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Intervista ai curatori Carla Bino e Piergiorgio Vittorini
Nella terra dell’industria nasce un festival, unico nel suo genere, che coniuga la cultura del lavoro con quella del teatro e dello spettacolo. Si tratta di Fabbrica Brescia – Il cantiere delle arti realizzato in occasione delle celebrazioni per il cinquantennale di fondazione del Gruppo Giovani Imprenditori dell’Associazione Industriale Bresciana.
Dal 18 settembre al 4 ottobre, sono stati presentati quattro spettacoli, con nove repliche, ideati appositamente per le quattro aziende che li hanno ospitati. Aso Forge, Greiner, Medtronic Invatec CardioVascular e Space Work sono stati i teatri straordinari di performance musicali, teatrali e visive che hanno raccontato il lavoro attraverso il linguaggio culturale.
Curatori della manifestazione sono Carla Bino, docente di Storia del Teatro all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, e l’avvocato Piergiorgio Vittorini.
Fabbrica Brescia – Il cantiere delle arti è un’esperienza nuova e inusuale. E’ un sogno nel cassetto che avevate da tempo oppure è stata pensata per questa occasione?
PV:Lavoriamo insieme da quasi quindici anni. Tante idee sono state realizzate e alcune sono ancora lì. Un pomeriggio, mentre stavamo scrivendo tutt’altro, Carla mi disse che aveva una nuova idea. E questa, nel giro di un paio di anni siamo riusciti a realizzarla.
CB: Fabbrica è stata pensata esattamente per il territorio bresciano, per la sua specificità culturale e la sua identità così legata alla produzione e al lavoro. Abbiamo scritto il progetto sostanziandolo di contenuti antropologici e culturali ma anche di aspetti tecnici che potessero incontrare il sapere delle persone a cui l’avremmo proposto. Volevamo assolutamente proporlo agli imprenditori e quindi è nato ed è stato creato per loro. Il fatto che lo abbiano sposato i giovani industriali è stata un’occasione meravigliosa, forse la più giusta per un progetto che ha a che fare con la creatività e la sperimentazione.
Una nuova generazione di manager che pensa anche ad altri aspetti oltre alla produzione?
PV: Si, anche questo, ma ho una interpretazione un po’ diversa. Chi ha formato l’industria sostanzialmente ha cercato nel mentre, come uno che si sia trovato a nuotare e che ha continuato a farlo. La seconda o la terza generazione, invece, ha avuto la possibilità di vedere chi l’ha preceduto in quel contesto, quindi è riuscito ad oggettivare, un processo produttivo che ha anche un suo aspetto spettacolare. Ciò significa che è possibile osservare un processo produttivo senza esserci coinvolto, guardandolo dal di fuori e apprezzarne il valore estetico e il valore di aggregazione sociale.
Quindi siete d’accordo nell’individuare le fabbriche non tanto come location ma proprio come comunità e luogo dove si produce cultura?
CB: Assolutamente, questo è lo spirito di Fabbrica. Se vogliamo dare una lettura di tipo teatrale, guardando alla storia dello spettacolo, questa è la differenza tra la drammaturgia dello spazio e lo spazio drammaturgico. La drammaturgia dello spazio è usare lo spazio per una drammaturgia, cercando di agirlo attraverso un testo. Lo spazio drammaturgico, invece, è elemento della drammaturgia. In questo caso, costruiamo la drammaturgia sulla fabbrica: gli spettacoli che si propongono sono qualcosa che accade, esattamente come la produzione, e quindi sono un fatto. Sono irripetibili come un meccanismo produttivo che non esiste in altre circostanze; se lei deve produrre un lingotto d’acciaio quel lingotto è unico … il teatro è unico e irripetibile. Accade una sola volta. Nel caso di Fabbrica, ogni performance vuole comunicare l’esperienza unica della produzione ed è pensata sul processo produttivo proprio di ciascuna fabbrica.
Tutto questo ha influenzato la scelta degli artisti.
CB: Esatto, perché questi spettacoli non esistono al di fuori di questi contesti. Sono stati creati per queste aziende, con questi spazi come elemento intrinseco.
PV: Ci sono anche dei tempi, dei ritmi, delle scansioni di ciò che vedi e di ciò che fai che sono identificativi di quella fabbrica e non possono essere portati in un’altra. Voglio dire, la velocità con cui si muove un carro ponte o si apre un forno è quella specifica di quella fabbrica. Magari da un’altra parte c’è un altro carro ponte o un altro forno che sono simili ma non sono quelli. E quindi il suono, il calore e le immagini che ne emergono sono uniche.
CB: E allora si capisce che, quando si dice Fabbrica – Il Cantiere delle arti, ci si riferisce a qualcosa di assolutamente preciso: la fabbrica per un certo lasso di tempo diventa luogo di produzione culturale. Chi ha avuto la fortuna di visitare una fabbrica nella sua “pancia”, e magari ha un occhio poetico, senza essere abituato al processo produttivo ma potendolo cogliere nella sua specificità, vede un dato artistico, estetico, eclatante. Ecco, noi abbiamo cercato di farlo vedere a tanti.
Ci sono esperienze, più estere che italiane, e penso ai Paesi scandinavi, che spesso utilizzano le arti per facilitare momenti di formazione o per rafforzare le relazioni umane nelle imprese. Un esempio che ricordo è il Jazz utilizzato per coordinare gruppi di lavoro.
