192 del nostro codice di procedura penale afferma infatti che davanti ad indizi gravi, precisi e concordanti, un fatto possa essere dato per certo: le intercettazioni a quel punto sarebbero state del tutto inutili.  La maggioranza ha dunque fatto marcia indietro, ritornando alla versione originale dell’articolo: restano necessari solo “gravi indizi di reato” ma con l’aggiunta dell’onere del PM di aver già acquisito”specifici atti di indagine” . Numerosi sono già i magistrati che hanno evidenziato una nuova incongruenza: se gli elementi di prova derivano dalle intercettazioni, come può il rappresentante della pubblica accusa disporne in precedenza? Le prove preventive sono richieste anche per l’acquisizione dei tabulati telefonici e per l’utilizzo delle cosiddette “cimici”, a meno che il PM non sia certo che proprio in quel luogo non si stia commettendo o non si commetterà un reato.
Altra novità è rappresentata appunto dalla durata massima delle intercettazioni prevista dal nuovo ddl: se fino ad oggi gli ascolti, sia telefonici che ambientali, potevano essere prorogati finché necessario alle indagini, con la modifica, invece, viene stabilito un limite di 75 giorni: 30 per la prima fase a cui si susseguono richieste di conferma (non più ad un solo giudice bensì al tribunale collegiale distrettuale) ogni 15 giorni.
Per quanto riguarda il diritto di cronaca il governo ha eliminato il raddoppio della pena previsto per i giornalisti in caso di pubblicazione di atti vietati (i quali sono però aumentati). L’art.114 del Codice di Procedura penale recita: “È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Divieto, però, mitigato dal comma 7: “È sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto”. Il disegno di legge approvato dal ministro Alfano già un anno fa, ha però soppresso questo comma: ciò significa che giornali e notiziari, ma anche le nuove fonti di informazione on-line, non potranno dare notizie sulle inchieste giudiziarie per un periodo che va dai 3 ai 10 anni, periodo medio (in Italia) affinché venga conclusa l’udienza preliminare.
Le voci di denuncia su una lesione del diritto ad essere informati, diritto irrinunciabile in uno stato democratico, sono sempre più numerose: si sono opposti a questa modifica anche esponenti della maggioranza, tra cui la già ricordata Presidente Giulia Bongiorno, la quale per prima aveva preteso che venisse concessa la pubblicazione di tali atti “almeno per riassunto”.
Il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, ha definito il disegno di legge un pericolo per la democrazia, ma anche direttori di testate vicine alla maggioranza, quali “Il Giornale” di Vittorio Feltri, hanno manifestato il proprio sdegno davanti a quella che viene definita  “legge bavaglio”.
Il Ddl sulle intercettazioni ha scatenato polemiche e preoccupazioni anche all’estero: Lanny A. Breuer, sottosegretario alla Giustizia degli USA, in visita in Italia, ha dichiarato: “Quello che non vorremmo mai è che succeda qualcosa che impedisca ai magistrati italiani di continuare a fare l’ottimo lavoro svolto finora.”  I giornalisti francesi, di Reporters sans Frontières, intanto, offrono ospitalità sul loro sito ai giornalisti italiani offrendosi di pubblicare oltralpe quanto diventerà oggetto di censura.
La storia delle inchieste giudiziarie italiane sta per cambiare, si spera che le inchieste non restino solo storia.