Cagliari, a detta di Sergio Atzeni è un’indolente sognatrice bianca (1) ; per Elio Vittorini, invece, è una Gerusalemme sarda (2). Oggi si presenta come moderno porto industriale e turistico, primo aeroporto dell’isola che ormai la collega, grazie ai low cost, a quasi tutta l’Europa, sede universitaria, animato lungomare pieno di chioschi e di giovani che di notte si trasforma in multiforme palco per svariati gruppi musicali.
Solo pochi anni c’era Festarch, Festival Internazionale di Architettura: nelle uniche due edizioni (2007, 2008), i più famosi architetti del mondo si sono avvicendati a parlare di urbanità, di paesaggio, di futuro negli spazi dell’ex Manifattura tabacchi, un’area enorme dove ripensare conversioni d’uso, grazie alla cultura.
Anni frizzanti per Cagliari/Karalis in cui vivono “militanze” culturali al di sopra delle parti politiche, al di sopra di qualsiasi disponibilità economica, di taglio ai fondi, di profonda determinazione, come il Festival di Letterature Applicate “Marina Cafè Noir”: nato nel 2003, nel 2010 alla sua ottava edizione, recentemente conclusa.
Un appuntamento irrinunciabile e molto sentito fra i vicoli del quartiere di Sa Marina, che chiama a raccolta un fitto intreccio di autori, poeti, musicisti, registi, sardi e non solo, che con il “pretesto” del genere noir, che leggono, dibattono, si confrontano su temi attualissimi: le migrazioni, la crisi dei valori e delle possibilità, il bisogno di alternativa, la creatività. Ho incontrato i ragazzi del Chourmo, l’Associazione che è mente e cuore del Festival, che si sono raccontati intensamente.

 

Che cos’è l’associazione culturale Chourmo e come è nata? Come produce i suoi progetti e com’è organizzata al suo interno?
Siamo in sei amici di età varia intorno ai 35 anni legati a questo progetto culturale da più di dieci anni: tutti di Cagliari, Casteddu per noi sardi; tutti appassionati di storie, letture e letterature; tutti incalliti frequentatori del quartiere di sa Marina.
Abbiamo cominciato volendo rallegrare le nostre serate con happening e concerti, e poi, dal 2003 Marina Cafè Noir (MCN) si è strutturato nella sua prima edizione. Ci chiamiamo Chourmo, con un riferimento esplicito al romanzo del marsigliese Jean Claude Izzo, un autore di riferimento per il genere del noir(3) .
Chourmo è anche la ciurma, il gruppo legato da una passione/patimento comune,  una testa e un cuore unico che vanno all’unisono nella molteplicità. E infatti siamo una ciurma di sei membri, piuttosto “ecumenici”, nel senso che non ci siamo dati dei ruoli specifici, ma tutti facciamo tutto: sei direttori artistici, sei produttori, sei responsabili delle comunicazioni…. mente e cuore collettivo.
Purtroppo Chourmo non ci permette di mantenerci completamente, anche se questo è un nostro sogno nel cassetto: vorremmo poterci programmare con un anticipo triennale, minimo, ma non è mai possibile disporre di fondi sufficienti. Eppure il nostro animo appassionato ci spinge avanti, anche grazie a un intenso lavoro di fund raising che ci porta a partecipare a molti bandi emessi dalla Regione e altri enti pubblici, nonché qualche supporto da privati, aziende e amici del quartiere. Fondamentali i fomentatori , volontari che si supportano ad ampio raggio, che ci sostengono in questa impresa culturale in tutti i suoi bisogni.
Lavoriamo al Festival da come finisce un’edizione alla sua successiva apertura, per un anno solare intero, sperimentando nuove ricerche. Il Comune con il tempo ha imparato a conoscerci e sempre più ci asseconda nelle nostre richieste: infatti, lavorando su una formula di festival diffuso, occupiamo vari spazi del quartiere, come Piazza Savoia o Piazza San Sepolcro, il Liceo Artistico, molte Gallerie di Arte Moderna che stanno nascendo in questo quartiere che si ritrova vivo e pulsante. Intorno a noi si è creata anche una zona a traffico limitato e aree pedonali. Per l’evento di apertura del Festival siamo stati all’Ospedale di San Giovanni di Dio, la casa di nascita di molti cagliaritani, in collaborazione speciale con l’azienda sanitaria.
Esploriamo gli spazi, li rivitalizziamo e ce li restituiamo.

