“Ho visitato in questi giorni L’Aquila, da un punto di vista medico sanitario. Il lavoro della Protezione Civile è stato eccellente, tornerò ad Haiti con un modello da seguire”.
A parlare è Vincent Virgo, urbanista ed architetto che collabora da sei anni con Médecins Sans Frontières, il quale però subito aggiunge: “Solo da un punto di vista medico, perché per il resto L’Aquila appare a diciotto mesi dal terremoto come una biennale internazionale e purtroppo permanente del container, il che agli occhi di un urbanista rappresenta davvero una sconfitta”.
Incontriamo l’architetto belga Vicent Virgo, responsabile dell’apertura degli ospedali di Médecins Sans Frontières ad Haiti, durante il convegno “Città e catastrofe: spazi e sensi della distruzione e della ricostruzione”, promosso a Bologna nell’ambito del SAIE 2010 dall’associazione MoMaBo e da Altotasso, in collaborazione con TRAME – Centro di studi interdisciplinari su memorie e traumi culturali dell’Università di Bologna e CUBE – Centro universitario bolognese di etnosemiotica.
La storia di cui Vincent Virgo è testimone inizia poche ore dopo le 16:53 del 12 gennaio 2010, quando l’isola di Haiti è colpita da un terremoto di magnitudo 7,3 sulla scala Richter. La capitale Port-au-Prince viene distrutta per il 90%, con un’incidenza di distruzione superiore al 60%, il che in termini tecnici equivale a dire che tutte le fondamenta degli edifici sono state compresse e che la città deve essere ricostruita integralmente. La maggioranza delle vittime è composta da donne e bambini, che a quell’ora si trovavano prevalentemente nelle case, mentre gli uomini tornavano dal lavoro.
“Sull’isola la logistica – continua l’architetto Vicent Virgo – è stata particolarmente difficile, perché non esistevano più le strade, in tempi rapidi siamo stati comunque capaci di allestire un ospedale gonfiabile di duemilacinquecento metri quadrati, a cui in un secondo tempo abbiamo sostituito un ospedale prefabbricato.  Siamo intervenuti successivamente per contrastare la diffusione del colera e attualmente abbiamo otto centri per la cura delle malattie infettive dentro e fuori Port-au-Prince e nella regione di Artibonite”.

La missione umanitaria di Médecins Sans Frontières andrà oltre l’emergenza?
In ogni emergenza umanitaria c’è un tempo dell’emergenza ed un tempo della ricostruzione e il nostro compito dovrebbe finire quando inizia la ricostruzione. Siamo stati invece costretti ad avviare la costruzione di un ospedale in muratura, perché ci sarà bisogno della nostra presenza operativa ad Haiti per almeno trent’anni. La situazione è ancora drammatica, con il terremoto sono crollati anche tutti gli edifici pubblici. Non ci sono più uffici statali a cui rivolgersi, non esiste anagrafe né catasto, le persone non intendono spostarsi dalle macerie perché temono di perdere il loro diritto alla proprietà e in questa situazione di completo caos è impossibile pensare ad una ricostruzione a breve termine.

Nell’aiuto alla popolazione Médecins Sans Frontières ha svolto un ruolo umanitario non solo dal punto di vista medico?
Nonostante lo scopo della nostra organizzazione sia prettamente di assistenza medica, Médecins Sans Frontières ha donato alla popolazione di Haiti circa quarantamila tende, insieme a cibo ed acqua, portando sull’isola navi cariche di viveri. Ha riattivato alcune fabbriche per la costruzione di servizi igienici, messi a disposizione della popolazione.

Come Médecins Sans Frontières, anche le altre organizzazioni umanitarie hanno svolto un ruolo fondamentale?
Un contributo importante è venuto da tutte le organizzazioni giunte sull’isola, come anche dalla Protezione Civile. Ho visto con i miei occhi gli italiani alzarsi prima di tutti gli altri, lavare all’alba i mezzi e a tarda sera tornare con quegli stessi mezzi irriconoscibili per quanto erano ricoperti di polvere.

Il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, giunto ad Haiti aveva messo in discussione l’operato degli Stati Uniti e la mancanza di un vero coordinamento, salvo poi doversi scusare e smorzare i toni della polemica. La tua opinione?
Mi sento personalmente di condividere le critiche di Bertolaso, il governo degli Stati Uniti ha inviato ad Haiti una grande nave ospedale, finito lo show mediatico ha lasciato gli ormeggi e non l’abbiamo più vista.

Da urbanista cosa pensi sulla ricostruzione di Haiti?
Prima del terremoto la maggior parte degli edifici era stata costruita senza le più elementari regole anti-sismiche e senza considerare minimamente l’ambiente climatico circostante.  Un  elemento che nessuno ha sottolineato è la forte presenza della salsedine nell’aria, che s’infiltra nel cemento e va a corrodere il ferro, compromettendone la resistenza. Questo è un elemento importante che ha portato al crollo degli edifici, del quale indubbiamente si dovrà tenere in conto durante la ricostruzione. Così come si dovrà tenere conto dell’atmosfera tropicale, calda ed umida, di una temperatura media annua vicina ai 28°, della stagione delle piogge e degli uragani, che peraltro è ormai imminente e ci fa temere ancora una volta per la popolazione di Haiti, che vive ancora nelle tende. Per questo i nuovi edifici dovranno prevedere appartamenti che siano rialzati rispetto al terreno, una copertura aggiuntiva che protegga dal sole e dalle piogge, insieme a soluzioni che permettano un’ottima areazione degli ambienti, costruiti nel rispetto di una normativa anti-sismica.

L’organizzazione per cui lavora, Médecins Sans Frontières, premio Nobel per la pace nel 1999, solo nei primi dieci mesi di quest’anno è stata impegnata in undici diverse emergenze sanitarie nel mondo.
Nel congedarsi, Vincent vuole replicare a quanti definiscono il terremoto come un  lungo assordante silenzio. Nella sua esperienza di operatore umanitario, il terremoto si è presentato al contrario come un assordante frastuono di urla, dolore e disperazione, che lo ha raggiunto tutte le notti, anche dopo settimane dal suo ritorno. Un dolore impossibile da dimenticare.