La biblioteca in Italia è oggetto di incerta definizione e, nell’immaginario culturale italiano, non ha superato la soglia dell’essere considerata fondamentalmente un punto di raccolta e conservazione di un “bene culturale, nello specifico, di tipo librario”. In effetti, quello di “public library” può essere considerato un concetto astratto, o meglio “biblioteconomico”, come più volte asserito e come è dimostrato dal fatto che perfino da parte dei più esperti addetti ai lavori è spesso difficile trovarsi d’accordo sul suo significato.
Troppo spesso tale concetto appare ancora tenacemente ancorato all’esperienza personale che ciascuno può avere fatto entrando in una biblioteca: un servizio per pochi, una struttura obsoleta e poco portata all’innovazione, un’istituzione conservativa e chiusa nelle sue procedure interne.
Infatti, possiamo ritenere che la “biblioteca pubblica” comporta un problema di definizione concettuale di base, ovvero quello di “biblioteca” unito all’aggettivo “pubblica”. Confusione alimentata anche dalla trasposizione italiana del concetto di “public library” elaborato nel mondo anglosassone, con compiti di informazione generale e di base e molto lontano dalla realtà italiana dove, invece, la biblioteca pubblica si è sempre più identificata con la biblioteca di ente locale, come istituzione al servizio dei bisogni informativi e culturali della propria comunità con compiti più legati allo sviluppo della cultura locale.
La biblioteca è anche e soprattutto uno dei canali di acquisizione e diffusione del libro, mentre va rilevato che il fenomeno della lettura evidenzia dati allarmanti, se si pensa che la quota di cittadini italiani che possono definirsi “lettori” è tra le più basse d’Europa (dopo di noi troviamo solo Grecia, Malta, Portogallo e Paesi poveri come Bulgaria e Romania). Anche rispetto all’uso delle biblioteche, l’Italia evidenzia forti segnali di debolezza, registrando una percentuale pari all’11% di frequentatori, a fronte di 35% di abitanti dei 27 Paesi europei che entra in biblioteca almeno una volta all’anno.

Perché questa difficoltà, in Italia, a percepire la biblioteca intesa come “servizio”, facilmente accessibile a tutti e la cui “mission” sia quella di dare attuazione al diritto di accesso all’informazione? Perché le biblioteche non riescono a proporsi con forza in strutture organizzative capillarmente diffuse sul territorio nazionale, funzionalmente coordinate e cooperanti tra loro al fine di rendere prontamente disponibili le risorse bibliografiche e documentarie in loro possesso?

Il concetto della pubblicità della biblioteca va connesso con il suo essere “pubblica” non in quanto ad appartenenze istituzionali quanto, piuttosto, alle caratteristiche del suo servizio, rivolto verso il pubblico, declinato per,  proteso verso ed aperto a tutti.
Fino ai primi anni Settanta del Novecento in Italia i cittadini non avevano alcuna possibilità di accesso ai servizi di biblioteche pubbliche. Tra le novità introdotte dal D.P.R. 417/1995 (Regolamento delle biblioteche pubbliche statali, che ha sostituto il vecchio Regolamento del 1967), le storiche biblioteche statali non erano finalizzate ad un’utenza generica ed indifferenziata e le biblioteche pubbliche “aperte a tutti”, ovvero gestite dalle singole istituzioni amministrative locali, erano praticamente inesistenti.
Da allora è noto il prodigioso, anche se confuso, sviluppo delle biblioteche comunali in Italia: i Comuni, seppur lacunosamente coordinati da legislazioni regionali in materia, si impegnarono all’istituzione e all’apertura al pubblico del servizio bibliotecario e oggi si contano complessivamente 15.502 biblioteche pubbliche (di cui il 51,2% appartenenti ad enti locali) che offrono alla popolazione servizi di base, detti anche di “pubblica lettura”, molto fragili e incerti nel loro esordio, ma che gradualmente hanno saputo crescere e presentarsi, a fianco di altri più consolidati servizi pubblici, come apprezzato punto di riferimento per migliaia di cittadini.
Riportare anche nel contesto dei servizi bibliotecari i principi consegnatici dal movimento riformatore delle autonomie locali, soprattutto con riferimento alle innovazioni intervenute sul fronte dei servizi pubblici, ha voluto essere un concreto sforzo di far uscire i servizi di biblioteca, ormai presenti in gran parte dei Comuni, da una collocazione di sfondo e di marginalità rispetto agli altri servizi comunali e rivendicare, a pieno titolo, ruoli e funzioni istituzionalmente più definiti e giuridicamente più rafforzati.