Quali sono le principali caratteristiche del Festival di letterature applicate Marina Cafè Noir?
Partiamo da un pretesto di genere letterario, che è il noir, perché pensiamo che sia un linguaggio efficace per descrivere la complessità e talvolta squallore del mondo che viviamo. Ma il Festival è apertissimo a tutte le contaminazioni dei linguaggi culturali, purché mantengano una certa indole di militanza sociale e di tematiche che sentiamo particolarmente: le migrazioni, la multi-culturalità, la provincialità, la crisi economica e sociale, la detenzione, i ghetti. Per questo il sottotitolo di letterature applicate, nel senso dell’aderenza alla vita concreta, alla narrazione delle questioni epocali attuali. Ciò non significa professare una connotazione politica in specifico, ma volere parlare dialogare di tutto per dotarci di strumenti di interpretazione alternativi.
Il Festival si articola in una programmazione di eventi gratuiti, con numero chiuso solo nelle location indoor. Privilegiamo accogliere il pubblico sin dal tardo pomeriggio per condurlo alla sera inoltrata, in un crescendo di energia sprigionata: dal reading intimo allo spettacolo teatrale, infine al grande concerto. Contiamo per questa edizione circa 40 reading, tutti inediti, svariate tavole rotonde, circa dieci mostre perlopiù fotografiche, 3-4 laboratori espressivi. Dopodiché, data la natura fluida del festival e la sua presenza capillare nelle maglie del quartiere, diventiamo catalizzatori di energie e stramberie: dunque giungono altri artisti di strada a contribuire spontaneamente.
Spesiamo i nostri relatori e invitati garantendo vitto e alloggio, ma la loro partecipazione non si traduce in altro. La nostra promozione si avvale dei mezzi classici della comunicazione: ci piace collaborare anche con grafici locali, cambiando la nostra immagine ogni anno. Siamo partiti auto-finanziandoci; adesso abbiamo un bilancio complessivo che si aggira sui 100.000 Euro, ma fino all’ultimo non siamo mai sicuri di riuscire a portare a fondo il Festival.

Un festival diffuso e inter-disciplinare per il quartiere della Marina di Cagliari. Perché questa scelta e come risponde la città?
Siamo nati a Cagliari nel quartiere di sa Marina, non a caso.
Da sempre rappresenta per noi il luogo dell’incontro e della socialità, ricco di club, bar, ristoranti tipici, piazzette e laboratori artigiani, dove per abitudine si raccontano storie, si suona buona musica, si passa il tempo libero, dopo il lavoro al porto. Un dedalo di strade protette dai flussi del traffico, dove ogni passo rallenta e indugia. Da sempre crocevia di genti, popoli, esperienze, esistenze, questo quartiere ha patito un momento di abbandono da parte dei suoi abitanti e di cattivo giudizio dell’opinione pubblica. Abbiamo sentito il bisogno di far posare nuovamente lo sguardo su questi vicoli e piazze, per lanciare una sorta di S.O.S. al pubblico e noi stessi.
MCN è sia un cafè, ma soprattutto un incrocio fra un laboratorio a cielo aperto
e una fiesta alla catalana. L’idea è far inciampare le persone in noi per ridestare consapevolezza, curiosità, voglia di lettura e rintracciare energie autoctone. Le persone che ci frequentano (e quest’anno ne hanno stimate quasi 5.000 per sera) sono variopinte: ciò significa che stiamo parlando davvero alla molteplicità.

Come costruite il vostro programma? Siete mai stati scopritori di qualche talento?
In generale seguiamo il nostro gusto estetico, scegliendo gli autori che invitiamo, i progetti che lanciamo, gli spettacoli che proponiamo in assoluta libertà, purché siano reading e progetti inediti  ad hoc per mantenere una qualità alta per MCN. Ci muove un sesto senso di lettori. Sappiamo cogliere un’opera nuova, inedita, che ci sappia parlare. Le lenti del noir sono uno strumento pretestuoso, nel senso che il genere non ci vincola, ma troviamo che sia molto efficace laddove è scomparsa una certa letteratura d’inchiesta, figlia di un giornalismo di altre epoche.
Non abbiamo collaborazioni privilegiate con certe case editrici, ma con certi autori. Ci riteniamo piuttosto indipendenti e basiamo moltissimo del nostro lavoro ed energie nel tessere una fitta rete di relazioni: Francesco Abate, Michela Murgia, Massimo Carlotto, Giorgio Todde sono alcuni fra gli amici più stretti. Abbiamo portato fortuna, ad esempio al regista e attore lombardo Giancarlo Biffi che ha proposto la prima volta lo spettacolo Milano brucia durante il Festival, cominciando un’intensa collaborazione con il teatro di Cagliari Cada die Teatro. Oppure Marco Philopat con il volume la Banda Bellini, fino a Roberto Saviano, intervenuto nel 2006 con Gomorra, prima che cominciasse a vivere sotto scorta.
Un occhio ai giovani è ovviamente rivolto, considerato che lo siamo anche noi, soprattutto per i giovani sardi, siano artisti o no: perché vogliamo creare opportunità e alternative, diffondendo anche la cultura del coraggio.
Lavoriamo un anno intero alla preparazione di un’edizione, confrontandoci molto democraticamente fra noi, ognuno con le sue peculiarità. Ragioniamo sui contenuti per poi concretizzare le idee, gestendo una certa complessità organizzativa.

