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Uno spaccato della vita artistica e sociale del Quattrocento e del Cinquecento nel contesto patavino. Questo uno degli obiettivi della mostra Giorgione a Padova. L’enigma del Carro, esposta tre mesi a Padova, presso il Museo Civico degli Eremitani e conclusasi domenica 16 gennaio 2011.
Attraverso l’esposizione di circa settanta opere, i curatori hanno ricreato l’aria culturale della città, presentando non solo dipinti di artisti illustri, ma anche documenti e strumenti che hanno segnato l’evoluzione del pensiero scientifico e tecnologico a partire dal XV secolo.
Filo conduttore dell’intera esposizione è stato l’artista veneto Giorgio da Castelfranco, meglio noto come Giorgione, nato a Castelfranco nel 1477 e morto di peste a Venezia nel 1510.
Le tematiche principali messe in luce dai quadri del Giorgione esposti alla mostra sono stati essenzialmente due: il suo legame con il territorio di provenienza e il rapporto che intercorre, da tempo, tra scienza, tecnologia e arte.
Il legame tra artista e territorio e la volontà di raccontare la città di Padova nel corso della storia e attraverso l’arte si sono percepiti durante tutta la mostra: dapprima osservando gli affreschi della Scoletta del Carmine con le Storie di Maria e la Loggia e Odeo Cornaro del patavino Giulio Campagnola, grande amico e ispiratore del Giorgione; successivamente, visionando altre opere che hanno contribuito a ricreare un itinerario della città, come ad esempio gli affreschi di Tiziano della Scuola del Santo, nei quali viene rievocata la morte di Giorgione nell’opera Miracolo del piede risanato del 1511. In procinto di morire di peste, Giorgione è raffigurato in maniera drammatica, circondato dai suoi più cari colleghi, il Campagnola, il Costanzo, il Requestre e lo stesso Tiziano che condividono il suo dolore.
Tema chiave di tutta la mostra è stato un dipinto molto significativo, da tempo oggetto di numerosissime analisi interpretative: trattasi de La tempesta, commissionata al Giorgione dal nobile veneziano Gabriele Vendramin nel 1507-1508. L’opera è esposta in mezzo ad altri due dipinti fondamentali, Mosè alla prova del fuoco e Il giudizio di Salomone, poiché si ritiene che essi insieme possano costituire un trittico. L’ipotesi è avallata sia dalla lettura di continuità di paesaggio sullo sfondo, in quanto sembra che il pendio collinare de la Tempesta prosegua nel Mosè alla prova del fuoco, sia dallo sviluppo su piani paralleli delle vedute laterali, sia dalla presenza di un complesso architettonico piuttosto omogeneo.
Il titolo dell’opera, La Tempesta, deriva dalla descrizione fornita da Marcantonio Michiel, che vide la tela in casa del nobile Vendramin. Il dipinto ad olio raffigura una donna nuda, considerata vero centro focale e spirituale dell’opera, mentre sta allattando un bambino: immersa in uno sfondo inquietante, appoggiata a dei cespugli circostanti, volge lo sguardo verso l’osservatore. All’angolo sinistro del quadro, un guerriero ben vestito, con aria composta, osserva la donna. Il paesaggio domina: il cielo, violaceo e plumbeo, squarciato da un lampo, incombe sull’abitato. In secondo piano si scorgono un ruscello e un ponte di legno precario, oltre a rovine fra cui spiccano due bianche colonne spezzate. Si percepisce subito un contrasto fondamentale: il paesaggio è fortemente inquietante, mentre le figure sono calme, prive di tensione.
Le riflessioni sul significato del dipinto, su ciò che esso possa effettivamente rappresentare, su chi siano i personaggi e dove sia ambientato l’episodio, sono state davvero moltissime. Per lungo tempo il quadro è stato letto come una raffigurazione dell’artista con la sua famiglia, tant’è che l’opera è stata a lungo conosciuta come La famiglia di Giorgione. Dalle analisi di Salvatore Settis, la Tempesta rappresenta la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre: il lampo simboleggerebbe l’ira, mentre il bambino allattato sarebbe Caino. Accanto a tale interpretazione si pone quella di Ridolfi, il quale ritiene si tratti di un episodio mitologico narrato dal poeta latino Ovidio ne Le metamorfosi. Altri ancora hanno ritenuto che il soldato rappresenti la Fortezza e la donna la Carità, entrambi in lotta contro la Fortuna, simboleggiata dal fulmine.
Talvolta, la donna è stata letta come una zingara che rappresenta Padova mentre allatta la piccola Venezia, da lei generata molti secoli dopo. Successivamente si è pensato che Giorgione avesse voluto rappresentare il ritrovamento di Mosè sulle rive del Nilo. Infine, per altri, il quadro vuole comunicare, in modo assolutamente non volgare, il tentativo di superare i pregiudizi religiosi e l’affermazione di una morale laica.
