100 milioni di euro di investimento complessivo, 9.000 m2 di superficie, 40.000 mq. di spazio, 3 università coinvolte, un progetto architettonico innovativo e un percorso ancora lungo davanti. Questa la carta d’identità del progetto M9 di Mestre, futuro museo del ‘900 voluto e finanziato dalla Fondazione di Venezia che, a ben guardare, poco ha a che fare con le strutture tradizionali presenti nelle nostre città. Innovativo perché non si pone limiti nella separazione tra le arti, perché intenzionato a sfruttare tutte le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie, perché pur radicato al locale si aprirà al mondo per un confronto e uno scambio reciproco. Un’idea di museo moderno nel vero senso della parola, che poco si adatta allo stereotipo comune. Un luogo che vuole essere vivo e vissuto, sempre e da tutti. Un progetto che da qui al 2014 – anno previsto per la completa apertura – dovrà mettere alla prova le sue intenzioni e i suoi presupposti e riuscire a renderli concreti e tangibili. Ultimo passo compiuto la selezione per il progetto architettonico che ha visto in gara sei studi famosi e di respiro internazionale: Agence Pierre-Louis Faloci, Carmassi Studio di Architettura, David Chipperfield Architects, Mansilla+Tuñón Arquitectos, Sauerbruch Hutton e Souto Moura Arquitectos. Dopo la vittoria di agosto di Sauerbruch Hutton il 2011 vedrà l’inizio dei lavori. Abbiamo preso spunto da quest’ultimo passo compiuto per approfondire con il Dott. Fabio Achilli, vice-direttore della Fondazione di Venezia, il progetto e i suoi obiettivi.

Per la realizzazione del progetto architettonico dell’M9 la Fondazione ha bandito un concorso su invito rivolto ad alcuni tra i più apprezzati professionisti a livello internazionale. Evidentemente l’intento è quello di creare un segno architettonico che svolga la funzione di catalizzatore identitario per la comunità – viene banalmente in mente Bilbao con il Guggenheim – anche rafforzato dalla fama di un grande architetto. Quali sono le motivazioni invece di fare del ‘900 la tematica focalizzante di questa operazione?
Prima di tutto desidero sottolineare come per quanto l’intento del progetto architettonico sia anche di realizzare un forte segno catalizzatore per l’identità urbana, la Fondazione non consideri gli architetti chiamati a partecipare al bando come delle archistar. Non perché essi non godano di riconoscimento a livello internazionale, quanto piuttosto perché le motivazioni della scelta stanno molto di più nell’essere professionisti di provata esperienza, in particolar modo nella progettazione museale.
Relativamente al ‘900 bisogna ricordare di come la storia di Mestre si realizzi proprio nel “secolo breve” portandosene dietro il bello e il brutto. Allo stesso tempo il ‘900 e i processi di accelerazione dello sviluppo economico e industriale ad esso connessi permettono, per la loro universalità, di rifarsi alla storia locale nell’ottica di collegamenti di livello nazionale ed internazionale. Pensiamo ad esempio a città come Manchester, Bilbao o la Ruhr, territori di piccole-medie dimensioni che hanno vissuto un forte sviluppo industriale per poi veder sgonfiare rapidamente la bolla del loro benessere. Dopo aver attraversato periodi di depressione più o meno lunghi e grazie a un sentimento diffuso, a un credo comune, essi hanno trovato nella cultura la leva necessaria per ridisegnare la propria identità in chiave moderna, facendone uno strumento strategico per il proprio sviluppo sociale ed economico. E’ a questo tipo di modelli che Mestre deve necessariamente rifarsi e può, come in quei casi, svolgere il ruolo di catalizzatore per un territorio molto più vasto, essere a tutti gli effetti il centro di quella macro-regione costituita dal  Triveneto. Molto è stato fatto in tal senso e molto è in programma, basti pensare allo sviluppo di infrastrutture come TAV e Passante e a progetti di rigenerazione come il Laguna Palace, il Vega, l’ex-Umberto I, il nuovo Ospedale dell’Angelo, etc. Ad essi si aggiunge inoltre lo sviluppo di una forte identità degli abitanti di Mestre che risulta un presupposto indispensabile per processi di riconversione del territorio di questo tipo.

