Cercare di riassumere l’ultima edizione del MEI, come le tredici edizioni che l’hanno preceduta, è un’operazione difficile per la ricchezza delle proposte, la varietà degli appuntamenti, la qualità dei dibattiti, la passione degli addetti ai lavori, l’energia che accomuna le performance dei musicisti e la partecipazione di tutti gli appassionati, che sfidano ogni anno la pioggia e le neve pur di esserci. Anche gli stessi organizzatori dall’acronimo originario di Meeting Etichette Indipendenti, oggi definiscono a buon diritto la manifestazione con la formula più ampia di Meeting degli Indipendenti.
Una “casa per gli indipendenti”, ideata e costruita da Giordano Sangiorgi per relazionarsi, confrontarsi, discutere di tutte le problematiche inerenti all’essere “altro” dal mainstream in tema di produzione, distribuzione, fruizione, tutela dei diritti. Anche per questo la SIAE negli ultimi anni è divenuta un partner importante della manifestazione.
Non solo stand e palchi per suonare e ascoltare musica, giovane e rigorosamente indipendente, il MEI propone un elettrizzante cartellone di appuntamenti che abbracciano video, cinema, letteratura, insomma la cultura indipendente in senso lato.
Per questo abbiamo voluto incontrare Fabio Melandri, direttore artistico e coordinatore del PIVI, acronimo di Premio Italiano Videoclip Indipendenti, uno degli appuntamenti imprescindibili del MEI, apprezzato da autori, musicisti ed etichette. Nelle ultime due edizioni da evidenziare inoltre l’appuntamento con Note in Video, rassegna sul cinema musicale, curata da Christian Battiferro, che quest’anno ha registrato anche un’animata tavola rotonda, ospitata all’ISIA di Faenza, sulla produzione audiovisiva indipendente in Italia.

Perché il videoclip è diventato così importante nella cultura indipendente, non solo musicale?
Sotto la voce “videoclip”, oggi troviamo tutte le nuove tendenze dell’audiovisivo. Solo per fare un esempio, al PIVI promuoviamo e premiamo il “booktrailer”, commistione interessantissima della letteratura con le altre arti, nella quale cinema, musica, video vanno a raccontare un’altra arte, offrendo una nuova visione della letteratura. Possiamo citare altresì il premio speciale che il PIVI ha riservato a “Shadow” di Federico Zampaglione (Tiromancino) per l’importanza della colonna sonora nel film e della nuova musica italiana a supporto del nostro cinema.
Non dobbiamo trascurare il fatto importante che registi partiti dal videoclip, sono poi approdati al cinema. In questo senso, il videoclip è un laboratorio non solo musicale, ma  un laboratorio dove si apprende il mestiere, dove si sperimenta il linguaggio, quelle stesse sperimentazioni che poi ritroviamo sul grande come sul piccolo schermo, anche sotto forma di spot.

Cosa significa “indipendente”?
E’ difficile dare una definizione di indipendente. Nel bando del PIVI accettiamo per “indipendenti” i videoclip che non superano i diecimila euro di budget e non sono supportati da grandi etichette musicali. Ma la definizione è più ampia, anche noi ci chiediamo spesso cosa sia indipendente.
Magari possono essere indipendenti anche grandi artisti, legati ad una major, che realizzano un videoclip “in modo indipendente”, perché vogliono delle libertà espressive che altrimenti non avrebbero. Esistono imposizioni non scritte nel mondo mainstream, essere indipendenti richiede al contrario un certo grado di anarchia di linguaggio, che non si traduce assolutamente in una sciatteria dal punto di vista formale, casomai è tutto il contrario. Il limite in molti casi aguzza l’ingegno, nel videoclip indipendente emerge sempre l’idea originale, che va al di là del cantante in primo piano, circondato da belle ragazze. Si tratta di una storia e di un racconto di tre o quattro minuti, ma che spesso hanno il respiro del lungometraggio.
C’è il desiderio di raccontare e di farlo soprattutto in modo originale, sperimentando e ricorrendo a tecniche miste, come l’animazione 2D oppure la stop-motion, una tecnica molto dispendiosa in termini di energie creative, che vedi al cinema e non certo nei videoclip mainstream.

Essere indipendenti in molti casi riguarda anche la libertà di affrontare qualsiasi tema, senza troppi timori reverenziali?
In effetti, nei videoclip indipendenti si affrontano tematiche che passano poco sui canali tv, che richiedono solitamente alle produzioni canoni di moralità ben precisi. Ricordo lo scorso anno il videoclip di Corrado Fortuna, nonostante il curriculum del regista, la partecipazione di attori conosciuti, provenienti dalla serie tv “Romanzo criminale”, non è passato sui grandi network.
 
In quale direzione va l’impegno del PIVI?
Il pericolo è che tutti gli sforzi creativi di cui abbiamo parlato, alla fine non abbiano una visibilità. Lo scopo del PIVI è proprio quello di voler dare un riconoscimento ed una visibilità alle opere e ai loro autori, impegno che continua attraverso la rete dei Festival partner, dei canali web e satellitari con cui collaboriamo. Quest’anno i cinque videoclip vincitori dei premi ufficiali verranno trasmessi sul canale satellitare Coming Soon Television, quindi con una buona visibilità. Il PIVI ha assegnato inoltre un premio speciale al programma “Parla con me” di Serena Dandini per lo spazio riservato ai musicisti indipendenti e per la promozione della nuova musica italiana. Il tentativo è quello di creare un circuito alternativo per dare visibilità ad opere che altrimenti rimarrebbero nell’ombra di un sottobosco, purtroppo fin troppo affollato.
Per concludere una curiosità, il videoclip a colori nasce all’inizio degli anni ’50 proprio in Italia, ha per protagonisti Domenico Modugno, Gianni Morandi, Renato Rascel, Giorgio Gaber e tanti altri, veniva proiettato nei Cinebox, un’altra invenzione tutta italiana. Oggi nel mondo dei videoclip indipendenti – conclude Fabio Melandri – ci sono un coraggio ed una voglia di sperimentare sconosciuti anche al cinema indipendente italiano. Quindi, perché non incentivarli?