Si può affermare che il riferimento istituzionale, nonché le ragioni motivanti per definire e ritenere a tutti gli effetti la biblioteca comunale un “servizio pubblico locale”, trovano oggi fondamento in quel grande processo riorganizzativo nel settore delle autonomie locali e della pubblica amministrazione che, a partire dalle rivoluzionarie leggi n. 142/1990 e n. 241/1990, ha avviato una fase, ancora in corso di realizzazione, di profonda trasformazione e riordinamento.
Fu proprio il decentramento amministrativo, assieme alla nascita delle Regioni, a favorire il processo di cooperazione tra biblioteche, attraverso le aggregazioni sistemiche a livello territoriale, concepite come strumenti imprescindibili per una migliore razionalizzazione e ottimizzazione delle risorse dei nuovi soggetti bibliotecari aventi dimensioni sovra comunali, consentendo quindi di aumentare l’offerta dei servizi. Il principio ispiratore è sicuramente “fare rete”, nell’accezione di “biblioteca territoriale diffusa”, ovvero, l’istituzione di un sistema bibliotecario presuppone che le biblioteche lavorino concretamente assieme, condividendo i patrimoni librari e le conoscenze professionali, per il raggiungimento di obiettivi comuni.
Strumento necessario per la gestione dei sistemi di biblioteche, la cooperazione assume, sebbene con un netto ritardo rispetto alla scena internazionale, una valenza imprescindibile per la biblioteca pubblica italiana, offrendo la possibilità di soddisfare il bisogno di informazione di un target differenziato di utenti. Assumendo la definizione proposta dall’IFLA (International Federation of Library Associations and Institutions) che nelle sue Linee Guida per lo sviluppo del servizio bibliotecario pubblico propone l’accezione di biblioteca come “agenzia della comunità”, appare evidente che la cooperazione viene intesa come rispondente alla loro funzione primaria di dare accesso a un complesso di conoscenze a beneficio del singolo e della comunità intera, missione che può essere soddisfatta in rete con altre biblioteche.  Molteplici e svariate sono le forme giuridico- gestionali assunte per la cooperazione all’interno dei sistemi bibliotecari, che hanno definito, nel corso degli anni, assetti istituzionali differenti a seconda dei diversi obiettivi strategici e di specifici contesti territoriali.

Ma un’altra idea forte sta emergendo nell’approfondimento di riflessioni nel settore bibliotecario: l’accresciuta importanza e centralità che le “biblioteche pubbliche” hanno ormai acquisito nel nostro Paese, definitivamente uscite da una posizione di marginalità e di sudditanza, in forza soprattutto del preciso e sempre più consolidato riferimento che i cittadini hanno trovato in esse per l’accesso ai servizi di informazione e documentazione di base.
E tutto questo sta imponendo dinamiche nuove nel processo di ridefinizione dei servizi bibliotecari, non più imperniati quasi unicamente sull’asse delle grandi biblioteche statali, di cui naturalmente nessuno vuole disconoscere l’alto valore culturale e documentario delle raccolte in esse conservate. È quindi ribadito che le biblioteche pubbliche devono essere percepite come punti di riferimento sul territorio per l’assolvimento di un diritto fondamentale: l’accesso, libero e per tutti, all’informazione e alla documentazione .
Dal sintetico quadro fin qui delineato relativo alle biblioteche italiane emerge, purtroppo, un elemento di fondo: la noncuranza e l’approssimazione con cui lo Stato ha seguito e trattato, nel corso dei decenni, questo settore. Non è mai esistita una preoccupazione di disegnare e sviluppare un complessivo “sistema bibliotecario nazionale” all’interno del quale veder delineati e precisati gli ambiti, le funzioni e le peculiarità delle diverse tipologie bibliotecarie presenti in Italia. Gli interventi legislativi prodotti dallo Stato in favore delle biblioteche sono quasi sempre frutto di emergenze, ma mai predisposti nell’ambito di una coerente linea di politica bibliotecaria, dettata dall’esigenza di salvaguardare, valorizzare, far fruire al pubblico l’ingente patrimonio bibliografico e documentario del Paese. Ogni singola unità bibliotecaria, dalla più piccola alla più grande, non è ancora stata messa nelle condizioni di poter espletare le proprie attività e i propri servizi in collegamento e connessione con le altre unità. Fa ben sperare, a tal proposito, il documento pubblicato dall’ANCI nel 2004 Linee di Politica Bibliotecaria per le Autonomie, il primo atto politico di rilievo nazionale che affronti una politica bibliotecaria in termini innovativi ed europei.
Facendo riferimento alle criticità dei sistemi bibliotecari italiani, seppur con le dovute differenziazioni, bisogna innanzitutto rilevare la grande frammentazione e disparità, sia organizzativa che amministrativa, come pure tipologica e di appartenenza, impedendo di fatto la realizzazione di quel necessario coordinamento che, se ben gestito, consentirebbe l’avvio di un vero servizio bibliotecario nazionale, rompendo steccati e barriere spesso create dalla molteplicità degli enti istituzionalmente proprietari.

