Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
Partita IVA 03068171200 | Codice Fiscale/Numero iscrizione registro imprese di Roma 03068171200
CCIAA R.E.A. RM - 1367791 | Capitale sociale: €10.000 i.v.
Intervista ad Enrico Loccioni, fondatore e presidente del Gruppo Loccioni
Il Gruppo Loccioni, fondato nel 1968, opera nei settori delle tecnologie integrate per il monitoraggio ambientale, dei sistemi di networking e information tecnology, dei sistemi di collaudo e controllo per elettrodomestici (lavaggio, refrigerazione, cottura, riscaldamento, ecc.), dei sistemi di misura e test per il controllo qualità di automobili e loro componenti, delle tecnologie di misura e automazione dei processi di strutture sanitarie e farmaceutiche, delle filiere alimentari e delle soluzioni per il benessere.
Nel Gruppo lavorano circa 350 persone con un livello di istruzione elevato (60% diplomati, 40% laureati) e un’età media di appena 33 anni. Il fatturato, di circa 50 milioni di euro, proviene per il 45% delle esportazioni (in oltre 40 paesi), il 4% viene reinvestito in Ricerca e Sviluppo (oltre 20 i brevetti depositati). Il 7% del costo del personale è dedicato alla formazione.
Abbiamo incontrato Enrico Loccioni, fondatore e Presidente del gruppo.
Lei guida un gruppo di imprese di grande successo, un Gruppo che ha ricevuto numerosi riconoscimenti per l’innovazione e che, nonostante l’attuale crisi, è in continua crescita. Quali sono i punti di forza del Gruppo Loccioni?
L’attenzione che poniamo, da sempre, alle persone credo che sia l’elemento più importante. Cerchiamo di avere un atteggiamento di ascolto, di apertura e di curiosità verso i collaboratori, i clienti, i fornitori e anche verso i concorrenti. Ci impegniamo, poi, a rendere la nostra struttura organizzativa piuttosto flessibile, poco gerarchica, capace di “riconfigurarsi” a seconda delle esigenze e dei progetti che stiamo realizzando.
Un altro aspetto fondamentale è diversificazione delle attività per ridurre al minimo i rischi: noi abbiamo otto differenti aree di business. La mezzadria, così diffusa nel nostro territorio (le Marche), è durata 400 anni anche grazie a questo: i mezzadri dividevano la terra in tanti piccoli appezzamenti dedicati ad altrettante diverse colture.
Nella nostra Carta dei Valori abbiamo evidenziato come: “Senza valori non si può andare lontano. I valori sono l’identità del Gruppo: forniscono un linguaggio comune, danno forza alle nostre imprese e le guidano nel loro adattamento al mercato. Le azioni, anche quelle di tutti i giorni, hanno bisogno di un profondo impegno morale.” Il Gruppo Loccioni crede nelle persone e nella loro voglia di fare.
A chi si è ispirato nella sua attività di imprenditore? Chi sono i suoi “maestri” e che cosa ha imparato da loro?
I primi riferimenti culturali sono quelli propri del nostro territorio, la cultura contadina marchigiana impregnata di lealtà, solidarietà, caparbietà, aiuto reciproco.
Le racconto un episodio: quando ero bambino una delle mucche di mio padre morì durante il parto. La mia famiglia possedeva solo quattro mucche che, a coppie, tiravano i due birrocci (carri) con cui veniva svolto il lavoro nei campi. La morte della mucca significava dimezzare l’attività. Il giorno dopo i vicini si autotassarono e ci portarono una vitellina.
Nella valle di San Clemente, dove sono nato, ci sono diverse abbazie (S. Elena, S. Urbano, S. Romualdo) in cui i monaci Benedettini e Camaldolesi hanno seguito, per più di mille anni, un “modello organizzativo” che consentiva di integrare lo studio e l’aggiornamento continuo, la preghiera e l’attività lavorativa, la vita individuale e quella in gruppo. Molti di questi elementi sono estremamente attuali e applicabili nelle aziende.
Trovo molto interessanti anche le esperienze di Robert Bosch e Werner Von Siemens: le aziende che hanno fondato rappresentano un esempio stimolante sia dal punto di vista del business sia da quello dello sviluppo delle risorse umane.
In Camillo Olivetti, poi, ho apprezzato la grande capacità di fare marketing e di proporsi come “sviluppatore” di mercato; in Adriano Olivetti mi ha affascinato anche l’attenzione agli aspetti sociali e culturali, alle relazioni, ecc. Anche se l’azienda non esiste più, ci cono molti “oliviettiani” in giro che promuovono ancora di questi aspetti.
Mi tolga una curiosità: la sede del Gruppo è circondata da un ampio spazio verde che ospita un piccolo laghetto, dove diversi animali (compresi alcuni pavoni e alcune papere) si aggirano indisturbati. Come mai questa ambientazione particolare?
Più che particolare direi che è coerente con quello che facciamo: se vogliamo porre attenzione alle persone dobbiamo cominciare dai luoghi di lavoro. La nostra scelta non è solo un fatto estetico, ma principalmente funzionale: predisporre un ambiente in cui persone interne ed esterne all’impresa possano incontrarsi in modo informale ed autentico.
Come descriverebbe le relazioni personali e professionali con i suoi collaboratori e tra le persone che lavorano qui?
L’orientamento è quello di favorire relazioni collaborative e non formali, caratterizzate più dal dialogo che dal darsi del “lei”, più dalla crescita professionale che dall’indossare una cravatta. Cerchiamo di abbattere tutte le barriere che possano ostacolare il coinvolgimento e la partecipazione delle persone.