Proprio relativamente alla comunità locale, sul territorio sono presenti altre strutture – viene ad esempio in mente il Centro Culturale Candiani – che contribuiscono a dare vita ad un’offerta culturale di qualità, che tuttavia non ha incontrato in passato o non incontra tutt’ora una forte partecipazione del pubblico. In base a quali elementi ritiene che per l’M9 sarà diverso? Esiste una domanda non soddisfatta da parte della comunità?
Le ricerche che abbiamo fatto come presupposto alla progettazione dell’M9 hanno evidenziato una forte evoluzione dei consumi e della domanda culturale sul territorio. A questo bisogna aggiungere che l’M9 ospiterà sia attività temporanee che a carattere permanente, potendo così avvantaggiarsi di una base che andrà di volta in volta a modificarsi. L’idea è quella di creare un punto di riferimento per tutto il tessuto urbano che sia vissuto a 360° e 365 giorni all’anno, in cui andare a vedere mostre, film, performance, etc., ma anche a fare shopping nell’area destinata a negozi, in cui prendere un aperitivo. Una piazza vissuta veramente, un luogo dove andare nella certezza che qualcosa sarà sicuramente in corso di svolgimento in qualunque momento dell’anno. E questo intento si ripercuote nel progetto architettonico, in particolare sulla scelta di andare a coprire l’area del chiostro in modo da renderlo utilizzabile anche nella stagione invernale. 

Mestre sta attraversando negli ultimi anni un processo di riconversione urbana, sociale ed economica che sembra aver individuato nella cultura e nella formazione strumenti privilegiati, pensiamo ad esempio all’aumento dell’offerta culturale e alla futura costituzione di un polo universitario in via Torino. Un progetto come quello dell’M9 tuttavia pur essendo nato, gestito e finanziato dalla Fondazione di Venezia necessita di un clima politico favorevole, di un credo comune, come diceva in precedenza, che vada oltre alla contingenza, ma che gli assicuri una continuità nel tempo. Soprattutto in relazione alle possibili critiche di deviare il sostegno economico necessario a istituzioni storiche presenti a Venezia verso il nuovo progetto…
La Fondazione di Venezia ha sempre sostenuto le istituzioni del territorio – pensiamo alla Fenice, alla Querini etc. – e ha tutta l’intenzione di continuare a farlo. Ma se seguitiamo a concentrarci sulla città passata e a dimenticare la città futura non credo che potremo andare molto distante. Nessuno nega i bisogni di Venezia, ma al di là del Ponte della Libertà c’è una città che pulsa e che può costituire un futuro positivo per tutto il territorio. E non bisogna dimenticare che il sostenere il progetto dell’M9 a Mestre costituisce un’opportunità anche per Venezia, perché l’idea è di eliminare quel blocco mentale che fa del Ponte un ostacolo e un elemento di divisione, favorendo invece uno scambio reciproco tra i due centri e le persone che vi abitano.
Per quanto riguarda la sostenibilità del progetto, ci rendiamo conto che esso costituirà un impegno costante per la Fondazione dal momento che a fronte di un 25/30% di entrate generate dal museo e dai servizi collegati e di un 30/40% di affittanze del chiostro il nostro contributo si aggirerà comunque attorno ad un 25%. Ma riteniamo che questo costituisca un investimento con un ritorno per tutto il territorio.
Vorrei inoltre sottolineare che il progetto dell’M9 si inserisce in quel cambio di paradigma che ha interessato la Fondazione, tra le prime in Italia, e che la sta portando a diminuire progressivamente la sua attività di grant-making a favore di un ruolo più direttamente attivo nei progetti.

