Oggi apre al pubblico la Biennale di Berlino. In occasione della preview tracciamo un percorso tra Kreuzberg e Mitte, in quelle che sembrano delle tendenze fondanti di questa sesta edizione. La biennale si focalizza su artisti provenienti soprattutto dall’Europa, ma ad una linea marcatamente europea, si contrappone uno sguardo ricognitivo di tipo globale. Molti interventi destinati ad un pubblico esperto e tanti spunti che possono smuovere la fantasia di persone volenterose di confrontarsi con l’universo del contemporaneo. Il tema di questa sesta biennale invita ad una riflessione sui luoghi
Nel 1909 Alfred Kubin artista e scrittore Austriaco pubblicava Die andere Seite – l’altra parte – acclamato come il primo romanzo espressionista tedesco. Kubin, ossessionato da mostri e presenze demoniache, trovava la sua “altra parte” nei pressi di Samarcanda, in un luogo non luogo fatto di una compenetrazione mistico spettrale in linea con il tempo e con le tendenze esoteriche. Nel 2010 la domanda di fondo di questa Biennale di Berlino è Was drapssen wartet (cosa ci aspetta fuori da qui), una questione che sembra accordarsi con una necessità d’altro, o almeno d’altrove.
Cosa ci aspetta fuori? Una logica che ci pone in riflessione rispetto al lontano da noi, altro da noi stessi. Le esposizioni biennali hanno preso da tempo il corpo di eventi internazionali fondati su riflessioni derivanti da un sostrato comune a tutto il mondo occidentale. Quel fuori da qui allora diviene – nel caso della Biennale di Berlino –  altrove rispetto all’occidente? A vedere alcune posizioni prese dagli artisti e sostenute dalla curatrice Kathrin Rhomberg, sembrerebbe plausibile.
L’altra parte – parafrasando Kubin – in questo caso è il mondo che sta altrove rispetto al sistema occidentale. Un mondo che vive e subisce le nostre strutture sociali e la nostra organizzazione economica. Una documentazione continuativa e trasversale di tutte quelle politiche – perché la biennale mi è sembrata estremamente politica, nell’accezione greca del termine –  sociali che si diradano a partire da una serie di azioni. Ecco allora il video di John Smith ( Frozen War ) che si sofferma, era nel 2001, sull’attacco congiunto dell’aviazione Americana e Britannica in Afganistan – azione –  e Mark Boulos con il suo video All that is Solid Melts into Air, in cui la proiezione di un video con una banda di guerriglieri del delta del Niger è contrapposta ad un’altra in cui scorno le immagini di una giornata a Wall Street – reazione – una dicotomia stridente che ad un tratto diviene cacofonia affine, nelle urla, nella veemenza con cui si cerca di legittimare le proprie azioni. La biennale che si occupa di quello che è fuori da noi è una biennale che occupa palazzi e ne converte la destinazione d’uso (come il palazzo in Oranienplatz 17), non è un’esposizione verso l’utopia, ma la concrezione di opinioni. Una serie di proposte, come quelle del video di Anna Witt (Radikal Denken) che cercano una forma dialogica e che provano ad avvicinare gli spettatori della realtà. Si parla di una economia reale se ne mostrano le conseguenze e si spera che quell’altro mondo, quello che ci aspetta fuori da qui, non diventi una concatenazione vuota e vacua di spiriti del male, un non luogo dove scaricare i nostri vuoti di conoscenza, dove creare i nostri mostri, come in Die andere Seite. L’altro è già qui, apri gli occhi, basta solo vederlo.