Questo non significa, però, che non ci sia competizione, anzi è un elemento necessario: senza non si cresce. La competizione che cerchiamo di agevolare è tipo quella sportiva: corretta, leale, in cui sono chiari gli obiettivi, i premi, e ognuno cerca di dare il meglio di sé.
Come organizza le modalità e i tempi del suo lavoro?
Il lavoro, in una concezione comune, sembra che tolga tempo ad altre cose. Io ho una percezione opposta: le altre cose sottraggono tempo al lavoro. Vivo il mio lavoro con interesse e con passione, non subendolo come uno spettatore passivo, ma vivendolo come attore degli eventi in prima persona. Mi viene in mente la battuta: ”La cattiva notizia è che il tempo vola, quella buona è che al volante ci sei tu!”
Anch’io, di tanto in tanto, mi concedo qualche piacevole pausa a bordo della mia Harley Davidson …
Come tende a gestire l’errore e l’insuccesso?
Quello che accade spesso è che chi sbaglia tende a tenerlo per sé, tende, umanamente, a nascondere l’errore. Io cerco, invece, di farlo emergere, senza penalizzare nessuno, perché tutti possiamo sbagliare. L’analisi di un errore serve ad evitare di ripeterlo, cosa dannosa sia per la persona sia il Gruppo. Rilevare un errore diventa, allora, un’occasione di crescita, di confronto e di miglioramento.
Che cosa sono, per lei, la creatività e l’innovazione?
Non credo che ci siano persone non creative; si tratta di individuare gli ambiti in cui una persona desidera impegnarsi, in cui è motivata a creare qualcosa di nuovo. Noi abbiamo diversi progetti (Blu zone, U_Net, ecc.) in cui coinvolgiamo studenti di scuole superiori ed università per collaborare, per confrontarci, per progettare il futuro e per dare vita, insieme, alle proposte più interessanti.
“L’innovazione – come ricorda lo scienziato ungherese Albert Szent-Gyorgyi – consiste nel vedere ciò che hanno visto tutti, pensando ciò che non ha pensato nessuno”. Per noi innovazione significa realizzare un cambiamento e si cambia solo se si pensa al futuro con passione, fondando nuove relazioni, aprendo lo sguardo a nuove possibilità.
Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti: Premio Nazionale per l’Innovazione 2010, Sviluppo Sostenibile 2009, Innovazione amica dell’ambiente 2008, Imprenditore Olivettiano 2008, Ernest & Young “Imprenditore dell’anno” 2007, Best workplace Italia 2002-2007, solo per citarne alcuni …
Ho il sospetto che tendano a prendere le liste dei premiati dell’anno precedente e … a pescare sempre da lì … Sto scherzando, ovviamente!
Credo che l’innovazione più forte in questo gruppo sia non solo quella tecnologica, che sicuramente ha un grosso peso, ma quella relativa allo sviluppo di un modello organizzativo. Cerchiamo di realizzare un’organizzazione flessibile che sappia adattarsi, in maniera rapida, alle nuove esigenze. Cerchiamo di distribuire e “diffondere” la responsabilità, di inserire continuamente dei giovani con mentalità aperta, liberi da schemi rigidi precostituiti.
C’è, comunque, un turn over fisiologico, necessario per un’impresa che ha sviluppato da 25 anni una cultura della conoscenza. E’ necessario prevedere un “manutenzione” delle persone e una job rotation. Accade spesso che persone che
finiscono il loro percorso in questo Gruppo scelgano di valorizzare le competenze maturate mettendosi in proprio. Una delle soddisfazioni più grandi sono gli 80, tra ragazzi e ragazze, che hanno “assorbito” il nostro modo di lavorare e hanno dato vita a nuove attività imprenditoriali. Così come ci gratifica sapere che sono circa 150 i nostri ex-dipendenti che rivestono, oggi, ruoli di responsabilità in altre aziende. Tutto questo contribuisce a realizzare, sul territorio, un clima di crescita e di collaborazione, quel ritorno sull’investimento di cui tutti parlano.
Dove nascono le idee nel gruppo Loccioni?
Nascono un po’ dovunque, principalmente dalle esigenze del mercato, dalle esigenze dei clienti, dal desiderio di ridurre dei costi “fastidiosi” come la non comunicazione, la non qualità, lo spreco delle energie dell’ambiente.
All’interno del gruppo abbiamo, comunque, un’efficiente rete interna che agevola la comunicazione, la condivisione delle informazioni, la circolazione delle idee tra i diversi settori, tra i reparti di Ricerca ed Innovazione, Ricerca e Sviluppo, Produzione: è un tam-tam continuo.
Che suggerimenti darebbe ad un giovane che volesse creare, oggi, una nuova impresa?
E’ auspicabile sviluppare una nuova imprenditorialità. Mi capita, a volte, di vedere lavoratori che seguono ciecamente l’imprenditore, come le pecore seguivano il pastore: quando, però, i pastori finiscono … iniziano le difficoltà.
Gli aspetti più importanti per avviare un’attività sono la passione per quello che si fa, altrimenti ci si ferma presto; l’immaginazione per saper comprendere le esigenze del mercato e creare qualcosa di nuovo; il coraggio di portare avanti le tue idee anche se gli altri ti scoraggiano; la fiducia verso le persone che collaborano con te.
Anche l’ottimismo è molto importante. Chi deve portare avanti un progetto non può guardare il bicchiere mezzo vuoto: partirebbe già perdente. Di fronte alle difficoltà, a risposte come “non si può fare”, “non è realizzabile” bisogna comunque riflettere, provare, riflettere di nuovo e riprovare. Sicuramente verrà fuori qualcosa di interessante …
Bene, grazie per la sua disponibilità e per il tempo che ci ha dedicato.
Grazie a lei, è stato un piacere..
Nota: questo articolo è pubblicato su www.ticonzero.info