La generazione dei computer sta per sconfiggere l’agricoltura e i suoi protagonisti. Ma cosa mangeremo tra qualche anno? È anche con questo interrogativo che si aprirà il Salone del Gusto, dal 21 al 25 ottobre al Lingotto Fiere di Torino, e che troverà al suo interno l’immancabile appuntamento con “Terra Madre” e la Generazione T, ovvero quella dell’agricoltura 2.0.
Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, dichiara a tal proposito che la riappropriazione del territorio da parte dei giovani non solo è possibile, ma strettamente necessaria e potrà realizzarsi solo nel momento in cui la società porrà le basi per un vivere dignitoso del lavoratore della terra, senza il quale noi tutti saremmo costretti a “nutrirci” dei soli “frutti tecnologici”.

Negli Stati Uniti, paradossalmente, è già da qualche anno attiva questa forma di riconversione al vivere sano dovuta alla presa di coscienza di gran parte della popolazione americana verso il cibo biologico che salvaguarda l’ambiente strizzando un occhio alla salute. È per questi tipi di cibo che siamo disposti anche a spendere di più: l’agricoltura “slow” o biologica è in effetti molto più costosa delle grandi coltivazioni intensive e da sola non riuscirebbe a sfamare neppure un solo continente. È per questo motivo, dunque, che la tecnologia, quella della cosiddetta agricoltura 2.0, si dovrebbe impegnare affinché si ottimizzino le filiere corte, gli acquisti locali o la produzione personale che si esprime oggi, in sempre più città, sempre in più nazioni, con gli orti urbani, spazi di verde collettivi utilizzati per piccole piantagioni. In America, grandi multinazionali come Pepsi, Toyota o Google hanno inserito all’interno dei propri spazi lavorativi, un orto comune in cui ogni lavoratore è libero di portare a casa frutta e ortaggi piantati in ufficio; e anche scuole, in California con gli school gardens e in Italia con l’iniziativa “Orto in condotta”, hanno cominciato a ritenere il lavoro della terra insegnamento fondamentale per la formazione dei giovani, affinché si apprenda sin da piccoli l’importanza vitale dell’agricoltura e l’origine naturale dei prodotti alimentari.

Con oltre 190 mila occupati nel settore dell’agricoltura biologica, le imprese che si dedicano alle colture sostenibili fanno registrare un’incidenza del 2% circa sul comparto agricolo nazionale generando, così come esplicato nell’ultimo rapporto sull’altra economia in Italia, quasi 1,3 miliardi di euro di valore aggiunto.
Un comparto, dunque, sul quale investire affinché le filiere diventino sempre più corte e i consumi sempre più consapevoli dell’origine dei prodotti che arrivano alla nostra tavola senza troppe intermediazioni.

E se moltissime sono le ricerche attive nell’ambito delle coltivazioni bio che si estendono poi ad ogni settore della vita quotidiana, anche quelle relative alle produzioni industriali non sono da meno, con picchi di creatività dimostrabili ad esempio da “food design”, un laboratorio che pone il cibo come elemento principale di una ricerca ingegneristica avanzata: vi siete mai chiesti ad esempio perché una patatina Pringles sia rinchiusa in un tubo e abbia quella forma? Bene, tutto è studiato a tavolino dagli esperti di food design. Sebbene una Pringles, infatti, non sia affatto una patatina ma una sfoglia ottenuta da una farina di patata compatta, la sua particolare forma a barchetta ergonomica aderisce perfettamente alla lingua facendo in modo che il sapore venga sprigionato solo sulla parte in cui sono attive le papille gustative. In questo modo, il gusto si protrae per più tempo e l’aroma di patatina nella bocca è molto più forte e duraturo. L’involucro a tubo è dunque indispensabile a preservare la forma, portatrice anch’essa di gusto.
Il cibo, dunque, è oggetto sempre più spesso di studi tecnologici, ambientali e creativi che permettano, in prima istanza, di porre rimedio alla tragica situazione mondiale legata alla fame e che, nel contempo, sviluppino nuove forme di conservazione, valorizzazione e sfruttamento etico in grado di ridurre gli sprechi e analizzare i bisogni degli acquirenti finali. Una ricerca doverosa per un settore che, da solo, nel 2009 ha portato le industrie del comparto a fatturare oltre 120 miliardi di euro, cioè solo meno del settore metalmeccanico, area di punta della produzione nazionale.

Riferimenti:
Primo rapporto sull’altra economia in Italia 2009