CB: E’ una cosa diversa, in quel caso si entra in un meccanismo, molto studiato, che è quello del teatro della comunità, o teatro sociale, di cui il teatro aziendale può diventare una declinazione. La definizione “teatro sociale” si deve a Richard Schechner: è un teatro che ricompone relazioni. Ma nel caso di Fabbrica il nostro non è un intento di tipo comunitario. piuttosto di tipo identitario. Riteniamo che il lavoro sia un dato culturale, un’identità culturale fortissima con una sua bellezza e una sua poetica, e che sia alla base della costruzione dell’identità della nostra città. Cultura e lavoro non sono due concetti antitetici. Fabbrica propone un teatro del lavoro nel quale gli imprenditori diventano produttori di cultura e comunicano la loro storia e la loro realtà antropologica.
E’ un’esperienza unica o si che ripeterà?
PV: Ci sono già delle buone intenzioni e degli interessamenti. Ci è stata richiesta la possibilità di sopralluoghi in diverse realtà. Vedremo. Quello che è importante è riuscire a far apprezzare, alla collettività e ai suoi amministratori, il fatto che avere una fabbrica vuol dire avere una comunità operosa e ricca di valori sociali.
CB: Inoltre, consideriamo il fatto che stanno cambiando i metodi di produrre e organizzare la cultura. Negli ultimi vent’anni, siamo passati da un’idea di cultura a fondo perduto, sovvenzionata dallo stato, ad una idea di cultura come impresa. Numerosi sono gli esempi di sponsorizzazione da parte dei privati. Allora, io credo che questo modello di Festival possa far riflettere sul fatto che i privati non possono essere convocati come sostenitori economici esterni al progetto, ma piuttosto come co-produttori. Se si coinvolge il privato come parte in causa, come protagonista della società civile e gli si riconosce questo suo ruolo, è evidente che il rapporto cambia, e quindi cambia anche la volontà di fare delle cose insieme.
Tutto questo non è una novità: l’Italia rinascimentale è stata costruita dai privati, non perché fossero più bravi, più sensibili o più ricchi, ma perché erano parte della società civile.
Ritorniamo quindi al discorso iniziale sul teatro della comunità; Fabbrica, può essere inteso con un progetto di teatro di comunità poiché intende comunicare l’identità di un corpo sociale, un corpo comunitario dove tutti fanno la loro parte. Si tratta di un meccanismo pre-settecentesco, pre-borghese; un meccanismo tipico delle società medievale dove la dimensione orizzontale dei rapporti sociali interpersonali era fondamentale. Oggi, la presenza forte dello Stato e la nostra dimensione di cittadini può giungere sino all’estremo limite di una rinuncia alla partecipazione. Si delega e non si agisce, non ci si sente responsabili di quanto accade. Comunità è mettere doni in comune. Il teatro può essere un evento, un luogo un tempo un rito, in cui si impara a ricostruire comunità.
Hanno sperimentato questo modello di collaborazione tra la cultura e l’impresa, quattro importanti organizzazioni bresciane: Aso Forge, nuova realtà produttiva di Aso Siderurgica, ha presentato il concerto “Canto del Fuoco”, di Michel Moglia con Javier Girotto, Manu Kao ed Enrico Ranzanici; Space Work, azienda che si occupa di ricerca e selezione del Personale, ha ospitato lo spettacolo di Gabriele Picco & Co “L’uomo al centro”; Greiner, specializzata nella produzione di valvolame e raccorderia in ottone e bronzo, per i gestori acqua e gas e per il settore termoidraulico, ha presentato “ERGON Opera sintetica per suono, luce, umanità” ideato da Stefano Mazzanti ed Equilibri Avanzati; infine, la Compagnia I Sacchi di Sabbia ha interpretato, presso la Medtronic Invatec Cardiovascular, “C.U.O.R.E. Viaggio nell’ignoto spazio profondo”.
Francesco Uberto, Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Brescia e Amministratore Delegato di Aso Forge così racconta questa esperienza.
FU: Quando Carla Bino e Piergiorgio Vittorini, mi hanno proposto questa iniziativa l’ho trovata il modo ideale per festeggiare i nostri cinquantanni: celebrare la cultura del lavoro portando eventi culturali nei luoghi dove si lavora.
L’intenzione del Festival è di trasformare realtà produttive in realtà culturali. E’ possibile?
FU: L’impresa può essere una realtà culturale e questo è un vantaggio per se stessa e per il territorio che la accompagna. La cultura può essere anche un motore di evoluzione per le aziende. Vorrei aggiungere che questa edizione di Fabbrica Brescia è un’edizione zero, contiamo di replicarla negli anni a venire, facendola crescere sempre di più per far sì che essa diventi anche un’attrattiva, diciamo, turistico-culturale per il territorio bresciano. Ci sono imprese locali che supportano la realizzazione di opere artistiche contemporanee, ma aprire la fabbrica a spettacoli di questo genere credo che sia la prima volta. Inoltre si tratta di una comunicazione d’impresa fuori dall’ordinario. Agli spettacoli abbiamo invitato i nostri collaboratori e i nostri clienti, proprio perché uno dei punti cardine di Fabbrica è la valorizzare le persone che lavorano.
Come mai solo quattro imprese hanno aderito all’iniziativa?
FU: Quest’anno abbiamo chiesto ad alcuni amici di fare insieme questo esperimento; onestamente gestire più di quattro eventi sarebbe stato logisticamente molto complicato. L’anno prossimo, con un po’ di esperienza in più, renderemo partecipi dell’iniziativa tutti i nostri associati, i quali oggi sanno cos’è Fabbrica.
Foto di Alberto Petrò