Emerge, quindi, la necessità di un diverso posizionamento, in grado di cogliere le opportunità della nuova fase, soprattutto alla luce delle diverse trasformazioni che il progresso tecnologico impone al settore (basti pensare al fenomeno e-book). Alle opportunità devono corrispondere, sul piano strategico e progettuale, inedite responsabilità che mettano a fuoco un ruolo del tutto nuovo e certamente molto più esteso e incisivo delle biblioteche nel proprio territorio. Da una parte, attraverso la connessione culturale e materiale con l’intero sistema bibliotecario (o comunque con le biblioteche che, grandi o piccole, intendano giocare la partita della crescita futura uscendo dall’isolamento locale). Dall’altra, incentrando la stessa filosofia di fondo della biblioteca come spazio culturale integrale sulla domanda e non più sull’offerta.

Le biblioteche sono tradizionalmente dei luoghi in cui grazie alla specifica composizione dell’offerta i lettori o gli studiosi colmano lacune derivanti dall’insufficienza del proprio patrimonio librario; in cui, comunque, si fornisce una risposta puntuale ed efficace a uno specifico bisogno. La prospettiva va invece identificata in un ben più ampio spettro di opzioni ed azioni che consentano una piena espressione alla domanda di esperienza culturale, di condivisione e partecipazione, di scambio critico che sembra caratterizzare in modo pervasivo la sfera cognitiva degli individui contemporanei, riflettendosi anche nelle loro aggregazioni reali e virtuali a geometria variabile.

In questo senso il patrimonio librario, condizione necessaria perché una biblioteca esista e operi, non risulta più sufficiente a garantire la conquista di un ruolo nodale nella ricerca di senso e di identità che traccia le dinamiche urbane e territoriali: il fulcro del valore delle biblioteche diventa sempre più l’attività, articolata e intensa, attraverso la quale si può passare decisamente dalla semplice (per quanto imprescindibile) lettura alla produzione di testo culturale come effetto di una sistematica partecipazione della comunità all’elaborazione e alla partecipazione. Che il libro sia cartaceo o digitale, che sia letto in solitudine o in compagnia di sconosciuti, conta l’approccio proattivo, il desiderio di connettere l’esperienza della lettura con i mondi percettivi e cognitivi, la possibilità di coniugare la profondità del leggere e dell’ascoltare con la leggerezza di spazi morbidi, di tempi elastici, di relazioni informali.

Agorà e salotto, la biblioteca rimane la bottega del sapere che è sempre stata, ma può finalmente sfruttare appieno il proprio potenziale grazie alla percezione più estesa e più profonda del valore infungibile della cultura per il benessere della comunità e per la felicità degli individui.

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Un sentito ringraziamento alle case editrici che hanno aiutato nella stesura di questo dossier