In relazione a questo cambio di paradigma, quali sono le motivazioni che vi hanno portato su questa strada? E’ un percorso che secondo lei verrà seguito anche dalle altre Fondazioni?
In effetti pur essendo la nostra Fondazione tra le prime in Italia ad effettuare questo cambio operativo, bisogna sottolineare come altre stiano seguendo questa strada e come probabilmente anche le rimanenti si orienteranno progressivamente in tale direzione. Il perché è legato sia alla crisi contingente, che limita le risorse disponibili e rende quindi necessaria una maggiore efficacia, sia soprattutto ad una progressiva maturazione delle logiche interne delle fondazioni bancarie che così come le ha slegate dalle istituzioni bancarie di origine le sta indirizzando su questa strada. Sempre più si rende necessario questo passaggio dal “dare al fare” perché invece di finanziare tantissime iniziative senza tuttavia risolvere definitivamente i bisogni delle realtà che vi stanno alle spalle è possibile razionalizzare i fondi per dare vita a progetti con un ritorno incisivo sulla comunità e duraturo nel tempo. Se pensiamo all’M9 ad esempio si può vedere come si andrà a generare una struttura che rimarrà nel tempo, che lascerà un segno e che allo stesso tempo attraverso le sue attività creerà un vasto indotto sul territorio.

Abbandonando la dimensione locale per guardare all’estero, l’M9 andrà a costituire uno dei grandi progetti – vedi il MAXXI – che rappresentano l’Italia nel mondo? La vostra presenza in manifestazioni internazionali, come ad esempio la presentazione all’Expo di Shanghai, si inserisce in quest’ottica?
Quando abbiamo realizzato lo studio di progettazione dell’M9, che ha preso in considerazione 750 musei nel mondo, ci siamo resi conto di come non esista un museo che racconti la storia del ‘900 a 360 gradi. Contemporaneamente in Italia purtroppo non ci sono ancora o sono pochissimi i musei hand-on dove la tecnologia mette a disposizione la struttura e le sue attività 24 ore al giorno tutti i giorni dell’anno, offrendo la possibilità di personalizzare i percorsi e di renderli meno rigidi. In questo senso quindi l’M9 rappresenterà un progetto significativo sia sul piano nazionale che internazionale. La nostra idea è inoltre di creare una rete di contatti con musei e strutture europei, americani, asiatici, di aprirci al mondo intero orgogliosi della nostra cultura e forti delle nostre tradizioni, ma proprio per questo disponibili a confrontarci con il nostro passato e con altre culture. La parola d’ordine è quindi ”massima apertura”. 

E quale migliore occasione di confronto e apertura ci può essere della candidatura del Nord-Est a Capitale della Cultura 2019. L’M9 andrà ad inserirsi anche in questo percorso? Quali sono, secondo il suo parere, le possibilità di ricevere l’assegnazione?
La candidatura è certamente una sfida interessante e da sempre la Fondazione di Venezia crede e appoggia il progetto ed è interessata a far parte delle istituzioni che vi partecipano. E’ chiaro che ci farebbe piacere che, d’accordo con gli altri attori, si potesse pensare al museo e all’area circostante come ad uno dei punti fermi che vanno a sostenere e rafforzare la candidatura, oltre che come luogo dove realizzare parte delle iniziative.
Io ritengo che ci siano tutti i presupposti per potercela fare e che Venezia goda di un ottimo credito internazionale in tal senso. Riguardo al territorio interessato sono inoltre d’accordo di coinvolgere un’area vasta – come ad esempio è accaduto nel caso di Essen e della Ruhr – metterei solo in guardia dall’allargare troppo il campo per non perdere la governabilità del progetto e credo anche che, pur nella valorizzazione delle singole realtà, sia necessario stabilire un po’ di gerarchia e tenere presente che la capitale deve essere una. Ad essa poi si collega tutto il territorio circostante per la progettazione e la gestione, strategia questa che si è sempre rivelata vincente nelle Capitali Europee che l’hanno applicata. 

Approfondimenti:
M9 – Museo del Novecento