Qualunque sia il significato vero e proprio delle figure dipinte dal Giorgione, lo studio del paesaggio sullo sfondo ha coinvolto moltissimi studiosi d’arte per capire che cosa esso rappresenti, una città reale o immaginaria.
Pertanto, è stata effettuata un’analisi attenta del dipinto e sono stati utilizzati incisioni, dipinti e foto d’epoca oltre a tecnologie in 3D che hanno permesso di smontare, sezionare a studiare criticamente la tela.
Dalla ricostruzione digitale sono emerse evidenze importantissime: non solo è stato possibile localizzare topograficamente il paesaggio rappresentato, ma anche riconoscere perfettamente le strutture architettoniche raffigurate dal Giorgione.
Dal punto di vista architettonico Giorgione ha ritratto il fianco occidentale della città di Padova, esterno alle mura. Infatti, si leggono la Chiesa del Carmine, la cui copertura, a causa di un crollo avvenuto nel 1491, è stata sostituita da una grande cupola progettata da Lorenzo da Bologna e Pier Antonio degli Abati; il ponticello di San Tommaso, tra il convento dei Domenicani e la Cittadella di Ezzelino, simbolo della decadenza di Padova; la torre di Ezzelino, posta a destra della cupola della Chiesa del Carmine e il cui basamento è ancora oggi visibile all’angolo con via Savonarola.
Dal punto di vista simbolico si interpretano altri elementi: il Carro, raffigurato su una delle porte dipinte, sarebbe il simbolo araldico della famiglia dei Carraresi e rappresenterebbe il precedente potere principesco sulla città; il fulmine comunicherebbe la decadenza della città di Padova nei primi anni del 1500; il soldato sarebbe Antenore che, fuggito profugo dall’incendio di Troia, come alludono i ruderi alle sue spalle, è ritenuto il mitico fondatore della città.
Inoltre, dalle analisi radiografiche effettuate sull’opera, sembrerebbe che, originariamente, sulla parte sinistra del dipinto, fosse stata ritratta una seconda figura femminile nell’atto di immergersi nel fiumicello, come simbolo della prevenzione verso la peste che, in quegli anni, si era diffusa anche a Padova.
Tutti questi aspetti, emersi dalle indagini radiografiche, sono leggibili dal visitatore grazie alla pannellistica raffigurante l’opera, analizzata in ogni sua parte e messa a confronto con immagini della città. Inoltre, la comprensione del dipinto è facilitata da un video multimediale, realizzato in una sala successiva a quella in cui è esposta la tela, icona della città patavina.
Il video-wall LCD full HD di 3 metri X 2, progettato e realizzato dalla società Creative Planet Webdesign e Media e posto sullo sfondo della sala, aiuta il visitatore a leggere analiticamente e tridimensionalmente l’opera, a comprendere la struttura topografica e architettonica della città di Padova ed a captare gli elementi che Giorgione ha ripreso ed inserito nel suo dipinto.
Attraverso questo percorso, è stato possibile compiere diverse riflessioni: negli ultimi anni il sapere tecnologico, scientifico ed ingegneristico si è evoluto significativamente e si è rapportato ai beni culturali in modo innovativo e utile. La tecnologia si unisce all’arte e ne diventa funzionale: permette di comunicare ciò che la lettura estetica difficilmente riesce a cogliere, sviluppando conoscenza e contribuendo allo sviluppo culturale. Le tecnologie non superano l’arte, né l’arte
supera esse; bensì sono l’una al servizio dell’altra e la loro interazione permette di migliorare la qualità di apprendimento di opere e di manufatti che talvolta potrebbe rimanere oscura.
Ciò che appare assolutamente curioso è che l’utilizzo della tecnologia, o meglio, del sapere scientifico, non è cosa nuova: le arti liberali e le arti meccaniche si sono accostate fin dal XV-XVI secolo e Giorgione lo ha dimostrato nel fregio decorativo realizzato in “Casa Marta Pellizzari” a Castelfranco. Il fregio presenta schemi astronomici tratti dall’edizione del 1482 del volume Sphera Mundi o Tractatus de Sphaera, l’opera astronomica più diffusa nel Medioevo, che comprendeva tre testi scritti da Giovanni Sacrobosco, Georg von Peuerbach e Regiomontano.
Ancora una volta, pertanto, vediamo Giorgione che opera sul suo territorio e per committenti veneti: attraverso le sue opere si respira costantemente la volontà di costruire rapporti con il territorio a cui appartiene e con l’ambiente culturale artistico e letterario del XV e del XVI secolo.