Quali sono i  rapporti con gli altri festival letterari (come il Festival letterario della Sardegna a Gavoi, il Festival della Letteratura di Mantova, la Fiera del Libro di Torino, e cosa vi differenzia da loro? 
Gavoi è un punto di riferimento, per la nostra comune storia sarda. Ammiriamo molto il lavoro di Marcello Fois, ma la differenza sostanziale fra Gavoi e noi è la dimensione urbana che noi esprimiamo che ci porta ad avere più urgenza del trattare la materia dell’attualità, più che della letteratura in generale e della critica.  Manteniamo una dimensione isolana e urbana: lavorare nel quartiere e fare presa in esso ci interessa molto di più che attraversare il mare. Sappiamo che a Mantova e alla Fiera di Torino gira il mondo, ma davvero vogliamo concentrarci su di noi per generare un reale piccolo mutamento antropologico. Sicuramente sono amiche le Ragazze Terribili di Sassari che promuovono Abbabula– il Festival di musica e parole d’autore .

Il nero intorno è il titolo dell’ottava edizione :  perché vedete nero in una città bianca? Com’è andata quest’anno?
C’è una diffusa sensazione di sconforto e sperdimento: avanza una marea nera di pessimismo, aleggiano la tristezza, l’asfissia, l’impotenza. Abbiamo voluto partire dal “nero intorno” per riaffermare spazi di luce e rinascita; dalla palla da biliardo numero otto, che rotola decidendo il corso della partita, il vincitore e il perdente, per riaprire il gioco. Per questo il Festival ha inaugurato il 15 settembre con lo spettacolo in prima nazionale Presentazioni a domicilio, con gli attori Giacomo Casti e Tiziana Martucci, accompagnati dai musicisti Marco Noce e Matteo Sau, tratto da Chiedo scusa di Francesco Abate e Saverio Mastrofranco (al secolo Valerio Mastrandrea)  : storia auto-biografica dell’esperienza del trapianto. La location scelta non a caso: l’Ospedale San Giovanni di Dio, dove moli sardi sono nati…per raccontare la rinascita e anche denunciare il calo della donazione degli organi. Poi ci sono stati Wu Ming e Enrico Brizzi a dialogare sul senso del racconto e del cammino, due facce dello stesso bisogno umano di conoscenza e scoperta. Intensa e travolgente la serata musicale con Roy Paci; ma poi Michela Murgia reduce dal Premio Campiello a parlare di femminilità oscura; il grande attore Marco Baliani, il regista Salvatore Mereu di ritorno dal Festival del Cinema di Venezia per la presentazione del suo film con giovanissimi adolescenti sardi “Tajabone”. Intensa anche la partecipazione dell’ex diplomatico Enrico Calai, accompagnato dal fotoreporter Giancarlo Cerando, che ha raccontato gli anni dolorosi dell’Argentina della dittatura e dei desaparecidos.
Noi siamo attoniti dal riscontro di pubblico, presente, attento, coinvolto, scomodo agli angoli dei vicoli, arrampicato sugli scalini, pur di esserci. È andata bene, come non ci saremmo aspettati. Ne deduciamo che c’è davvero molto bisogno di reagire, grazie alla creatività, al dialogo, alla cultura.

Cosa c’è in cantiere per il futuro?
Per ora delle profonde riflessioni su com’è andata questa ultima edizione, che è stata davvero un successo di pubblico, di riscontri, di collaborazione e di emozione per noi!! Stiamo diventando esigenti con noi stessi e stiamo crescendo anche a livello organizzativo, complicando la logistica del Festival. Ora è il momento dei conti. A partire da gennaio cominceremo a ragionare sui contenuti della prossima edizione ben consapevoli di aver raggiunto un notevole livello qualitativo che non vogliamo di certo perdere.

Note:
(1) Sergio Atzeni, I sogni della città bianca, 2005, ed. Maestrale
(2) Elio Vittorini, Sardegna come un’infanzia, 2000, Bompiani
(3) Jean Claude Izzo, Chourmo. Il cuore di Marsiglia, 2000, E/O

Foto di Rosi Giua